Si è concluso domenica a Lipsia il congresso della Linke, la maggiore forza della sinistra radicale tedesca.
Il tema centrale del dibattito, tesissimo in alcuni passaggi, tanto da far ventilare l’ipotesi di una scissione imminente, è stato quello dei migranti, nodo su cui sono emerse in maniera plastica le due anime del partito. Vi proponiamo i due ottimi articoli pubblicati da Il Manifesto in questi giorni, capaci di offrire un quadro esauriente della “dialettica” interna all’assise
La Linke spaccata sulle frontiere aperte. C’è aria di scissione
«Nel nostro partito non ci sono né razzisti né neoliberali». Un’affermazione apparentemente ovvia, quella di Katja Kipping, dalla tribuna del congresso della Linke che si chiude oggi a Lipsia.
di Jacopo Rosatelli – Il Manifesto
Solo apparentemente, però. Il cuore delle assise del principale partito della sinistra tedesca di opposizione sta in una controversia che lo sta portando al limite della lacerazione. Da una parte, i seguaci dei due segretari Kipping e Bernd Riexinger (più Gregor Gysi, attualmente numero uno della Sinistra europea), e dall’altra i sostenitori della capogruppo al parlamento federale Sahra Wagenknecht. Nella rappresentazione degli ultrà dei due schieramenti, rispettivamente: i «neoliberali» contro i «razzisti». Definizioni diffamatorie figlie delle diverse posizioni sul tema-chiave dei migranti. In sintesi: per i segretari, la Linke non deve rinunciare alla parola d’ordine delle frontiere aperte per tutti, per la capogruppo l’apertura incondizionata vale solo per i perseguitati che chiedono asilo.
Una spaccatura interna frutto dell’onda lunga della crisi dei rifugiati che investì la Germania – e la cancelliera Angela Merkel – nel 2015 e, soprattutto, dell’ascesa della destra nazionalista di Alternative für Deutschland (Afd), capace di mietere consensi anche in quell’elettorato popolare dei Länder dell’Est bacino della Linke. Per la carismatica capogruppo Wagenknecht – e per l’ancora influente ex leader Oskar Lafontaine – il partito deve correggere linea: l’enfasi no-borders manda i più anziani, i poveri e i disoccupati nelle braccia dell’Afd. L’attuale Linke – questa è l’accusa – piace ai giovani alternativi e di classe media dei centri urbani, e il partito si sta trasformando in una sorta di riedizione dei Verdi. Secondo Kipping non è così: «Se osservo i nostri giovani nuovi iscritti, non vedo hipster, non vedo nuovi verdi. Io vedo persone che con meravigliosa naturalezza sanno che la solidarietà verso i profughi e la difesa dello stato sociale sono una cosa sola. La Linke del XXI secolo ha bisogno della generazione del XXI secolo».
Nel suo discorso Kipping ha teso una mano a Wagenknecht, ma ha attaccato Lafontaine (che di Wagenknecht è anche compagno di vita): «Se il partito assume democraticamente una posizione, lui non la metta costantemente in discussione sui media». Posizione che ieri i delegati hanno assunto, approvando un documento congressuale in cui è scritto: lotta alle cause delle migrazioni (guerre, export di armi, sfruttamento), «corridoi umanitari sicuri, frontiere aperte e un sistema di accoglienza e distribuzione dei profughi in Europa rispettoso della dignità umana», e «diritti sociali per tutti». Sul punto simbolico delle frontiere, la formulazione è volutamente ambigua: non si dice per chi debbano essere aperte. Tutti o no? Un’indeterminatezza che ha permesso l’adozione quasi unanime della mozione.
Il passaggio anti-Lafontaine del discorso di Kipping non è andato giù agli avversari interni. Si spiega così la percentuale bassa con la quale la co-segretaria ieri è stata confermata nel suo incarico: appena il 64,5%, dieci punti in meno che alle assise precedenti. Meglio ha fatto Riexinger, ottenendo il 73,8%. Non c’erano candidati alternativi, la rielezione di entrambi era scontata, il dato politico stava tutto nella percentuale del loro consenso: e da ieri è più evidente che il clima nel partito è ancora lontano dal rasserenarsi. Lo dimostra anche l’unica situazione in cui i delegati hanno dovuto scegliere tra due persone riconducibili ciascuna ai due diversi gruppi: l’elezione del segretario organizzativo, il numero tre nella gerarchia interna. In uno scrutinio al cardiopalma si è imposto l’uomo di Kipping e Riexinger per soli 3 voti di scarto (su 550 totali).
Molto importante sarà l’intervento che farà questa mattina Wagenknecht: l’attesa è massima per capire se prevarranno i toni concilianti o quelli da battaglia. E soprattutto per comprendere meglio cosa la capogruppo intenda quando vagheggia della creazione di un «movimento di sinistra» che accomuni militanti della Linke a delusi del Partito socialdemocratico (Spd) e dei Verdi. Nelle intenzioni della capogruppo è una strategia per costruire una maggioranza alternativa alla grande coalizione fra democristiani (Cdu/Csu) e Spd che attualmente governa il Paese. C’è chi teme, invece, possa significare né più né meno che una «classica» scissione. Se fosse così, difficile immaginare che per la sinistra tedesca, ed europea, possa essere un bene.
Frontiere aperte, alta tensione. Alla fine la Linke sigla una tregua
Il congresso di Lipsia si è chiuso con un compromesso sul tema dei migranti: una commissione approfondirà la questione in cerca di una sintesi. Ma il clima nel partito resta tesissimo.
La tensione resta altissima, ma, per ora, è tregua. La Linke ha chiuso domenica il suo congresso a Lipsia con un compromesso sul tema che sta lacerando il partito: le frontiere aperte ai migranti. Una commissione formata da componenti di entrambi gli schieramenti interni dovrà approfondire la questione e cercare una sintesi che possa rappresentare tutti: sia i seguaci dei co-segretari Katja Kipping e Bernd Riexinger, fautori della linea anti-confini, sia quelli della capogruppo parlamentare Sahra Wagenknecht, sostenitrice della limitazione per «i migranti economici». Proprio l’intervento di quest’ultima, domenica mattina, aveva surriscaldato la platea al punto da indurre la presidenza a stravolgere l’ordine del giorno e dedicare una sessione straordinaria al confronto sul suo discorso.
Delegati contro altri delegati, toni molto accesi, esplicite accuse a Wagenknecht di sabotare l’azione del partito respinte indignate al mittente. In mezzo, un’area di dialoganti che invitavano – senza molta fortuna – a condurre la discussione senza demonizzazioni reciproche. Poi, quando la situazione sembrava sul punto di degenerare, la decisione di tutto il gruppo dirigente: si continuerà a discutere ordinatamente in altra sede.
Il congresso è finito dunque senza veri vincitori né vinti. Il clima nel partito è di quelli che possono preludere a una scissione, che, tuttavia, per ora non si è consumata. Sul dibattito fra le due anime intorno ai migranti incombe, in realtà, anche la proposta di Wagenknecht di creare «un’alleanza di sinistra» che rimane piuttosto nebulosa.
L’intervento di fronte ai delegati non è servito a capirne qualcosa di più: fra i sostenitori di Riexinger e Kipping circola il sospetto che la capogruppo stia tramando per la creazione di una «lista Wagenknecht».