di Richard Falk

[Nota preliminare: La legge internazionale, così come molto altro di valore, è finita in tempi duri, violata e ignorata, quando applicabile e necessaria. Anche se questo stato delle cose è deplorevole mentre il pianeta brucia e popoli vulnerabili soffrono per pericoli ecologici e geopolitiche predatorie, è ora di intensificare la lotta e non starsene a casa seduti in disperazione. Questo saggio in una forma leggermente modificata è stato scritto a richiesta di Fikir Turu, un fonte in rete di giornalismo attiva dalla Turchia e pubblicata in turco. E’ stata pubblicata anche una versione inglese su Trascend Media Service, TMS, il 17 febbraio 2020].

La legge internazionale delude in tantissimi modi, rendendo facile trascurare perché, nonostante i suoi difetti, resta preziosa e, in verità, vitale per il benessere umano. Io metto qui da parte la sua utilità per gestire le dimensioni turistiche, commerciali e finanziarie, marittime e di rete della vita internazionale e transnazionale, che la maggior parte di noi dà per scontate fino a quando qualcosa non va storto. E prendo anche atto dell’incapacità della legge internazionale di soddisfare le speranze di idealisti che suppongono che la legge, di per sé, possa mettere al bando le guerre o assicurare che le dispute internazionali siano risolte applicando la legge piuttosto che esercitando la forza. Se siamo attenti agli eventi correnti, quando i media riferiscono problemi di guerra/pace concluderemmo rapidamente che evocare la legge internazionale in simili contesti di alto profilo significa non essere informati su come gli stati sovrani si comportano nel perseguire i loro interessi economici e politici più importanti cioè, in aree che riguardano la sicurezza, affidandosi alla loro forza militare e alle loro relazioni di alleanza e non credendo che, fintanto che le loro azioni e politiche sono dalla parte giusta della legge, non abbiano nulla di cui preoccuparsi.

Su questo sfondo, la mia valutazione suggerisce che la legge internazionale sia più importante, anche in situazioni di guerra/pace, di quanto si rendano conto gli uomini che tuttora prendono le grandi decisioni di politica estera. Un punto importante qui è un riflesso della svolta globale a governi guidati da figure politiche antidemocratiche che hanno conquistato il potere vincendo libere elezioni. Il pubblico votante in molti paesi guida pare pronto a sostenere governi che si sbarazzano delle libertà civili, della protezione dei diritti umani fondamentali, e passano persino a sovvertire l’indipendenza dei rami giudiziario e legislativo del governo. Alcune delle politiche di tali autocrati violano norme fondamentali della legge internazionale, come quando una minoranza è perseguitata attraverso pulizia etnica o politiche genocide o in modi più limitati negando diritti di libera espressione a voci dissenzienti sui media, tra leader di opposizione dentro e fuori il governo e nelle università.

In tali circostanze resta utile per i sostenitori della vera libertà essere in grado di appellarsi alla legge internazionale come parametro autorevole in base al quale valutare il comportamento del governo denunciato quale abusivo.  A questo riguardo il ricorso del Gambia alla Corte Internazionale di Giustizia per contestare il genocidio dei rohingya da parte del governo del Myanmar e, analogamente, l’attuale tentativo della Palestina di convincere la Corte Penale Internazionale a indagare presunti crimini contro l’umanità commessi da Israele contro il popolo palestinese illustrano il significato politico della legge internazionale anche quando non in grado di disciplinare il comportamento colpevole. Sono, entrambi, casi di alto profilo di evidenti crimini internazionali che diversamente potrebbero essere celati dietro il pesante sipario della sovranità nazionale. Le linee guida della legge internazionale sono cruciali nel sollevare le voci dell’opinione pubblica e persino di qualche governo su tali temi di rilevanza morale in un modo efficace, ed essenziali per ottenere accesso a istituzioni internazionali in alcune circostanze di crimini di stato in modo da contestare, e almeno documentare, in modo influente la criminalità.

