Per lungo ignorata, la pratica del lobbismo è criticata per la sua opacità. Tuttavia, i metodi utilizzati a Bruxelles per influenzare le leggi sono noti e mal disciplinati.
Gary Dagorn e Stéphane Horel* – Le Monde
Non hanno fatto molto parlare di sé durante la campagna appena conclusa delle elezioni europee, ma i gruppi di pressione attirano sempre più critiche nella misura in cui è documentata la loro influenza nella fabbrica del diritto europeo.
Il registro comune presso la Commissione e il Parlamento conta attualmente circa 11.800 organizzazioni dichiarate come portatrici di interessi presso i decisori e i funzionari dell’Unione europea (UE). Il numero di equivalentia tempo pieno dichiarati da loro stesse è 24.894. L’organizzazione non governativa Transparency International stima da parte sua in circa 26.500 il numero di lobbisti presenti regolarmente a Bruxelles, e circa 37.300 il numero di persone coinvolte in attività di lobbismo nella capitale belga. Quest’ultimo è il secondo più grande battaglione di lobbisti al mondo dopo la capitale federale degli Stati Uniti, Washington, DC.
Sempre più lobbisti registrati a Bruxelles
Grafico del Numero di organizzazioni registrate come gruppi di pressione in Parlamento e Commissione europea, per tipo.
L’accordo del giugno 2011, rivisto nel 2014 e che istituisce il registro dei lobbisti, li definisce in base all’attività svolta, indipendentemente dal loro status giuridico, che include “tutte le attività condotte al fine di influenzare, direttamente o indirettamente, lo sviluppo o l’attuazione delle politiche e dei processi decisionali delle istituzioni europee, indipendentemente dal luogo in cui siano realizzate e qualunque sia il canale o la modalità di comunicazione utilizzata”.
Quanto spendono?
Il settore di attività è stimato nell’ordine di 3 miliardi di euro all’anno nell’UE, secondo l’indagine del ricercatore Dieter Plehwe di scienze politiche pubblicato nel 2012 sulla base di circa 5.000 organizzazioni registrate sul registro all’epoca. Quindi la cifra è probabilmente molto al di sotto della realtà odierna.
I gruppi di pressione più influenti spendono da soli milioni di euro all’anno. Il Consiglio europeo nel settore chimico, per esempio, spende 12 milioni di euro all’anno e dà lavoro a 78 lobbisti che rappresentano 49 equivalenti a tempo pieno, di cui 23 sono accreditati al Parlamento europeo e possono accedervi come vogliono. Tra i più grandi gruppi di pressione, si trova anche la società Fleishman-Hillard, che ha redatto illegalmente nel 2016, per conto dell’agrochimica Monsanto, una lista di persone classificate in base alla loro presunta opinione sul glifosato (nel bel mezzo di un dibattito sul rinnovo dell’autorizzazione del diserbante https://www.lemonde.fr/planete/article/2019/05/09/fichier-monsanto-des-dizaines-de-personnalites-classees-illegalement-selon-leur-position-sur-le-glyphosate_5460190_3244.html). L’azienda impiega 60 lobbisti, quasi tutti hanno accesso al Parlamento, e spende poco meno di 7 milioni di euro l’anno per difendere gli interessi dei propri clienti nei confronti dei decisori europei.
Con una spesa lievemente inferiore, ma molto più attivo (sul registro), Google è uno dei più grandi gruppi di pressione di Bruxelles. Il grande gruppo digitale impiega solo 15 rappresentanti, ma hanno incontrato ufficialmente 220 membri della Commissione europea.
Chi sono i lobbisti?
“Lobby” significa tutto e niente. La professione del lobbista, d’altra parte, si presenta in forme diverse.
Lobbisti “in-house”: sono quelli che si trovano in maggior numero a Bruxelles. Sono impiegati direttamente da imprese o associazioni di categoria raggruppate per settore, di cui sono membri. I loro nomi vanno dall’acronimo più astratto come ECPA (Associazione europea per la protezione delle colture) al più esplicito come Europatat, creato nel 1952 dai produttori di… patate. Un altro esempio è la Camera di commercio americana o “AmCham”, che non è una camera di commercio ma un’organizzazione che rappresenta gli interessi di circa sessanta importanti aziende statunitensi, come Chevron, Mars, Pfizer o la Walt Disney Company.
Le società di lobbying: sono consulenti impiegati da società di lobbying e di pubbliche relazioni come APCO, Burson Marsteller o Fleishman Hillard. Secondo Sylvain Laurens, docente presso l’Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales (EHESS) e autore del libro Les Courtiers du capitalisme, milieux d’affaires et bureaucrates à Bruxelles (Agone, Marsiglia, 2015), un consulente “junior” arriva a 2.000 euro al mese, mentre un “senior” può salire fino a 6.000 euro. Una posizione di alto livello come funzionario presso la Commissione europea inizia da circa 4.000 euro.
