Cibo insufficiente o inadeguato: è la povertà alimentare. In Italia si è aggravata a causa del Covid19. La fotografia scattata da ActionAidVolontari preparano aiuti alimentari per famiglie povere – fonte ActionAid, Rapporto sulla povertà alimentare 2020
La pandemia di Covid19 ha ucciso oltre 36mila persone in Italia. Questo è “solo” il dato più drammatico ed evidente legato agli esiti sanitari della malattia in Italia. Ma il coronavirus ha provocato anche un effetto non direttamente sanitario: l’acuirsi della povertà alimentare diffusa.
Non si tratta di un concetto astratto: è la disponibilità di una quantità di cibo insufficiente (non si consumano abbastanza pasti quotidiani) e una dieta inadeguata e poco diversificata (si consuma poca o pochissima verdura, frutta e non si riesce garantirsi un pasto con carne, pesce, pollo ogni secondo giorno). Una vera emergenza che colpisce soprattutto donne e minori, fotografata dal rapporto “La Pandemia che affama l’Italia. Covid-19, povertà alimentare e diritto al cibo”, pubblicato oggi da ActionAid.
La pandemia, sottolinea infatti l’organizzazione umanitaria, è intervenuta col suo carico di attività chiuse o sospese, posti di lavoro persi, bisogni di assistenza aumentati. E lo ha fatto in un contesto che, seppur in lieve ripresa, era già segnato da una profonda crisi. In Italia sono quasi 1,7 milioni le famiglie in condizione di povertà assoluta, con una incidenza pari al 6,4% (7,0% nel 2018). Ovvero un numero complessivo di quasi 4,6 milioni di individui (7,7% del totale, 8,4% nel 2018)
Persone che, stando al report, hanno patito anche le recenti politiche di austerità. Queste ultime, infatti, si sono “tradotte nell’aumento del tasso di disoccupazione (nel 2019 è stato in media del 10% rispetto al 6,1% del 2007) e in una significativa riduzione nella crescita della spesa sociale, in particolare di quella previdenziale (ISTAT, 2020)”.
Il caso Corsico, emblema per la povertà alimentare
Tutto ciò emerge dalle rilevazioni che ActionAid ha svolto sugli effetti di lunga durata della crisi scatenata dal Covid19 su Corsico, centro dell’hinterland milanese. Un comune che già prima dell’emergenza registrava la percentuale più elevata di poveri di tutti i comuni dell’area.
“È stato intervistato un gruppo di oltre 300 famiglie che, grazie anche al sostegno di ActionAid, ricevono aiuti alimentari da parte dell’associazione La Speranza. L’80% di chi richiede aiuto è donna tra i 22 e gli 85 anni, ben il 91% delle donne in età da lavoro è disoccupata. Nei nuclei famigliari sono presenti oltre 186 minori under 16″. E qui sono esplosi i numeri delle persone colpite dalla povertà alimentare.
“La maggior parte degli intervistati (il 76,85%) ha sofferto di grave insicurezza alimentare: ha dovuto saltare ripetutamente interi pasti per la mancanza di cibo sufficiente. Per la stragrande maggioranza delle famiglie, 135, questo è accaduto più di dieci volte al mese, con punte di 20/30 episodi durante il lockdown. Inoltre quelle stesse famiglie sono scivolate verso la povertà estrema: in 138 un componente ha perso il lavoro durante il lockdown. Si tratta di un quadro allarmante visto che adesso sono 177 su 316 le famiglie prive di reddito da lavoro”.
Le falle del sistema dei buoni alimentari
La problematica è nota alle istituzioni nazionali. Tant’è che il Governo, per affrontare l’emergenza alimentare durante il primo lockdown, aveva stanziato 400 milioni di euro. Una cifra importante, ma da suddividere tra gli oltre 8mila comuni italiani. E poi da destinare a diverse misure. L’erogazione di buoni spesa e/o l’acquisto e distribuzione di generi alimentari e beni di prima necessità, affiancati da risorse aggiuntive dei Comuni. Senza dimenticare le numerose iniziative di solidarietà alimentare di migliaia di volontari organizzati in associazioni, brigate, gruppi spontanei.
Tuttavia, sottolinea ActionAid nell’analisi al sistema dei buoni spesa di Torino, Milano, Corsico, L’Aquila, Napoli, Reggio Calabria, Messina e Catania, sono molte le criticità rilevate. Dai criteri di accesso discriminatori alle risorse insufficienti, a modalità di accesso alla domanda poco fruibili e tempi di erogazioni lunghi.
E a ciò si sommerebbe anche un “vuoto di strategia” nell’affrontare il problema. “La povertà alimentare in Italia appare come un settore marginale delle politiche sociali”, si legge. E inoltre “continua a venire vista più come un sintomo che come una conseguenza della povertà, senza riconoscere il diritto umano ad un cibo adeguato“.
E se ci fosse un secondo lockdown?
Ma che cosa potrebbe accadere in caso di un secondo lockdown? Quali impatti avrebbero nuove restrizioni? C’è un problema di risorse disponibili? Abbiamo rivolto queste domande a Roberto Sensi, autore del rapporto per ActionAid Italia.
«Innanzitutto bisogna valutare quanto potrebbe essere esteso il lockdown – spiega Roberto Sensi – Ma sicuramente c’è un problema quantitativo: i 400 milioni destinati dal Governo ai comuni si sono rilevati insufficienti, anche adottando criteri discriminanti. Servono maggiori stanziamenti, a partire da un’analisi quantitativa delle domande inevase, ma anche dei bisogni più ampi rilevati nei singoli territori. E ciò grazie all’intervento complementare di enti e associazioni di assistenza alimentare e dei gruppi di solidarietà».
«Comunque bisogna prepararsi – continua Roberto Sensi – Predisporre piani territoriali in grado di indentificare i potenziali bisogni alimentari, anche di chi non ha mobilità (come anziani e disabili), ad esempio, e non solo risorse economiche, in caso di lockdown. Per questo è fondamentale la collaborazione con gli enti di assistenza alimentare».
Come va migliorato il sistema di aiuto alle famiglie povere? E come si possono evitare le distorsioni già osservate nell’erogazione dei buoni alimentari?
«La misura deve essere resa accessibile a tutti, eliminando i criteri discriminanti legati alla residenza – spiega ancora Roberto Sensi – Questo è sostenuto da diverse sentenze dei TAR regionali. Ma non basta eliminare formalmente il criterio se poi si escludono comunque le persone per mancanza di risorse. Gli enti locali devono riuscire garantire interventi complementari per raggiungere i bisogni del territorio. Un esempio interessante in tal senso è il Dispositivo di aiuti alimentari messo in campo a Milano».
«Va inoltre garantita la funzionalità logistica delle filiere di assistenza alimentare, incluso il recupero delle eccedenze dai supermercati, in tutti i territori, visto che, spesso, durante il primo lockdown, non è stato possibile. E poi bisogna prendere atto che il fenomeno della povertà alimentare non è solo di natura emergenziale. La pandemia ha amplificato e reso più evidente il problema che però è strutturale e rispetto al quale non basta l’intervento di emergenza. Su questo abbiamo fatto molte raccomandazioni a tutti i livelli perché l’italia a livello nazionale e territoriale si doti di una strategia di contrasto efficace alla povertà alimentare».