Il progetto dell’ex ministro delle finanze greche Yanis Varoufakis di lanciare una lista transnazionale di sinistra in vista delle prossime elezioni europee di maggio 2019 potrebbe aver incassato in questi giorni l’adesione del Labour party di Jeremy Corbyn.
di Adriano Manna
Teatro dell’evento è stato l’Edimburg International Book Festival, dove proprio il leader laburista discuteva nei giorni scorsi con Varoufakis della possibile Resourgence of Socialism.
L’evento, molto atteso nei circoli progressisti europei, ha visto l’ex ministro greco farsi portatore dell’urgenza di avviare un grande ressamblement delle sinistre europee organizzate in partiti e movimenti con l’obbiettivo di proporre un grande New Deal su scala continentale da avviare all’interno di un piano di riforma strutturale dell’ormai fragilissima architettura europea, plasmata su di un modello di “sviluppo” neoliberista che ha prodotto diseguaglianze tali da mettere a rischio la stessa tenuta democratica dei singoli stati, aprendo così la strada all’egemonia di massa di partiti di destra ed estrema destra.
La Progressive International ha registrato nel dibattito il consenso dello stesso Corbyn, che ha sottolineato di aver dedicato negli ultimi mesi molta attenzione alla cura dei rapporti internazionali, specialmente col socialista americano Bernie Sanders.
La proposta politica di Varoufakis, che parte dall’embrione del suo movimento Diem25, ha registrato al momento l’adesione di quel che resta della sinistra socialista francese di Benoit Hamon (ormai quasi completamente fagocitata dalla Frence Insoumise di Mélenchon) e del Sindaco di Napoli Luigi De Magistris, oltre che di altri piccoli movimenti presenti in alcuni paesi europei.
Tuttavia la proposta, che pure sotto il punto di vista teorico avrebbe il merito di comporre su un piano più avanzato le sinistre socialiste europee che hanno rotto con la “terza via” dell’era blariana, sembra non voler fare i conti con la realtà del frastagliato mondo politico della sinistra europea, oggi più che mai frammentata non solo sul piano organizzativo, ma anche su quello analitico e strategico.
Non è chiaro infatti, se per i leader socialisti di Francia e Uk questa piattaforma sancirebbe la definitiva uscita dal PSE (il partito del socialismo europeo in cui oggi convivono con la tedesca SPD e il PD italiano, per citare alcuni dei partiti più a destra di quella famiglia), così come non è chiarito il rapporto con la European Left, il partito europeo di cui fanno parte ancora oggi la greca Syriza, la tedesca Linke o l’italiana Rifondazione comunista.
L’appartenenza ai gruppi parlamentari nel parlamento europeo è poi un ulteriore scoglio da superare: questa Progressive International andrebbe a creare un gruppo parlamentare autonomo (ma i Labour nel 2019 dovrebbero comunque uscire dal parlamento con la fine delle trattative sulla Brexit) oppure aderire allo storico gruppo parlamentare rosso/verde del GUE/NGL?
Sono tutti nodi che al momento vengono elusi dai promotori, così come risulta assai difficile immaginare una prospettiva di composizione con l’altra proposta “non tradizionale” messa in campo negli scorsi mesi da Podemos (Spagna), France Insoumise (Francia) e Bloco de Esquerda (Portogallo) che ha una lettura della dinamica europea molto più radicale, ipotizzando anche la rottura con l’Unione europea in caso di impraticabilità della via che guarda alla riforma dei Trattati.
Le conseguenze di questa proposta sul livello italiano poi sono molteplici, e aggiungono confusione ad un quadro che di certo già non brillava per chiarezza: Liberi e Uguali non è al momento in grado di sciogliere il nodo dell’appartenenza europea (la componente di MDP guarda al PSE, Sinistra Italiana è osservatrice di European Left), mentre Potere al Popolo guarda con un certo interesse alla proposta messa in campo da Podemos e France Isoumise, registrando i malumori interni di Rifondazione comunista, che di European Left è stata tra i primissimi promotori ai tempi di Bertinotti.
Del resto, se da una parte è comprensibile la tentazione di Corbyn, che dall’Unione europea è comunque in uscita, di guardare a sinistra del morente socialismo europeo magari ipotizzando piattaforme internazionali dove poter giocare un ruolo da protagonista, non è chiaro come gli altri promotori pensino di presentarsi alle elezioni europee di maggio correndo il rischio di dover concorrere con 2-3 liste per paese a sinistra della social-democrazia ormai in generalizzata crisi di consensi.
Questa totale mancanza di capacità di sintesi tra le forze di sinistra del vecchio continente appare ancora più allarmante nel momento in cui, come lo stesso Varoufakis ha ricordato nel dibattito di Edimburgo (ma politicamente sembra non aver interpretato), le destre nazionaliste europee (tra cui l’italiana Lega Nord) rischiano di compattarsi nell’operazione messa in campo dall’ideologo del Trumpismo americano Steve Bannon, che sta attivamente lavorando in questi mesi per far convergere le forze più oltranziste della destra europea attorno alla fondazione anti-Ue The Movement.
Si tratta di nodi che, almeno per un minimo senso di responsabilità, sarebbe opportuno che i vari leader europei sciogliessero entro l’autunno, magari non costringendo gli elettori di sinistra a dover scegliere tra liste la cui differenza sarebbe percepibile unicamente agli addetti ai lavori.