Conte Tris? Conte Ter? Conte 3°? Comunque lo vogliate immaginare, sembra improbabile che il Quirinale sia disposto ad una rimodulazione della maggioranza di governo attuale qualora Italia Viva di Matteo Renzi aprisse la crisi sulla base della vicenda della prescrizione. Di cosa si tratti per davvero lo sanno gli addetti ai lavori parlamentari e qualche centinaio di migliaia di italiani maniacali che leggono cronache sui giornali, spiegazioni giuridico-tecniche per dipanare un poco la materia che, a dirla tutta, non è semplice da comprendere.

In poche parole, il nostro sistema giuridico prevede la “prescrizione“, un istituto che riguarda i cosiddetti “effetti giuridici” nel trascorrere del tempo. Questo significa che una processo non può rimanere “pendente” in eterno, ma deve svolgersi in ragionevoli tempi.

I greci antichi prevedevano un reato prescritto entro un lustro, cinque anni: secondo quanto possiamo leggere dai testi che ci sono pervenuti, il meccanismo della prescrizione era stato introdotto per evitare che i processi venissero inquinati da testimonianze false, da persone che, dietro corruzione, quindi tramite il pagamento di una somma in denaro, testimoniassero il falso. Si trattava dei “sicofanti“, termine che si usa ogni tanto proprio per definire coloro che diventano attori di una giustizia ingiusta, deviata, pervertita da calunnie che, come si sa, sono un venticello, ma potente.

Passando dalla Grecia di Demostene ai tempi nostri, quelli della “riforma Bonafede“, l’intervento che il governo intende fare, tramite la spinta propulsiva primaria del Movimento 5 Stelle, riguarda la prescrizione in toto, che verrebbe – nella prima stesura del testo – abolita già dopo la sentenza di primo grado (in Italia esistono tre gradi di giudizio… è bene ricordarlo), sia che si venga assolti, sia che si venga condannati.

Dunque, senza prescrizione, i tempi processuali, inevitabilmente, possono allungarsi, sostengono i detrattori della riforma del ministro grillino; ma parimenti, affermano i suoi sostenitori, la prescrizione ormai da garanzia processuale per l’imputato ha finito con l’essere privilegio del medesimo nel trascinarsi lento delle cause nelle aule di giustizia, assumendo le fattezze di una assoluzione per effetto dell’”estinzione del reato“.

Siamo in piena contraddizione giuridico-politica: la prescrizione finisce con lo scontentare tutti. Chi la vuole mantenere pelosamente per evitare l’arrivo delle sentenze (lamentando proprio ciò che invece anela alimentare: le lungaggini processuali) e chi la vuole cancellare del tutto per evitare il prolungarsi di procedimenti penali e civili che, nei fatti, languono nei faldoni delle procure della Repubblica e vedono la parola “fine” dopo tanti, troppi anni.

La “riforma Bonafede” in prima stesura era, effettivamente, tranciante, inappellabile, un taglio netto e deciso ma, indubbiamente, rappresentava una diminuzione generale delle garanzie che il diritto italiano ha sempre mantenuto nell’ordinamento giuridico repubblicano. Per questo il dibattito interno al governo si è tenuto nei termini di una riforma della riforma, di un compromesso da raggiungere cercando di non cancellare completamente l’originale ispirazione grillina ma coniugandola con una visione garantista della giustizia, che possa evitare il confondersi della prescrizione con una estinzione del reato sempre più simile ad una assoluzione raggiunta per sfinimento, per consunzione, per esaurimento procedurale che si perde nella notte dei tempi.

Il nuovo punto di arrivo (o di caduta, è proprio il caso di dirlo, viste le avvisaglie renziane in merito alla sfiducia al ministro della Giustizia) è stato il cosiddetto “Lodo Conte“, partorito dopo lo scontro sulla proposta di legge di Enrico Costa (Forza Italia) e sul “Lodo Annibali” (in sostanza una richiesta di rinvio di un anno della riforma di Bonafede), che non è stato proposto – come trarrebbe in inganno il cognome – dal Presidente del Consiglio dei Ministri ma dal deputato di Liberi e Uguali Federico Conte.

Un pasticcio incostituzionale abbastanza evidente, così sintetizzabile: differentemente dalla proposta di Bonafede, Conte nel suo primo “lodo” prevede una differenziazione tra condanna e assoluzione dell’imputato per quanto concernente la successiva applicazione dell’iter della prescrizione. Se condannati in primo grado, la prescrizione viene sospesa; se assolti, invece, rimane.

Tutta questa discussione è avvenuta nella aule parlamentari e di governo più con i lineamenti di un pretesto per mantenere in piedi o far cadere il governo rispetto al reale merito del contendere. I magistrati hanno espresso perplessità e critiche, ribadendo che la durata dei processi è un problema reale ma la prescrizione non è il problema in sé e per sé, perché, in quanto strumento di garanzia per tutti i cittadini, non è addebitabile al singolo imputato la farraginosità di movimenti della macchina della giustizia italiana.