Studi legali: intervengono tanto a monte, al momento della stesura della legge, quanto a valle, per eventualmente contestare la legge in tribunale.
I think tanks (laboratori di idee): mai neutrali, contrariamente a quanto affermano, i think tanks sono importanti veicoli di influenza. Uno dei più importanti di questi, Friends of Europe (FoE), comprende tra i suoi membri industrie di una vasta gamma di settori: finanza, medicina e digitale. FoE ha dichiarato 3,8 milioni di euro in spese di lobby nel registro per la trasparenza dell’Unione europea nel 2018.
Società di difesa del prodotto: sconosciute al grande pubblico e alla maggior parte dei decisori, vendono i loro servizi a imprese e associazioni professionali. Exponent, Gradient o il Gruppo Weinberg impiegano scienziati (statistici, tossicologi, ingegneri, ecc.) per produrre studi che contribuiranno a mantenere il dubbio sulla pericolosità dei prodotti di fronte alle ambizioni normative.
Chi viene influenzato a Bruxelles?
Spesso la parola “lobbismo” evoca i parlamentari. Ma l’influenza sui deputati viene esercitata solo alla fine della corsa. Per essere efficace, è essenziale intervenire il prima possibile sul disegno e sulla scrittura della legge: per modificarla, annacquarla, ritardarla o… cancellarla.
Questa “cattura del regolatore”, come viene definita da una teoria economica liberale delineata negli anni ’70, ha quindi come obiettivo preferenziale i funzionari della Commissione europea, poiché è quest’ultima a detenere il potere dell’iniziativa legislativa.
I “funzionari politici” (responsabili delle politiche pubbliche): sono loro che agiscono al primo livello dell’elaborazione legislativa. Poi vengono i loro capi di unità e i loro direttori. In cima alla gerarchia amministrativa, i direttori generali, e ai vertici della gerarchia politica, i commissari, da non sollecitare che per questioni proporzionali al loro potere, da pari a pari. Ad esempio, non viene inviato un consulente “junior” per discutere con il Commissario per l’industria, ma l’amministratore delegato di un grande gruppo.
I “gruppi di esperti”: un deficit di competenze interne nella costruzione europea ha portato molto presto la Commissione a fare affidamento su questi gruppi. Riuniti in direzioni generali (DG Concorrenza, DG Energia, DG Ricerca, ecc.), gli “esperti” possono essere rappresentanti degli Stati membri – così è nella maggioranza dei casi, degli accademici, membri di ONG o lobbisti. Ci sono quasi 800 di questi gruppi. La loro composizione poco chiara e squilibrata viene regolarmente criticata, in particolare dalla Mediatrice dell’Unione europea Emily O’Reilly. Il gruppo di esperti sulla politica fiscale dell’UE, ad esempio, include PricewaterhouseCoopers (PwC), una società che consiglia oltre 350 multinazionali sulla loro “ottimizzazione fiscale”, nonché “LuxLeaks”.
Le agenzie di regolazione (e le loro commissioni scientifiche): un po’ a parte della fabbrica legislativa di Bruxelles, ci sono anche gli obiettivi di un lobbying altamente tecnico. L’Agenzia per i farmaci (EMA a Londra, poi Amsterdam) o per la chimica (ECHA, Helsinki, Finlandia), sono responsabili del monitoraggio di settori altamente regolamentati. E chi dice regolazione, dice necessariamente lobbismo. Negli ultimi dieci anni, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA), con sede a Parma, è stata criticata per essere vicina agli industriali nei settori che deve controllare e per i conflitti di interesse nel settore dei suoi gruppi di esperti. Nel 2017 l’ONG Corporate Europe Observatory aveva calcolato che quasi la metà dei suoi esperti erano legati all’industria.
Come influenzano la procedura legislativa europea?
Passare il messaggio giusto al momento giusto e alla persona giusta è l’essenza del lobbismo. Sebbene l’influenza possa essere opaca, i metodi impiegati dai professionisti della persuasione sono ben noti e soprattutto legali. Le proposte di emendamenti che scioccano l’opinione pubblica sono il pane quotidiano in Parlamento. Sono scritti sia da rappresentanti di interessi commerciali come da ONG. Tuttavia, rappresentano solo una parte degli strumenti di lobbying.
La prassi del lobbismo ogni giorno diventa più pratica, ossia più burocratica di quanto immaginiamo. Convincere i decisori europei richiede innanzitutto una conoscenza approfondita delle procedure legislative e il funzionamento dell’amministrazione, così come una padronanza impeccabile delle sottigliezze degli organigrammi gerarchici. Questo è il motivo per cui i gruppi di pressione prediligono reclutare personale tra chi ha ricoperto una o più posizioni presso la Commissione. Chiamiamo questi passaggi (spesso senza ritorno) dal pubblico al privato come sistema delle porte girevoli.
