Riceviamo e pubblichiamo
di Franco Astengo
11 luglio 1995: venticinque anni fa iniziava il massacro di Srebrenica.
Il massacro sarebbe proseguito per diversi giorni e alla fine si sarebbero contati 8.372 vittime, uomini e ragazzi musulmani bosniaci sacrificati per una vera e propria pulizia etnica.
Non è il caso, in questa sede, di entrare nei particolari di quella storia che in questi giorni sono ricordati da tutti i mezzi di comunicazione di massa.
Un genocidio , quello di Srebrenica, prima negato, poi ammesso, poi nuovamente negato al punto che oggi c’è ancora chi si batte contro questo negazionismo e cerca di ritrovare le fosse comuni che mancano all’appello.
Nel memoriale di Potocari,infatti, sono sepolti soltanto 6.600 resti di persone ritrovate, in un paese dilaniato nel quale il confronto con il passato, tra sterminatori e vittime, non sta facendo passi avanti.
Ricordiamo soltanto alcuni passaggi di questa tragica storia: Il genocidio avvenne nella cittadina di Srebrenica l’11 luglio 1995, davanti agli occhi passivi del contingente olandese della missione di peacekeeping UNPROFOR, incaricato di tutelare la zona, dichiarata “area protetta” dalle Nazioni Unite nel 1992. Sotto il sole di luglio, mentre il leader nazionalista serbo-bosniaco Ratko Mladić rassicurava l’UNPROFOR, gruppi di paramilitari massacravano la popolazione di Srebrenica: più di ottomila Bosgnacchi, prevalentemente maschi, furono ammazzati nel giro di qualche settimana. Ciò che accadde a Srebrenica rappresentò solo il culmine, l’apoteosi di un piano – quello della pulizia etnica – attuato per tutto il periodo di guerra e volto a “purificare” i territori da presenze “scomode”. Lo stupro etnico ne fu un altro palese esempio: esercitato metodicamente e sistematicamente, aveva lo scopo di “contaminare” le donne non serbe, spesso detenute in campi di prigionia speciali affinché non potessero interrompere la gravidanza.
A distanza di 25 anni il negazionismo imperante, come è successo per tanti altri analoghi fatti storici, impone a noi ancora una volta di “immedesimarci nella strage”.
E’ il caso di lanciare un messaggio:
Il nostro pensiero va elevato al livello che ci viene richiesto per portare avanti l’affermazione di una “non indifferenza” della storia.
Rispetto a questa scadenza della nostra memoria non possiamo permetterci l’indifferenza.
In quei giorni imparammo che la lezione dei campi sterminio nella seconda guerra mondiale, la lezione della nazista” soluzione finale” e dei deliri del dott. Mengele non era stata appresa anzi messa in un canto, rifiutata.
L’indifferenza, il silenzio indifferente, di un popolo e di vari popoli europei fu terribile. Ci sono ancora oggi nazioni che mettono il veto perché nei consessi internazionali si usi la parola “genocidio”.
Che cosa è l’indifferenza? Secondo la grammatica italiana, è uno stato tranquillo dell’animo che, di fronte a un oggetto, non prova desiderio né repulsione; di fronte a una decisione volontaria, non propende né a un termine né a un’altra alternativa. Inserito in un contesto linguistico, il termine assume un connotato di semplice biasimo, tuttavia è quando viene introdotto nella storia che rivela il suo lato più oscuro. Dante la definiva ignavia, Gramsci “Il peso morto della storia” e per quanto possa sembrare una tematica scontata, è uno dei problemi sempre attuali che tiene sotto scacco gli studiosi per una corretta lettura e interpretazione del passato.
Srebrenica è stato un genocidio e con un tale orrore, ritornato all’epoca sulla scena della storia, dobbiamo fare i conti tenendo desta la nostra mente.
Davanti alla memoria di Srebrenica non possiamo sopportare l’annullamento delle coscienze e l’apatia dei sentimenti.
Dobbiamo anzi assolutamente recuperare assieme quella coscienza e quei sentimenti che ci consentano di elevare la memoria a storia, a ricordo imperituro.
La memoria come inequivocabile lascito per tutte le generazioni che verranno.