M5S reclama la testa dei vertici di Bankitalia. Salvini è pronto a concederla e a spingersi addirittura oltre il repulisti reclamato dai soci. Il direttorio della Banca è la vittima sacrificale che dovrebbe ricementare l’alleanza allo sfascio tra Lega e pentastellati, ma la vicenda lascia intravedere, per la prima volta con tanta evidenza, la distanza crescente tra i vertici della Lega. Di Maio e Salvini non si facevano vedere insieme da parecchio. I toni delle loro dichiarazioni erano stati sino a ieri mattina molto diversi quando non opposti. Ieri sono tornati fianco a fianco, a Vicenza, di fronte alla platea dei risparmiatori truffati e sono stati baci e abbracci, non per modo di dire ma davvero. Una messa in scena a uso media per mostrare una compattezza sino a poche ore prima inesistente? Forse. Ma i due, stavolta, parlano la stessa lingua, anzi suonano lo stesso tamburo di guerra. «Chiediamo discontinuità», afferma Di Maio e non stupisce: proprio il suo movimento, nel tempestoso consiglio dei ministri di giovedì scorso, aveva bloccato il rinnovo della vicedirezione di Luigi Signorini a Bankitalia, nonostante a insistere fosse il ministro dell’Economia Tria. «Non possiamo confermare le stesse persone che sono state nel direttorio di Bankitalia nel periodo in cui è successo quello per cui questa gente è oggi qui». La sorpresa è che l’altro vicepremier concorda, anche se in cdm la Lega si era invece schierata con Tria a favore del rinnovo e Giorgetti era uscito molto contrariato dal veto pentastellato. Invece Salvini si lancia in un attacco anche più violento ed è proprio lui a scagliare la prima granata: «I vertici di Bankitalia e Consob andrebbero azzerati, altro che cambiare due o tre persone. Noi oggi siamo qui perché chi doveva controllare non ha controllato». Poco dopo chiarirà che tra i bersagli c’è proprio quel Signorini difeso pochi giorni fa dal suo braccio destro e sottosegretario alla presidenza Giorgetti: «Chi doveva vigilare e non ha vigilato deve trarne le conseguenze». Signorini, il cui mandato scade l’11 febbraio, sembra dunque condannato. Ma nel mirino dei due vicepremier non c’è solo lui. Sono a rischio anche l’altra vicedirettrice, Valeria Sannucci, e soprattutto il direttore generale, numero due della Banca centrale dopo il governatore Visco, Salvatore Rossi. Uno scontro di simile portata tra il potere politico e Bankitalia non si vedeva da decenni. Di tensioni ce ne sono state a iosa, basti pensare agli attacchi dei renziani contro Visco. Ma la battaglia non era mai arrivata a livelli tali da mettere lo stesso funzionamento della banca a rischio, ed è solo l’inizio: il governo è deciso a istituire una commissione parlamentare d’inchiesta sulle banche, e dunque sui mancati controlli, presieduta dal giornalista e senatore Gianluigi Paragone. Sarà un ariete lanciato contro Bankitalia e Consob. A moltiplicare gli effetti esplosivi della bomba è anche il momento in cui viene scagliata. Con un governo traballante, una crisi recessiva prevista ma che sarà peggiore di quanto ci si aspettasse, lo spread di nuovo sul confine di quota 300 e l’Ue di fatto già con la richiesta di manovra correttiva nel cassetto una sfida all’Ok Corral tra governo e banca centrale è quanto di peggio potesse capitare. Si spiega così l’urlo che Tria avrebbe lanciato giovedì notte, in pieno consiglio dei ministri: «Siete matti. Matti». I 5S hanno deciso di sfondare lo stesso, anche se appena pochi mesi fa la conferma del vicepresidente Fabio Panetta indicava maggiore prudenza. Le cose sono cambiate, un po’ perché Bankitalia, con le sue stime negative sulla crescita di quest’anno e le critiche acuminate alla legge di bilancio, è tornata ad apparire come centrale in mano ai «sabotatori». Ma molto anche perché i 5S hanno bisogno di una campagna, e dunque di un nemico da inchiodare alla sbarra, per recuperare consensi. Salvini gli dà man forte, anzi li supera. Perché non vuole lasciare a Di Maio quella bandiera e perché deve evitare il rischio incombente di una crisi prima delle europee. Ma stavolta i due vicepremier tornati per un momento uniti hanno davvero scelto di rischiare tutto.

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

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