La Tunisia sta vivendo da tempo una fase di grave crisi politica, rimasta irrisolta anche dopo le elezioni del 2019, che hanno visto l’ascesa di Kaïs Saïed alla presidenza. La forte frammentazione politica ha poi portato a non pochi problemi nella formazione del governo: inizialmente, infatti, era stato nominato Habib Jemli come nuovo primo ministro, ma questi non è riuscito ad ottenere la maggioranza dei voti del parlamento; in seguito, l’incarico è stato assegnato prima ad Elyes Fakhfakh e poi, dal settembre 2020, a Hichem Mechichi, già ministro degli Affari Interni.
La situazione è stata resa ancora più difficile dalla pandemia di Covid-19, che, come ovunque nel mondo, è andata ad acuire i problemi già presenti. Dopo il Sudafrica, la Tunisia è ad oggi il secondo Paese africano maggiormente colpito dalla crisi sanitaria, con oltre 573.000 casi positivi registrati e quasi 19.000 morti su una popolazione che supera di poco gli 11 milioni di abitanti. Le proteste contro il governo si sono dunque acuite, sia da parte di coloro che protestavano contro le misure di chiusura prese per fronteggiare l’epidemia che da parte di chi invece riteneva che il governo non stesse facendo abbastanza per frenare il diffondersi del virus.
Nel mese di giugno, la situazione è divenuta anche più grave: le proteste hanno raggiunto il proprio apice quando il primo ministro Mechichi ha deciso di imporre misure più strette di coprifuoco e confinamento. In seguito, il governo ha deciso di schierare unità militari nelle quattro regioni di Siliana, Kasserine, Biserta e Susa, “con l’intento di proteggere le istituzioni statali e anticipare tentativi di sommossa e sabotaggio”, secondo le parole di Mohamed Zakri, portavoce del ministero della Difesa. Scontri tra manifestanti e forze di sicurezza sono stati segnalati anche in diversi quartieri della capitale Tunisi, ed il numero degli arresti sarebbe stato di almeno 632, secondo il portavoce del ministero dell’Interno, Khaled Hayuni.
La tensione non è però stata smorzata dalle misure prese dal governo e così, il 25 luglio, il presidente Kaïs Saïed ha annunciato la rimozione del primo ministro Hichem Mechichi dall’incarico, nonché la sospensione di tutte le attività nel parlamento nazionale. “La decisione è presa per ritrovare la pace sociale e salvare lo Stato e la società“, ha detto il capo di Stato.
Gli oppositori hanno immediatamente accusato il presidente di aver messo in atto un colpo di Stato, violando la Costituzione ed assumendo così pieni poteri. In effetti, sia il potere esecutivo, esercitato dal governo, che quello legislativo, esercitato dal parlamento, sono al momento vacanti a causa delle decisioni prese da Saïed. Quest’ultimo, tuttavia, non la pensa così, ed ha voluto tranquillizzare la popolazione ed il mondo politico sulle sue intenzioni: “La Costituzione – ha detto il presidente – non consente lo scioglimento del parlamento, ma non impedisce il congelamento di tutti i suoi lavori“. Saïed ha aggiunto che al più presto provvederà a nominare un nuovo primo ministro, tuttavia ha anche affermato che “verranno emesse altre decisioni, sotto forma di decreto come previsto dalla Costituzione, fino al ritorno della pace sociale in Tunisia”.
Nella giornata del 26 luglio, alcuni parlamentari hanno tentato di accedere al parlamento, violando la sospensione di almeno trenta giorni dell’organo legislativo decretata dal capo di Stato, ma sono stati bloccati dall’intervento nell’esercito. Ciò ha provocato le vive proteste dell’opposizione parlamentare, a partire dal partito islamista Ennahda (Ḥarakat al-Nahḍa, letteralmente Movimento della Rinascita), che detiene la maggioranza relativa dei seggi. Ennahda è anche il partito al quale appartiene il presidente del parlamento, Rāshid al-Ghannūshī, che ha dato vita ad un sit-in davanti all’edificio dove si trova l’emiciclo insieme agli altri deputati del suo partito. Va sottolineato che la sospensione del parlamento decisa dal presidente include anche la rimozione dell’immunità parlamentare, il che espone i deputati a ritorsioni legali per le azioni commesse nel periodo di sospensione.
Ennahda sostiene che il presidente Saïed abbia operato un vero e proprio colpo di Stato, ed ha chiesto ai cittadini di manifestare pacificamente davanti al parlamento “per salvare la rivoluzione“, riferendosi con questo termine ai movimenti che, nel 2011, hanno portato alla destituzione del presidente Zine El-Abidine Ben Ali. “Questo è un duro colpo contro la democrazia tunisina e alla sua Costituzione. La Tunisia è l’unica storia di successo della Primavera Araba e questa storia non finisce qui“, si legge nel comunicato diffuso dal partito.
Nella stessa giornata di lunedì, Kaïs Saïed ha provveduto ad esautorare il ministro della Difesa, Ibrahim Bartaji, quello degli Interni, Hisham Mishi, ed il titolare della Giustizia, Hasna Ben Slimane. Secondo quanto riferito dalle agenzie di stampa locali, il decreto presidenziale ha stabilito che il resto dei funzionari pubblici e gli altri responsabili dell’amministrazione economica e organizzativa che operano in questi tre ministeri continueranno a svolgere i propri compiti fino alla nomina dei nuovi responsabili di tali portafogli.
La situazione nel Paese nordafricano resta dunque molto difficile e ci sono dubbi sul fatto che le decisioni del presidente aiutino a migliorare la situazione. Al momento, non sembra prospettarsi neppure la possibilità di indire elezioni anticipate, visto che il governo in carica non è stato sfiduciato dal parlamento. Il rischio è che la Tunisia venga a trovarsi in una situazione di lungo stallo, acuendo i contrasti tra le principali fazioni politiche del Paese.
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Giulio Chinappi – World Politics Blog