Putin non vede l’ora di dare una calmata al falco turco
Idlib è l’ultimo avamposto di Erdogan, ma i combattimenti vanno oltre la Siria – sta prendendo forma un’altra guerra per procura della NATO contro la Russia.
Quel fastidioso “regime di Assad” semplicemente non se ne andrà. La narrativa occidentale sulla Siria dice che il regime sta per “massacrare” le oltre 900 mila persone in fuga dalle zone non realmente di tregua, attorno alle campagne tra Idlib e Aleppo.
Come sempre, manca il contesto. Le masse in fuga – in pratica sunniti dell’ala conservatrice – hanno vissuto in queste aree sotto il giogo delle miriadi di incarnazioni di Al Qaeda presenti in Siria. Sia che le sostenessero o che facessero del loro meglio per sopravvivere, ora sanno sicuramente che l’offensiva dell’Esercito Arabo Siriano (SAA) è seria, e che tutte le tane degli jihadisti saranno bombardate, protette o no da scudi umani.
La storia più rilevante, ancora una volta, è cosa voglia il sultano Erdogan. Ankara e Mosca – entrambi partner del tavolo di Astana che teoricamente dovrebbero costruire il sentiero per la pace in Siria – sono ad un punto di svolta. Ci sono state prolungate conversazioni prima di questa settimana, e una telefonata cruciale tra Erdogan e Putin venerdì notte. La fase di stallo rimane, sembrano avere solo concordato di “intensificare i contatti”.
Ankara ufficialmente “non accetta il piano di attenuazione degli scontri messole davanti da Mosca”. Il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov pone in evidenza che è sempre lo stesso programma, non sono state aggiunte richieste. Ma Erdogan sta minacciando in modo impulsivo una ripetizione di “Scudo dell’Eufrate” o di “Primavera di Pace”, finalizzate ad invadere Idlib “in qualsiasi momento”.
Mosca, vicina all’esasperazione, è ad un passo dal fargli una ramanzina.
Idlib è l’ultimo avamposto di Ankara per avere qualcosa con cui negoziare una volta che si aprirà il processo di pace in Siria. Erdogan e i suoi consulenti, in maniera realistica, dovrebbero sapere che i settori nord ed ovest di Aleppo sono tornati definitivamente sotto il controllo di Damasco.
L’esercito turco si trova soprattutto nella zona delle campagne ad est della città di Idlib, ed in una cittadina chiamata Atarib. I veri combattimenti sul terreno di Idlib non vengono condotti dai militari turchi, ma per più dell’80% da milizie nebulose di Jihadisti e proto-jihadisti che l’Occidente ama descrivere come “ribelli”, Hayat Tahrir al-Sham (HTS, detto anche Al Qaeda della Siria), il partito islamico del Turkestan ed altre bande più piccole.
La tesi di Ankara è che queste unità “ribelli” verranno dissolte una volta che vi sarà una stabilità politica. Ma questo è un controsenso. Il governo turco si aspetta che le persone credano che un giorno quelle decine di migliaia di “ribelli” siano forniti di armi, ed il giorno successivo essi le depongano tutte tornandosene a casa per aprire un chiosco di kebab.
Una calamita per i terroristi
Washington, almeno in via ufficiale, non invierà truppe statunitensi per aiutare il suo “alleato della NATO”. Ankara conta certamente ancora di ottenere intelligence e ulteriori armi. Erdogan vuole i missili Patriot installati ad Hatay, vicino al confine. Se questo dovesse avvenire, il Pentagono non li spedirebbe loro direttamente, arriverebbero attraverso i membri della NATO.
Il quadro geopolitico evidenziato da Idlib è di una chiarezza cristallina. Questo va molto oltre Ankara contro Damasco: sta prendendo forma, sinistramente, ancora un’altra guerra per procura tra NATO e Russia, condotta alla fin fine da Erdogan.
Anche il Pentagono si lascia sfuggire [in inglese], inavvertitamente, che Idlib è un “magnete per i terroristi”. Ma dal punto di vista di Washington questo resta un affare. Qualsiasi serio “passo falso” sarà il benvenuto se portasse alla rottura dell’intesa fra Turchia e Russia, faticosamente ricostruita da entrambe le parti dopo la vicenda dell’abbattimento [in inglese] di un jet russo Sukhoi alla fine del 2015.
Mosca è capace di leggere attraverso la follia di Erdogan. I russi hanno detto forte e chiaro che non sarà tollerata alcuna avventura militare intrapresa dai turchi. È come se Erdogan, immerso nella sua Desperation Row, fosse incurante del fatto che questo getterebbe tutti nel territorio di uno scontro dagli esiti imprevedibili tra Russia e NATO. Erdogan, come minimo, sta ricevendo allarmi rossi dagli esperti di relazioni internazionali, che vedono il pericolo per Ankara nel combattere una guerra per procura in Siria per conto di Washington.
La strategia della NATO è molto confusa allo stato attuale. Fonti diplomatiche da Bruxelles dicono che la nuova offensiva della NATO sta tentando di interferire profondamente sia in Iraq che in Giordania allo scopo di mantenere irrisolta la situazione in Siria.
A complicare le cose, un nuovo rapporto [in inglese] della RAND Corporation, intitolato “Il percorso nazionalista turco”, ha evidenziato numerose contrasti in atto sia ad Ankara quanto ad Istanbul, ipotizzando un nuovo golpe militare in Turchia, dopo l’avventura fallita del 2016.
Questa potrebbe essere anche una pia illusione o una “raccomandazione” a Trump da parte dello Stato Profondo. Entrambi gli scenari sono plausibili. È facile immaginare la lunga serie di notti insonni di Erdogan, impegnato a cercare di capire chi siano i suoi veri amici.
E come se tutto questo non fosse abbastanza confuso, le relazioni tra la NATO e la Russia rimangono congelate. Una settimana fa, il ministro degli Esteri Sergey Lavrov ha incontrato il Segretario Generale della NATO, il contraddittorio Jens Stoltenberg, a Monaco di Baviera. Fra la Russia e il concilio della NATO non vengono prese in esame comunicazioni di livello militare, ma solo politico. Mosca non smette mai di evidenziare la quasi totale mancanza di fiducia tra le due parti, che può portare solo ad escalation pericolose, inclusa la Siria.
Non c’è altra possibile soluzione possibile per Idlib se non quella di ritagliare qualche sfera d’influenza per la Turchia entro un confine che sia accettabile per Erdogan. Ma poi lo sconfitto sarebbe Damasco, ora nel pieno dell’entusiasmo per essere rientrato in possesso della sua sovranità territoriale, a qualsiasi costo. Ma poi ancora una volta, la chiave sarà quanto ci vorrà alla Russia per placare finalmente il falco turco?
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Articolo di Pepe Escobar pubblicato su Asia Times il 22 febbraio 2020
Traduzione in italiano di Michele Passarelli per SakerItalia
[le note in questo formato sono del traduttore]