È durata poco più di un anno la leadership di Yoshihide Suga alla guida del governo giapponese. Subentrato a Shinzō Abe nel settembre dello scorso anno, Suga ha preso atto dello scarso sostegno dimostrato nei suoi confronti all’interno della maggioranza, ed ha rassegnato le dimissioni il 3 settembre. In seguito, ha dovuto cedere le redini dell’esecutivo a Fumio Kishida (in foto), dopo che questi, lo scorso 29 settembre, è stato eletto come nuovo leader del Partito Liberal Democratico (Jiyū Minshu-tō), noto come Jimintō. Kishida, già ministro degli Esteri e della Difesa, ha battuto nella sfida interna al partito di governo Tarō Kōno, attuale ministro delle Riforme, che rappresentava il suo sfidante più accreditato.
In seguito all’elezione del nuovo leader all’interno del partito che domina la vita politica giapponese, lo stesso Kishida è stato nominato primo ministro dalla Dieta (Kokkai) di Tōkyō. Il nuovo capo del governo ha poi indetto lo scioglimento della camera bassa del parlamento bicamerale per il 14 ottobre, convocando le nuove elezioni per il 31 dello stesso mese, vista la scadenza del mandato quadriennale dei suoi membri.
Tra le voci maggiormente critiche nei confronti dei governi liberal democratici troviamo il Partito Comunista del Giappone (Nihon Kyōsan-tō) di Kazuo Shii, che già lo scorso 8 settembre aveva annunciato la nascita di una piattaforma comune delle forze di opposizione che include anche il Partito Costituzionale Democratico del Giappone (Rikken Minshu-tō), noto come Ritsumin, il Partito Socialdemocratico (Shakai Minshu-tō) e la nuova formazione di sinistra Reiwa Shinsengumi.
La piattaforma du recente formazione si pone quattro obiettivi principali: opporsi alla revisione costituzionale proposta dai liberaldemocratici che amplierebbe i poteri del governo; tagliare le imposte sui consumi e aumentare la pressione fiscale sui ricchi; chiudere tutte le centrali nucleari e opporsi alla costruzione di strutture di lusso come resort e casinò; promuovere delle inchieste sugli scandali riguardanti i governi dei primi ministri Abe e Suga.
Dopo la scelta di Fumio Kishida come nuovo premier, i comunisti giapponesi hanno subito manifestato il proprio dissenso, sottolineando come il nuovo esecutivo si ponga in piena continuità con i governi Abe e Suga, fatto dimostrato dalla permanenza nella squadra dei ministri, tra gli altri, di personaggi come Toshimitsu Motegi agli Esteri e di Nobuo Kishi, che nonostante usi il cognome dello zio materno che lo ha adottato è in realtà il fratello minore di Shinzō Abe.
In particolare, i comunisti segnalano che “la riconferma del ministro della Difesa Nobuo Kishi potrebbe accelerare ulteriormente l’aumento della spesa militare”, sulla scia del processo di rimilitarizzazione del Giappone già lanciato proprio da Abe. Questo indirizzo è stato confermato anche dal nuovo primo ministro, che ha subito affermato di voler proseguire i lavori per la modifica dell’art. 9 della Costituzione, quello che impedisce al Giappone di dotarsi di un vero e proprio esercito, secondo le condizioni dettate dagli Stati Uniti al termine della seconda guerra mondiale.
“L’unico modo per cambiare la politica del Giappone è porre fine alla politica del Partito Liberal Democratico e del Partito Kōmeitō (il Partito del Governo Pulito, forza minore che sostiene il governo, ndr), che voltano le spalle alla gente, e realizzare un cambio di governo”, afferma il comunicato rilasciato il 5 ottobre dal Partito Comunista, che punta deciso alle prossime elezioni legislative del 31 ottobre.
Nella stessa giornata del 4 ottobre, dopo la nomina di Kishida come premier, il leader comunista Kazuo Shii ha tenuto una conferenza stampa nella quale ha affermato che “il contenuto della politica del governo non cambierà”. “Per cambiare la politica del Giappone, è necessario cambiare il governo e creare un nuovo governo”, ha detto ancora Shii.
Nel voto parlamentare, i comunisti hanno sostenuto la candidatura di Yukio Edano, esponente del Ritsumin, in quanto partito d’opposizione più rappresentato in parlamento, come previsto dal patto dei quattro principali partiti che si oppongono ai governi liberaldemocratici. Secondo Shii, “questo accordo ha creato un sistema di base per una lotta comune per affrontare le elezioni generali. Diffondiamo questo accordo al pubblico e facciamo sì che sia un’elezione che cambierà la politica del Giappone”.
Shii ha sottolineato che “è assolutamente necessario che lo stesso Partito Comunista compia un grande balzo in avanti come rappresentanza proporzionale” per realizzare il cambio di governo. “Il futuro del Giappone dipende dalla svolta del Partito Comunista. Faremo del nostro meglio per ottenere i meravigliosi risultati che cambieranno il Giappone nelle elezioni generali”.
Il Partito Comunista Giapponese è reduce dall’8,95% dei consensi ottenuto alle elezioni del 2019 alle elezioni per la Camera dei Consiglieri (Sangiin), la camera alta del parlamento giapponese, per la quale si tornerà al voto solamente nel 2022. Alle elezioni per la Camera dei Rappresentati (Shūgiin), tenutesi per l’ultima volta nel 2017, i comunisti avevano invece raggiungo il 7,9% delle preferenze. Il miglior risultato di sempre per il Partito è invece rappresentato dal 14,6% delle elezioni del 1998.
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Giulio Chinappi – World Politics Blog