I Paesi Bassi, un Paese che si erge spesso ad esempio morale e non manca occasione per bacchettare i “cugini poveri” dell’Europa meridionale, Grecia e Italia in testa, è da alcuni mesi in preda ad una grave crisi politica che tuttavia non è stata affrontata in maniera adeguata dai media italiani, che anzi spesso sostengono il mito dell’integrità della politica olandese. Nonostante siano passati quasi quattro mesi dalle elezioni, infatti, il regno degli Oranje-Nassau non ha ancora un nuovo governo, con Mark Rutte che resta in carica ad interim, ma che potrebbe anche veder interrotto il suo potere decennale.
Certo, Rutte è sostenuto dai risultati elettorali, che ancora una volta gli hanno dato ragione alle legislative dello scorso marzo, nelle quali il suo partito, il Partito Popolare per la Libertà e la Democrazia (Volkspartij voor Vrijheid en Democratie, VVD), ha conquistato il primato con il 21,9% delle preferenze, migliorando leggermente il risultato del 2017. Tutto sembrava dunque presagire un quarto mandato per l’attuale primo ministro. Nei suoi oltre dieci anni alla guida del governo, del resto, Rutte ha dimostrato anche di saper superare alcuni momenti di crisi, ma quanto successo negli ultimi mesi potrebbe essere troppo anche per un politico navigato come il leader del centro-destra olandese.
Il modo subdolo in cui ha condotto i colloqui per la formazione della nuova coalizione di governo e gli scandali che ne sono seguiti hanno portato il suo principale alleato, il partito Democraten 66 (D66), ad abbandonarlo. Sigrid Kaag, la leader di D66 e ministro del Commercio Estero in carica, ha presentato una mozione di censura in parlamento che ha ricevuto il sostegno di tutte le forze politiche, ad esclusione del partito di Rutte. Kaag ha chiesto a Rutte di farsi da parte, ed ha detto che la fiducia nei suoi confronti “è stata gravemente danneggiata”.
Ad affondare Rutte non è stata la discutibile gestione dell’emergenza pandemica, compresi i gravi ritardi nell’inizio della campagna vaccinale, né lo scandalo internazionalmente noto come “child welfare scandal”, in cui migliaia di genitori sono stati ingiustamente accusati di frode dall’ufficio delle imposte del governo. Lo scandalo degli assegni familiari ha causato sì la caduta anticipata del governo a gennaio, ma, come detto, il primo ministro in carica sembrava destinato ad ottenere un nuovo mandato in seguito ai risultati delle elezioni di marzo. Tuttavia, le menzogne di cui è stato accusato nel corso dei colloqui per la formazione del nuovo esecutivo potrebbero rivelarsi fatali.
Rutte ha infatti negato di aver tenuto conversazioni su Pieter Omtzigt, un parlamentare salito alla ribalta come informatore nel “child welfare scandal”, poi correggendo il tiro dicendo di “non ricordare” quando verbali e prove fotografiche lo hanno incastrato. Inoltre, Rutte e altri membri del governo sono stati accusati di tramare per “sbarazzarsi” dello stesso Omtzigt. In seguito a queste rivelazioni, il premier ha superato ad aprile una mozione di sfiducia, ottenendo questa volta il sostegno di D66 e di Appello Cristiano Democratico (Christen-Democratisch Appèl, CDA), il partito del ministro delle Finanze, Wopke Hoekstra, e di Omtzigt, che successivamente si è affrancato dal CDA divenendo un parlamentare indipendente. Tuttavia, questo significa solamente che D66 e CDA hanno deciso di non lasciare il Paese senza un governo, non che sono intenzionati a continuare l’avventura politica con Rutte.
I recenti scandali che hanno coinvolto il governo olandese non hanno solamente minato la fiducia nel primo ministro, ma anche in generale nelle strutture statali dei Paesi Bassi. “Abbiamo coltivato l’immagine di noi stessi di essere un paese trasparente e rispettoso dello stato di diritto. Ma quando i fatti non corrispondono alla realtà, le persone non sembrano cambiare punto di vista”, ha dichiarato l’ex deputato di sinistra Zihni Ozdil, come riportato dal Financial Times. L’ossessione di Rutte e del governo olandese per il negare il ruolo dello Stato, al punto che egli stesso si è definito un reaganiano ed un ammiratore di Margaret Thatcher, hanno portato a conseguenze come lo scandalo degli assegni familiari o la scadente risposta data dalle autorità di fronte all’emergenza pandemica. Riduzione del ruolo dello Stato e ossessione per l’efficenza sono stati gli ingredienti avvelenati che lo stregone Rutte non ha saputo controllare.
Siamo dunque davvero giunti alla fine dell’epoca politica di Mark Rutte? Non è detto. Uno dei motivi per cui Rutte è stato così a lungo alla guida del governo, secondo per longevità nella storia del Paese solo a Ruud Lubbers (1982-1994), è che egli è stato considerato come l’uomo giusto per arginare l’ascesa di un’estrema destra rampante, che fa leva sui sentimenti nazionalisti e razzisti presenti in alcuni strati della popolazione. In passato, Rutte avrebbe potuto formare un governo con il sostegno dei nazionalisti, ma ha sempre preferito il compromesso con i partiti moderati o persino di centro-sinistra, come nel caso di D66, escludendo sia il Partito per la Libertà (Partij voor de Vrijheid, PVV) di Geert Wilders che il Forum per la Democrazia (Forum voor Democratie) di Thierry Baudet.
Questi sono motivi sufficienti per continuare a riporre la fiducia in Rutte? Verrebbe da rispondere negativamente, ma apparentemente gli olandesi credono di sì, infatti i sondaggi affermano che, se si tornasse alle urne oggi, il suo partito non solo non perderebbe, ma otterrebbe un risultato ancora migliore rispetto a quello conquistato nelle elezioni di marzo. La strada delle nuove elezioni, dunque, sarebbe percorribile, ma avvantaggerebbe proprio Rutte. Le alternative sono la formazione di una coalizione che escluda il VVD, fatto che però richiederebbe un accordo tra un grande numero di piccoli partiti poco omogenei, oppure – e sarebbe la strada più accessibile – una coalizione che confermi l’accordo quadripartito tra VVD, D66, CDA e Unione Cristiana (ChristenUnie, CU), ma con un primo ministro diverso da Rutte.
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Giulio Chinappi – World Politics Blog