La dura realtà della lotta di classe non scompare ideologicamente, se chi è storicamente più debole la nega, perché questo non può che favorire il più forte, che potrà portare avanti la lotta di classe in modo unilaterale e indisturbato.

 di Renato Caputo  

Il problema è che da troppo tempo a questa parte andiamo dietro al mito di aver toccato ormai il fondo; di conseguenza non si potrebbe che risalire la china. Si tratta di una concezione ancora inconsapevolmente provvidenzialistica, per cui anche gli eventi per noi più catastrofici potrebbero essere in realtà funzionali alla nostra esigenza di rimontare la china. Purtroppo le cose non stanno così, per quanto cerchiamo ideologicamente di nascondercelo, il motore della storia è la lotta di classe, sino a che ci saranno società classiste. Peraltro la dura realtà della lotta di classe non scompare ideologicamente, se chi è storicamente più debole la nega, perché questo non può che favorire il più forte, che potrà portare avanti la lotta di classe in modo unilaterale, indisturbato e senza nemmeno perderci dal punto di vista dell’immagine. Siamo arrivati all’assurdo che è stato un miliardario statunitense a doverci ricordare che la lotta di classe non solo c’è, ma che negli ultimi anni è stata nettamente vinta dalla grande borghesia. Del resto, come è normale, il coltello affonda quando incontra il burro.

Così, con l’ultimo governo Berlusconi e, poi, con il governo Monti si credeva di aver toccato il fondo, mentre ben maggiori danni ha fatto il governo Renzi. Peraltro, i due governi Conte sono riusciti a fare ancora peggio, trasformando quella che era divenuta la più significativa opposizione parlamentare e di massa in una forza conservatrice di governo borghese. Al punto da far preoccupare Renzi, visto che Conte aveva tranquillamente occupato il suo posto e portato avanti sostanzialmente le stesse politiche. Inoltre, i due governi Conte sono stati i più populisti, portando per la prima volta al governo del paese l’uomo qualunque. Tale impronta qualunquista, dietro cui storicamente si sono ricompattate le forze conservatrici e reazionarie dopo la messa al bando del Partito fascista, ha portato al potere l’antipolitica, ovvero quanto di più reazionario possa esistere, dal momento che la politica è sorta propria quando per la prima volta i ceti dominanti sono stati costretti a trattare con i ceti subalterni. Ciò non poteva che riportare al governo l’antica oligarchia, un governo sedicente tecnico e dichiaratamente antipolitico, nonostante sia sostenuto da praticamente tutte le forze sedicenti politiche rappresentate in parlamento.

Siamo così giunti a quello che l’ideologia dominante ha subito battezzato come il governo dei migliori. Dal momento che l’ideologia dominante esprime il punto di vista della classe dominante, questo è letteralmente il migliore governo cui potesse aspirare oggi chi detiene il potere. Di conseguenza sarà anche il peggiore per i ceti sociali subalterni.

Considerate le costanti gaffe dei neoeletti, l’ideologia dominante è subito ricorsa ai ripari sostenendo che il problema non era dei tecnici, ma dei politici. Spingendo così nella direzione di un governo ancora più antipolitico e antidemocratico e, necessariamente, ancora di più elitario e oligarchico. Inoltre per favorire ancora la deriva autoritaria e bonapartista l’ideologia dominante e tutto il coro degli pseudo partiti politici al seguito non hanno fatto altro che esaltare il capo del governo che, anche da solo, avrebbe costituito un decisivo salto di qualità di fronte ai governi precedenti “politici” e populisti.

D’altra parte, l’ideologia dominante quale mistificazione della realtà può reggere sino a che qualcuno non ha il coraggio di lanciare finalmente il grido liberatorio: l’imperatore è nudo. A offrirci questa importante opportunità sono state le ultime davvero insostenibili uscite del capo del governo proprio sul palcoscenico della politica internazionale, dove avrebbe dovuto rilanciare, per la sua presunta autorevolezza, il nostro paese dinanzi all’opinione pubblica internazionale. In effetti, già nella sua prima importante visita internazionale, ha avuto il coraggio di dire: “noi esprimiamo soddisfazione per quello che la Libia fa, per i salvataggi, e nello stesso tempo aiutiamo e assistiamo la Libia”.