Indicare tali opzioni non significa suggerire che la dirigenza del Myanmar o di Israele ripudierà necessariamente le sue politiche del passato o modificherà il suo comportamento abusivo. Quello che si ottiene è una certa riduzione della legittimità e questo può contare a sufficienza per moderare e scoraggiare, se non trasformare, il comportamento. Moderni di orientamento più liberale possono essere meno inclini a intrattenere relazioni favorevoli o ad accettare di partecipare a eventi culturali o sportivi con grossolani violatori dei diritti umani e di elementari norme giuridiche. Questo genere di sottili riconoscimenti di illeciti ha realmente un impatto, anche se raramente riconosciuto, fino a quando ha inaspettatamente luogo un qualche cambiamento fondamentale, come per esempio quando l’apartheid sudafricano ha ceduto alla pressione internazionale e ha smantellato il segregazionismo. Un esempio legale interessante si è verificato negli anni Ottanta quando gli Stati Uniti stavano minando i porti del Nicaragua per esercitare pressioni illecite su governo di orientamento marxista che controllava quel piccolo paese. Il governo nicaraguense non poteva sperare di contrastare con la forza politiche statunitensi che parevano violare il primato della legge internazionale che condannava tutti gli usi della forza internazionale a eccezione di quelli rientranti in casi attentamente definiti di autodifesa, ma aveva ricorso alla Corte Internazionale di Giustizia a causa di un oscuro trattato che conferiva tale opzione nel caso una disputa tra i due governi non potesse essere risolta mediante negoziati diretti. Gli USA si rifiutarono di partecipare a tale procedura giudiziaria, ma nonostante ciò la Corte Mondiale dell’Aja accettò il caso e la maggioranza dei suoi giudici concordò che il Nicaragua aveva una rimostranza legale convincente e si pronunciò in tal senso. Il giudice statunitense nel più alto tribunale dell’ONU difese le politiche statunitensi e Washington denunciò la sentenza. E tuttavia, alcuni mesi dopo, gli USA smisero di minare i porti del Nicaragua e, in effetti, si adeguarono riservatamente alla decisione che difendeva l’applicabilità della legge internazionale.

Anche il Myanmar monta la sua difesa più forte possibile assumendo una squadra di esperti occidentali della legge internazionale per presentare il suo caso. Strateghi e studi di esperti israeliani avvertono il governo che attacchi alla legittimità di Israele, cioè iniziative di censura della sua flagrante illegalità, sono minacce maggiori alla sicurezza di Israele che non la lotta armata palestinese. Avere dalla propria parte la legge e la morale si è dimostrato una risorsa generale maggiore, in conflitti politici violenti dal 1945, rispetto al dominio sul campo di battaglia. Gli Stati Uniti persero la guerra in Vietnam negli anni Sessanta nonostante controllassero le dimensioni militari convenzionali del conflitto, come accadde all’Unione Sovietica quando, più di un decennio dopo, intervenne in Afghanistan. I maggiori governi del mondo sono lenti nell’imparare da questo genere di sconfitte perché il militarismo è incorporato nel DNA della loro politica. Questo riflette la fede obsoleta nella superiorità militare come motore principale della storia e fondamento della sicurezza nazionale. Quello che è trascurato è che fin dalla Seconda guerra mondiale il popolo, non gli eserciti, ha vinto i conflitti caratteristici degli ultimi 75 anni e le sue più elevati aspirazioni di autodeterminazione e stato politico indipendente sono state allineate con la legge internazionale. In questo senso grandi stati, e anche stati piccoli e medi, starebbero molto meglio se le loro politiche nelle aree di guerra/pace e sicurezza aderissero alle linee guida della legge internazionale piuttosto che seguire i dettati discrezionali e le priorità di spesa dei realisti del potere duro. Nella misura in cui questa valutazione del ruolo cambiato del potere nelle relazioni internazionali è corretta, la Cina spicca nel comprendere che i vantaggi di sposare il realismo del potere morbido, mediante commercio, investimenti e diplomazia intelligente, sono il modo per espandere l’influenza e accrescere la statura nel ventunesimo secolo. In questo senso fondamentale, la legge internazionale, che può essere concepita come un calcolo di potere morbido in relazione all’uso della forza, ha un potenziale inesplorato di guidare i governi e i loro cittadini a un futuro pacifico, prospero ed ecologicamente sostenibile, ma solo se sono scartati i miti militaristi e i complessi militari-industriali-mediatici.