Il “giusto messaggio” di solito assume la forma di una dichiarazione di posizione (position paper) sviluppato dal settore o da un’impresa su un progetto legislativo. È ripetuto in occasione di appuntamenti, messaggi e-mail, in allegato, in occasione di conferenze e di eventi organizzati all’interno del Parlamento stesso. Reiterare su molteplici canali di trasmissione: questa è la ricetta da seguire.
Il “momento giusto” si basa sul processo decisionale, che si tratti delle discussioni interne alla Commissione, del dibattito in Parlamento, dei negoziati in seno al Consiglio o dei “trialoghi”, la fase finale della ricerca di un compromesso tra le tre istituzioni europee.
La “persona giusta”, infine, dipende dalla fase del processo. Si tratta per i lobbisti di stabilire relazioni fluide con i funzionari responsabili di un dossier o dei deputati. Per la Commissione, ciò si definisce “dialogo con le parti interessate”.
Come si inquadrano?
Le attività di lobbying sono scarsamente regolamentate e le misure a loro destinate sono relativamente recenti. Il più vecchio è il registro per la trasparenza del Parlamento europeo, sul quale i lobbisti sono stati invitati a registrarsi dal 1995. Anche la Commissione ha avuto in breve tempo un proprio registro, creato nel 2008.
Questi registri si sono poi fusi per fare spazio, nel giugno 2011, a un registro comune a entrambe le istituzioni, ma i rappresentanti dei gruppi portatori di interessi non sono ancora obbligati a fornire informazioni. Uno studio pubblicato nel 2013 sulla rivista Interest Group & Advocacy ha stimato che circa il 75% dei rappresentanti del settore privato e il 60% delle ONG erano presenti nel registro. Secondo il Corporate Europe Observatory, fino al 2013 erano assenti un centinaio di grandi aziende come Apple, Heineken, Nissan o banche come HSBC e UBS.
Leggi: Lobbys : vers plus de transparence au Parlement européen
Sotto la pressione delle ONG e della società civile, la commissione Juncker ha reso obbligatoria la registrazione per i lobbisti dal 1° dicembre 2014 se desiderano incontrare commissari europei, membri del loro gabinetto o direttori generali della Commissione (l’elenco degli incontri è disponibile su IntegrityWatch, un’iniziativa dell’ONG Trasparency International). Un incentivo che ha permesso al registro di raddoppiare quasi il numero di organizzazioni segnalate tra la fine del 2014 e il 2019, ma che non ha risolto l’inaffidabilità delle informazioni. Un’indagine condotta da Corporate Europe Observatory ha dimostrato che le spese dichiarate dalla Monsanto non erano coerenti con le entrate dichiarate dai suoi lobbisti.
Rendere il registro obbligatorio: dopo due anni di trattative, i lavori sono stati sospesi
La promessa iniziale di Jean-Claude Juncker, a cui il candidato aveva dato la priorità, di rendere il registro obbligatorio e applicabile anche al Consiglio dell’UE, tuttavia, ha dovuto attendere fino a settembre 2016 affinché la Commissione presentasse la proposta formale. E per un niente di fatto dato che dopo due anni di difficili negoziati, il lavoro è stato sospeso nell’estate del 2018 dal Vice-Presidente del commissione, Frans Timmermans, che ha giudicato troppo timida la volontà delle istituzioni di stabilire un vero e proprio registro unico e obbligatorio.
Il fallimento della proposta, però, ha provocato la reazione degli eurodeputati che hanno votato il 31 gennaio 2019, una riforma del regolamento interno contenente un emendamento dei Verdi, adottato da una maggioranza molto sottile (per quattro voti), nonostante l’opposizione del Partito popolare europeo (PPE, di destra). Ora il regolamento obbliga i deputati più importanti dei rispettivi dossier legislativi (i relatori, i relatori ombra e i presidenti di commissione) a pubblicare l’elenco di tutti gli incontri programmati con i lobbisti.
I negoziati tra le tre istituzioni, che si sono svolti a febbraio, non sono durati nemmeno due mesi prima di affondare di nuovo. La discussione è tra: “i membri del Consiglio dell’UE, che rifiutano ogni impegno vincolante, il Parlamento, che punta i piedi, e la Commissione, che rifiuta qualsiasi emendamento alla sua proposta originale”, spiega Margarida Silva, ricercatrice presso Corporate Europe Observatory. “Il fallimento dei negoziati è particolarmente cocente per il vicepresidente della Commissione Frans Timmermans, che nel 2014 aveva [anche lui] promesso con orgoglio e vigore questo registro obbligatorio”, continua.
Per un funzionario di Transparency International, “tornare su questo punto manderebbe un segnale disastroso ai cittadini prima delle prossime elezioni”.
* Traduzione in italiano a cura di Resistenze
Fonte originale: https://www.lemonde.fr/les-decodeurs/article/2019/05/23/petit-guide-de-lobbyisme-dans-les-arenes-de-l-union-europeenne_5466056_4355770.htmlCondividi