Si tratta di un clamoroso caso di rovescismo storico, in cui nel modo più sfacciato si mistifica la realtà e al contempo ci si dichiara apertamente complici dell’aspetto più turpe e disumano di chi detiene il potere oggi in Libia, ovvero il modo davvero inaccettabile e da tutti denunciato di affrontare il problema dei disperati che cercano rifugio in Europa. Soltanto una persona priva di sensibilità potrebbe esprimere pubblicamente “soddisfazione” per quello che la Libia farebbe per i “salvataggi”. Anzi, a rendere ancora più palese un cinismo davvero disumano non solo ci si limita ad ammirare come i libici stanno trattando la questione dei profughi, ma si sottolinea il pieno sostegno attivo del nostro paese a questi veri e propri crimini contro l’umanità. Facendo emergere, nel modo più inconsapevolmente evidente, come le guerre umanitarie portate avanti dall’occidente per esportare la democrazia producano di fatto delle violazioni molto più aperte e sfacciate di quei diritti umani e di quella democrazia che si pretendeva di poter imporre a forza di bombardamenti terroristici. 

Evidentemente, non pago dell’imbarazzante “gaffe”, che dimostra non solo la spietatezza dell’élite che ci governa, ma anche il dato di fatto che siamo letteralmente governati dai peggiori, il nostro sedicente premier il giorno dopo ha non solo dato del dittatore al principale alleato e sponsor del governo libico, ma ha avuto di nuovo la faccia tosta e il cinismo di aggiungere che si tratta di “un dittatore di cui si ha bisogno”.

Siamo indubbiamente dinanzi a una “gaffe” istituzionale di una gravità paragonabile a quella del presidente Biden che ha definito Putin un “killer” “privo di anima”. Per quanto apparentemente più gravi gli inaccettabili insulti di Biden sono rivolti a uno dei “nemici” più giurati della distopia statunitense di essere rimasta, con la fine della guerra fredda, l’unica potenza mondiale, tanto che si è a lungo parlato, per quanto impropriamente, di impero. Mentre al contrario Erdogan è, comunque, un alleato strategico dell’Italia nella Nato, nella penetrazione mediante il terrorismo islamico in Medio Oriente, nell’assicurare l’Italia dei suoi interessi imperialisti sulle risorse della Libia e, infine, protegge la “fortezza” Europa, esattamente come la Libia, dai profughi che cercano rifugio in quell’Occidente che si spaccia come paladino su scala globale dei diritti umani.

Peraltro, al di là dell’incredibile scorrettezza di usare una simile espressione verso un alleato – che neanche il prototipo dell’uomo qualunque Di Maio si sognerebbe – si tratta ancora una volta di un vero e proprio rovescismo storico. Perché, per quanto se ne possa giustamente pensare tutto il male possibile, Erdogan è un presidente eletto legittimante, proprio dal punto di vista della liberal-democrazia formale borghese, di cui Draghi dovrebbe essere un campione, avendo vinto per diverse volte di seguito le elezioni politiche. Mentre come è noto proprio Draghi nessuno lo ha eletto, non è stato indicato al presidente della Repubblica da nessuno dei partiti di massa, ma è stato – rompendo completamente con lo spirito della Costituzione – imposto ai recalcitranti partiti che avevano ottenuto la maggioranza nelle elezioni. Peraltro, prima della travolgente campagna mediatica, nessun membro delle masse popolari italiane voleva saperne di un nuovo governo tecnico, presieduto proprio dell’ex direttore della Bce. Anche in questo caso, la precisazione seguente non fa che aggravare il peso dell’affermazione, infatti il sedicente premier ammette candidamente che sebbene Erdogan sia un dittatore “se ne ha bisogno”. Impersonale che sottintende la sedicente comunità internazionale, ovvero l’imperialismo occidentale e più nello specifico l’imperialismo “straccione” italiano. Anche qui, al di là di quello che Marx ebbe a definire “cinismo da cretino”, queste prese di posizione non fanno che confermarci nell’idea che il governo in carica non è costituito soltanto dai peggiori, al momento possibili, nei riguardi delle classi dominate, ma dai peggiori e dai più incompetenti in generale. Nel caso abbiamo a capo del governo qualcuno che evidentemente è convinto del mito ideologico dominante secondo il quale un economista neoliberista sarebbe, in quanto tale, un grande statista. Mentre le attuali “gaffe” rischiano di far apparire persino Di Maio un gigante del fair play internazionale.

Dunque, a proposito di toccare il fondo, le prese di posizione, per niente rettificate di Biden e Draghi, ci fanno capire in che mani siamo finiti sul piano internazionale e nazionale e ci dovrebbero anche far riflettere su cosa di peggio ci potrebbe attendere, se non sapremo rovesciare i rapporti di forza nel conflitto di classe a livello nazionale e internazionale.

