Diceva qualche tempo fa in una intervista Ezio Bosso: “È stata una vita basata sul lottare, sul pregiudizio. Fin da bambino ho lottato col fatto che un povero non può fare il direttore d’orchestra, perché il figlio di un operaio deve fare l’operaio, così è stato detto a mio padre”.
E invece no, perché – diceva Bruno Trentin – anche ‘l’operaio può suonare il clavicembalo’ ed anche il figlio di un operaio può diventare direttore d’orchestra, una grandissimo direttore d’orchestra. Anche per questo grazie Ezio.
Grazie per averci dimostrato che il corpo è solo il contenitore della mente. Per averci insegnato a superare i confini, i limiti. Per averci fatto capire che sono le nostre debolezze e le nostre imperfezioni a renderci speciali in un mondo che ci vorrebbe tutti uguali. Grazie per averci dimostrato che il figlio di un operaio, se messo nelle condizioni di studiare, può fare tutto. Perché la cultura è un’arma potente in un mondo che ci vorrebbe tutti ricchi, bellissimi ed omologati.
Lo diceva Peppino Di Vittorio e noi lo pensiamo ancora: “Io non sono, non ho mai preteso, né pretendo di essere un uomo rappresentativo della cultura. Però sono rappresentativo di qualche cosa. Io credo di essere rappresentativo di quegli strati profondi delle masse popolari più umili e più povere che aspirano alla cultura, che si sforzano di studiare e cercano di raggiungere quel grado del sapere che permetta loro non solo di assicurare la propria elevazione come persone singole, di sviluppare la propria personalità, ma di conquistarsi quella condizione che conferisce alle masse popolari un senso più elevato della propria funzione sociale, della propria dignità nazionale e umana… La cultura non soltanto libera queste masse dai pregiudizi che derivano dall’ignoranza, dai limiti che questa pone all’orizzonte degli uomini: la cultura è anche uno strumento per andare avanti e far andare avanti, progredire e innalzare tutta la società nazionale…Io sono, in un certo senso, un evaso da quel mondo dove ancora imperano in larga misura l’ignoranza, la superstizione, i pregiudizi, gli apriorismi dogmatici che derivano da questa ignoranza. Io lo conosco quel mondo, profondamente. Ci sono vissuto e so quanto siano grandi gli sforzi che occorrono per tentare di uscirne. Ma in quel mondo, dietro quel muro, vi sono ancora milioni di italiani, milioni di fratelli nostri. Tutte le iniziative, tutte le forme di organizzazione, tutti i tentativi debbono essere fatti per accorrere in aiuto di questi nostri fratelli, per aiutarli a liberarsi da questa ignoranza, perché anch’essi possano provare a sentire le gioie e i tormenti dell’accesso al sapere. Dobbiamo andare fra quelle masse di nostri fratelli, chiamarle, stimolarle alla vita nuova, al sapere, al conoscere, a vedere alto e lontano; dobbiamo andare come un trattore potente su un terreno incolto da secoli per fecondarlo e trarlo a coltura, a vita, a bene della società…”.
Ancora grazie Ezio, perché 70 anni dopo ci hai dimostrato quanto questo sia ancora attuale, quanto ancora ci sia bisogno di impegnarci e lottare, con la consapevolezza di servire una causa grande, una causa giusta.
Ilaria Romeo