La legge internazionale mette anche disposizione dei deboli e vulnerabili un mezzo per costruire sostegno alle loro lotte contro usi abusivi del potere statale, anche individuando modi giuridici per opporsi a leader autocrati che si affidano a una “guerra legale” regressiva per soffocare il dissenso e reprimere la libertà di espressione. Ad esempio, le vittime possono appellare i loro casi presso speciali relatori dei Comitato dell’ONU sui Diritti Umani che possono dare visibilità politica, credibilità morale/legale e a volte esercitare una pressione efficace su governi accusati di violare diritti fondamentali. L’autocrate eletto delle Filippine, Rodrigo Duterte, usa la sua manipolazione dei rami legislativo e giudiziario del governo per incastrare e incarcerare avversari politici e dissidenti, mentre le iniziative di solidarietà che reagiscono invocando gli standard e le procedure della legge internazionale per contrastare tale comportamento illegale ricorrono , in effetti, a tattiche di guerra legale progressista.

Infine, l’attivismo della società civile formula i propri programmi e costruisce il proprio sostegno accendendo i riflettori sull’illegalità di governi in base alla legge internazionale, specialmente in relazione ad attori geopolitici che godono di un’effettiva. Ci sono molti usi simili della legge internazionale, risalendo ai tribunali sulla Guerra del Vietnam organizzati nei tardi anni Sessanta con il sostegno di Bertrand Russell, che formularono giudizi legali sulle violazioni della sovranità vietnamita ad opera dell’intervento militare a guida statunitense. Un altro esempio notevole è stato il Tribunale sulla Guerra dell’Iraq tenuto a Istanbul nel 2005, che riunì esperti legali e personalità morali/culturali per approvare giudizi sulle affermazioni spurie che l’attacco militare e l’occupazione britannico-statunitense dell’Iraq fossero coerenti con norme fondamentali della legge penale internazionale. Una tale procedura legale non fermò l’occupazione ma rafforzò la volontà politica degli oppositori di tali politiche e offrì una base documentale dell’illegalità geopolitica che non avrebbe potuto essere redatta se non fosse esistito un quadro legale internazionale e se non avesse goduto dell’avallo formale degli stati il cui comportamento era giudicato.

Infine, possiamo e dovremmo continuare a lamentare i limiti della legge internazionale, ma se cerchiamo un ordine internazionale che rispetti i diritti e sia più pacifico, è vitale apprezzare il ruolo attuale e potenziale della legge internazionale. Può offrire linee guida politiche costruttive per i decisori e i leader, un migliore allineamento della politica estera con gli interessi nazionali, considerati i crescenti limiti dell’utilità della forza militare nella situazione contemporanea. Consente anche all’attivismo della società civile di basare le sue iniziative di solidarietà sulle fondamenta della legge internazionale, anziché su una mera passione politica, e può servire da deterrente per alcuni governi dal perseguire politiche che violino gli standard umani internazionali e che probabilmente indebolirebbero la loro reputazione di membri responsabili della società mondiale. Naturalmente sarebbe sbagliato aspettarsi troppo dalla legge internazionale persino in questo periodo in cui anche quegli stati che rivendicano la legittimità della politica democratica stanno scegliendo dirigenti e adottando politiche che si sottraggono a tali valori e pratiche. Molti di noi stanno scoprendo che la democrazia procedurale, come principalmente espressa in libere elezioni e partiti politici indipendenti, offre scarsa garanzia che i vincitori politici aderiscano al primato della legge, cioè che alle norme e alle soluzioni politiche della democrazia sostanziale, quando in posizioni di autorità politica. Tale delusione è accentuata dal crescente numero di prove che tali leader mantengono la loro popolarità presso la cittadinanza anche quando sono violatori della legge senza scrupoli. E, naturalmente, è presente un minore attrito politico e morale quando le leggi distorte o violate riguardano la politica estera. La legge internazionale non è rafforzata a questo punto da aspettative populiste di rispetto, anche se considerazioni di primato della legge sono invocate quando uno stato è messo nel mirino per interventi o sanzioni.

da Znetitaly – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: https://zcomm.org/znetarticle/respecting-international-law-a-practical-argument/

Originale: Richardfalk.com

Traduzione di Giuseppe Volpe

Traduzione © 2020 ZNET Italy 

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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