D’altra parte, bisogna anche riflettere su quanto di tragico vi sia, a livello di spaventoso imbarbarimento culturale; nelle “gaffe” di questi due personaggi, posti in modo assolutamente incosciente a capo del governo. In entrambi i casi l’altro, il non occidentale, è non solo considerato naturalmente come un criminale, ma addirittura viene disumanizzato. Dunque, non solo siamo arrivati alla più sfacciata rivendicazione della politica imperialista, ma siamo tornati al tipico razzismo coloniale, per cui l’altro, il non occidentale, diviene non solo un pericoloso assassino di professione, ma un essere subumano, un Untermensch tanto da considerarlo privo di anima, di spirito, ovvero privo della parte non animale, ma immortale dell’uomo. Allo stesso modo l’ammirazione e il pieno sostegno al modo disumano con cui vengono trattati i profughi e richiedenti asilo è indice della loro completa disumanizzazione. Anche in tal caso si tratta di Untermenschen [di esseri subumani, come venivano non a caso definiti, sulla scorta di Nietzsche, dal regime nazista] che non a caso vengono “salvati” in Libia per finire rinchiusi in campi di concentramento, nel senso letterale del termine. Discorso analogo vale per il capo dello Stato di un paese del patto atlantico, candidato a entrare nell’Unione europea, regolarmente eletto secondo le regole delle liberal-democrazie occidentali, che diviene, naturalmente, un dittatore, ovvero secondo l’ideologia dominante il capo supremo di un regime radicalmente estraneo a valori liberali e democratici, solo in quanto ha deciso di sviluppare una politica internazionale non del tutto subalterna all’atlantismo e ai poteri forti che dominano sull’Unione europea.

Allo stesso tempo, non può che far riflettere il termine utilizzato, ovvero “un dittatore” di “cui si ha bisogno”, come se si trattasse un mero mezzo che, per quanto lo si possa considerare dispotico, sarebbe necessario per raggiungere i propri obiettivi, la cui profonda immoralità abbiamo già denunciato.

Ora bisognerebbe comprendere come mai un uomo politico espressione del partito politico che gode dei maggiori consensi in Russia possa essere impunemente definito – dal presidente della nazione che pretende di esportare democrazia e diritti umani in tutto il mondo – un pericoloso criminale patentato e una sorta di belva umana, in quanto privo d’anima. Allo stesso modo come si devono considerare i cittadini turchi che, altrettanto liberamente e in grande maggioranza, per anni hanno votato per il leader del maggior partito del paese, che può essere sfacciatamente definito un dittatore da un banchiere europeo prestato alla politica, dal momento che la politica politicante italiana è precipitata a un livello tanto becero da non poter che suicidarsi. Mentre invece i cittadini italiani, che non hanno votato in nessun modo per il loro capo del governo, potrebbero permettersi un presidente che si crede in diritto di definire un suo pari – peraltro alleato – come un dittatore di cui al momento si ha bisogno e, quindi, facilmente scaricabile in un futuro più o meno prossimo, magari lasciando campo libero a un nuovo tentativo di golpe militare.

Infine, per quanto davvero indegno e machista sia stato il comportamento di Erdogan – che non si è degnato di offrire una sedia a Von der Leyen in visita di Stato – altrettanto spaventosamente maschilista è stato l’atteggiamento del presidente del Consiglio europeo, il belga Charles Michel, che si è seduto tranquillamente nella sedia a lui destinata, senza offrirla alla collega – lasciata nel modo più scortese in piedi – senza nemmeno esprimere disappunto per l’attitudine intollerabilmente maschilista del suo ospite. Altrettanto inqualificabile il commento del ministro degli Esteti italiano, che ha criticato il gesto inqualificabile di Erdogan come privo di galanteria, autodenunciando nel modo più sfacciato e inconsapevole il proprio radicato maschilismo, veramente tipico dell’uomo qualunque. Purtroppo, tutti i casi che abbiamo denunciato, non sono altro che epifenomeni di quel fascismo quotidiano denunciato dall’ultimo Lukács come una malattia mortale che rischia di affliggere i paesi tardo capitalisti se i rapporti di forza nella lotta di classe resteranno così sfavorevoli ai lavoratori salariati.

https://www.lacittafutura.it/interni/il-governo-dei-peggiori

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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