E’ pur vero che, anche nel recente passato della nostra storia politica e – pertanto – anche (tristemente) processuale, la prescrizione è tornata utile a molti imputati condannati in primo grado e il cui reato è andato poi prescritto per decorrenza dei termini impedendo una reale applicazione delle norme e della giustizia stessa.

Tutta questa vicenda ricorda molto altre garanzie costituzionali e del diritto italiano create per evitare storture e deviazioni autoritarie, come l’immunità parlamentare, nata dopo il ventennio fascista e la guerra per tutelare il diritto di espressione e di agibilità dei deputati e dei senatori della Repubblica e divenuta nel periodo di Tangentopoli uno scudo anti-giustizia gestito dalle varie maggioranze e assetti di potere politico-economico che si venivano formando di volta in volta.

Adesso, sembra che la partita sulla tenuta del Conte 2 si giochi tutta sulla prescrizione e che per Renzi e Italia Viva sia diventato il fulcro su cui puntare per mettere l’esecutivo davanti ad un punto di principio e di garanzia costituzionale, mentre è evidente che si tratta dell’ennesimo specchietto per le allodole, se non per decretare la crisi di governo, quanto meno per tastare il polso della situazione, le altre sponde cui fare riferimento, maggioranze alternative e, prima di tutto, la sopravvivenza del piccolo partito creato dall’ex sindaco di Firenze che, qualora si andasse al voto con la nuova prevista legge elettorale, avrebbe del filo da torcere per entrare in Parlamento.

Quanto al “Lodo Conte bis“, riforma della riforma della riforma, riforma proposta da Federico Conte rispetto alla sua prima proposta in merito alla riforma della prescrizione di Bonafede, rimane la differenziazione tra condanna e assoluzione in materia di successiva applicazione della prescrizione, ma rimane solamente lo stop all’estinzione del reato in caso l’imputato sia ritenuto colpevole circa il reato contestatogli. Inoltre, qualora il condannato venga assolto nel successivo grado di giudizio, potrà recuperare i termini di prescrizione che erano stati bloccati. In caso, invece, di condanna anche in appello, rimane invece la sospensione della prescrizione.

Tutto questo riguarda la “cronaca” di un conflitto fra forze di governo che si contendono i prossimi assetti parlamentari in vista di un voto politico che scardinerà gli attuali rapporti tra le varie formazioni e persino le alleanze che siamo abituati ormai a credere come indissolubili, polarizzate. Una politica italiana dove si suona la musica del ritorno al bipolarismo, dove si rende sempre meno presente la garanzia costituzionale per le minoranze, per le voci che dissentono e dove prevale la logica maggioritaria in tanti settori della vita sia istituzionale sia sociale.

Quello che, almeno in tema di prescrizione dei reati, preoccupa e dovrebbe seriamente preoccupare è l’applicazione delle misure di garanzia che dovrebbero valere per tutti e che invece hanno spesso ceduto alla logica del classismo, per cui dei benefici hanno goduto i grandi evasori fiscali, i peggiori imputati di questo Paese e sono rimasti invece in carcere cittadini, persone prive di un sostegno legale importante, fatto di avvocati di lustro, spesso impossibilitati – proprio economicamente – ad avere una adeguata difesa davanti ad un sistema che reprime il dissenso e lo tratta sovente come crimine se osa superare i limiti della legalità ma rimanere in quelli della conservazione dei beni comuni, della giustizia sociale.

Invece la lotta sulla riforma della prescrizione si fa a colpi di rapporti di forza politici, senza quella necessaria visione giuridica egualitaria che dovrebbe ispirare il nostro diritto, emanazione della nostra Costituzione.

Che il governo rimanga in piedi o che cada sulla finta questione della riforma della prescrizione, è secondo voi rilevante ai fini di un serio riordino del sistema di classe che uniforma di sé la giustizia italiana? Se la risposta è “no“, allora forse una speranza la giustizia ce l’ha e ce l’hanno tutti quei “poveri cristi” che si sono battuti per allargare i diritti civili e sociali.

I giochi di potere devono poter trovare un punto di forza (o di debolezza…) su cui vertere, svilupparsi e alimentarsi per far credere che il problema sia quello di turno e non un riassetto degli equilibri economici sul piano della loro rappresentanza politica.

Il dramma vero è che una parte di buona fede c’è anche in alcune forze di governo. Ma a prevalere è sempre l’interesse particolare e mai veramente quello comune.

Adesso è toccato alla prescrizione, domani toccherà ad un’altra legge elettorale e dopo domani ancora ad una legislazione sui rapporti internazionali tra gli Stati… Un motivo per litigare lo si trova sempre. Ciò che conta è che tutto rimanga com’è, facendo finta che tutto possa e debba cambiare.

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

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