L’implosione non è certa, ma di sicuro è molto probabile. Le parole di Matteo Renzi all’assemblea nazionale del Partito democratico somigliavano molto ad un gesto di disperazione dentro tante altre disperazioni: la propria inserita nel contesto disordinato di un partito che non conserva più una unità di intenti e che torna a dividersi in correnti non ben definite ma pur sempre legate ai leader storicamente antirenziani e a quelli che, novelli salvatori della Patria, hanno scoperto che il giro di boa l’ex sindaco di Firenze lo ha già fatto, ultimato e anche perso.
Il PD di Renzi potrebbe dunque essere al capolinea, tanto che da Maurizio Martina a Paolo Gentiloni i commenti sulle critiche ricevute non sono benevoli e il tempo che separa le varie anime del partito dal congresso servirà a comprendere se mettere o no la parola “fine” al renzismo dentro al PD per poter creare un nuovo soggetto che, nella più estrema delle ipotesi (espressa chiaramente ieri da Matteo Giacchetti su “La Stampa”), potrebbe persino cambiare nome, quindi identità, quindi tracciare un solco per dire: eccoci, siamo il nuovo del vecchio. Senza Renzi.
Ex ministri come Carlo Calenda, esponenti come Gianni Cuperlo, Nicola Zingaretti, propendono ad un rassemblement in stile centrosinistra d’antan.
La mini coalizione creata per le elezioni politiche non può rappresentare questo tipo di ricostruzione delle forze moderate cattoliche e progressiste: con trattino in mezzo o senza che sia.
Uno spazio per un centrosinistra di questo genere non esiste: è già stato ampiamente dimostrato dall’esito del voto e sarebbe più che confermato da una nuova tornata elettorale. Magari proprio quella per le europee, dove non esistono coalizioni, dove vige la tanto vituperata legge proporzionale ma dove comunque si può molto serenamente osservare la potenzialità espressa da ciascuna forza politica. Le somme poi sono facili a farsi…
Il luogo sociale e politico dell’azione per un PD – ipotizziamo – derenzizzato dovrebbe tornare ad essere per forza quello che un tempo era rappresentato da La Margherita e dai Democratici di Sinistra. Un ritorno al passato, prima che nascesse l’anomalia tutta italiana chiamata “Partito democratico”.
Ma la velocità con cui è mutato lo scenario sociale ha radicalmente cambiato i confini della politica italiana e ha polverizzato le vecchie divisioni ideali ed ideologiche, tentando di mostrare e dimostrare che la si può pensare “liquidamente”, senza troppe forme predisposte, senza schemi, senza punti di riferimento precisi. Senza idee ma con molte proposte.
Le proposte, lo si voglia o non lo si voglia, poggiano sempre sulle idee. Sono idee e quindi queste sono espressione di una visione complessiva della società e del mondo in cui viviamo. Un mondo che non cerca l’uguaglianza, che esprime forze di governo individualiste, antisociali, prive di qualunque riferimento orizzontale ed egualitario nel formulare le proposte di riforma dei settori pubblici, estremamente accondiscendenti e tolleranti verso il privato.
Ecco, il punto è proprio questo: la risposta a questa mancanza di rivendicazione sociale, di giustizia sociale non poteva essere ieri il PD di Renzi e non può esserlo nemmeno il PD di Calenda, Martina o Zingaretti.
Non basta una trasformazione burocratica interna per cambiare pelle ed essere davvero altro da prima. Per ritrovare il popolo della sinistra moderata il PD dovrebbe sciogliersi e affrontare un passaggio costituente, catartico: una palingenesi autorigenerante, pensandosi come sinistra e non come centrosinistra, allontanandosi dal protezionismo del privato e rimettendo al centro il valore del pubblico, dei beni comuni.
Ciò vuol dire azzerare un intero apparato politico-amministrativo che ha gestito anche un cambiamento politico, ma che soprattutto si è incaricato di rappresentare con nuovi strumenti, fondati su un modello di “pace sociale” irrealizzabile ma ben prospettabile, le esigenze delle turbolenze dei poli capitalistici da continente a continente, diventando il punto di riferimento in Italia per quello europeo.
Questo progetto è già diventato vecchio, superato da un contropiede dei populismi di destra che, non meno bene ma certamente con grandi differenze rispetto al centrosinistra renziano, stanno cercando di figurarsi in quella parte, di recitare non a soggetto, senza spontaneità, ma con una agenda di governo che nelle linee generali è scritta nel famoso “Contratto”; nelle linee particolari, quelle che vengono costruite giorno per giorno in base alle esigenze del momento, è scritta nelle dichiarazioni del ministro dell’Interno più che altro. Tutti rincorrono Salvini, replicano alle sue parole. Raramente in questi mesi Conte o Di Maio hanno avuto le prime pagine tutte per loro.
E’ ancora troppo presto per dire, quindi, se ci troviamo davanti al crepuscolo degli dei del Partito Democratico. Indubbiamente, però, si può al contempo affermare che dall’assemblea di pochi giorni fa non è venuta fuori una linea alternativa alla precedente, ma solo rancori, risentimenti e battute acide.
Troppo poco per dichiararsi sulla via del rinnovamento e del rilancio. Sufficiente per presagire che il PD, tra i ferri corti che si incrociano, non abbia più quel futuro davanti a sé che, solo pochi anni fa, col 40% delle europee sembrava avere a vele spiegate.
Il PD non rappresenta più i mercati, non rappresenta più nemmeno chi si illudeva di votare ancora un partito di sinistra. Chi rappresenta? Forse una parte di ceto medio, cosiddetto tale. Quella fetta di popolazione che si sente sicura accanto ad una forza politica moderata, economicamente schierata a destra ma che dichiara di rispettare la Costituzione, i valori di solidarietà, la democrazia. Omen nomen. Almeno questo…
Ma le parole sono significati e i significati stessi sono solo la forma del significante. Non si può alla lunga chiamare “delle libertà” qualcosa che contraddice sempre la libertà stessa. Non si può definire “democratico” un partito che fa politiche sulle migrazioni come quelle contrattate con la Libia. E non si possono scontentare i mercati soprattutto. Qui la semiotica non c’entra niente: il “democratico” inteso dalle grandi borse è mera apparenza per davvero e non si riferisce nemmeno ad un cenno di sostanza, di riferimento alla storia propria, a riferimenti culturali e morali del recente passato. I mercati non  conoscono che il significato del profitto e il significante del profitto è lo sfruttamento senza se e senza ma.
I mercati hanno cambiato cavallo. Un cavallo ben condizionato da una propaganda incessante fatta di paure.
Con le paure si vive male. Per questo si cerca una figura che ci rassicuri. Trasversalmente: un po’ tutti. Dai proletari moderni ai padroni moderni.
La lotta di classe può aspettare…

MARCO SFERINI

http://www.lasinistraquotidiana.it/wordpress/la-grande-crisi-del-pd-abbandonato-dal-popolo-e-dai-padroni/

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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