BY ALBERTO FERRETTI  

Il governo Draghi ha presentato, nella proposta di legge di bilancio del Consiglio dei Ministri del 28 ottobre, le misure che intende mettere in campo sulle pensioni. Draghi non ha certo deluso le aspettative (del capitale): si tratta dell’archiviazione di Quota 100 – la possibilità di andare in pensione anticipatamente a 62 anni con 38 di contribuzione -, attraverso una “quota 102” transitoria che permetterà dal primo gennaio fino al 31 dicembre 2022 di uscire dal lavoro con 64 anni d’età e 38 di contribuzione (1)per poi tornare nel 2023 alla “normalità” contributiva della riforma Fornero per tutti. Questa (mostruosa) normalità significa che il requisito anagrafico per la pensione di vecchiaia sarà per tutti di 67 anni e verrà adeguato con periodicità biennale in funzione dell’incremento della speranza di vita: l’intento è innalzare l’età pensionabile dal 2025 in poi per portarla a ridosso dei 70 anni di età.

Ricordiamo che la riforma Fornero, in vigore dal 2011 con il Salva Italia del governo Monti, porta con sé  – dal punto di vista del metodo di calcolo – l’estensione del sistema contributivo (che basa l’importo sui contributi versati durante l’intera carriera lavorativa) anche a coloro che, avendo maturato a dicembre 1995 almeno 18 anni di contributi, potevano usufruire del più favorevole regime retributivo (che collega l’importo all’ammontare degli ultimi salari percepiti). Questi cambiamenti strutturali, dal retributivo al contributivo, hanno comportato una consistente diminuzione del rapporto tra l’importo della pensione e l’ultimo reddito da lavoro percepito (il cosiddetto tasso di sostituzione) rispetto a quello fino ad allora corrisposto dal regime retributivo. (2)

Regime retributivo che era la norma per tutti i lavoratori finché non fu abolito appunto nel 1995 da quel vero e proprio spartiacque costituito dalla riforma Dini, la quale a sua volta fu propiziata dalla riforma Amato del 1992, in cui si ponevano le basi per la grande revisione strutturale finalizzata a determinare una riduzione del grado di copertura pensionistica. Questa l’origine della lunga discesa agli inferi delle pensioni italiane, che comprendeva anche l’introduzione della previdenza complementare con l’istituzione dei fondi pensione. Insomma per Draghi, degno erede di cotanta reazione, si tratta di archiviare definitivamente, non rinnovandola dato che è arrivata in scadenza, Quota 100, cattivo esempio che ancora alimenta la speranza che si possa giungere alla pensione “troppo presto”.

Se non fosse tragico ci sarebbe da ridere della pervicacia e del cinismo del governo nell’accanirsi a peggiorare le condizioni di vita della stragrande maggioranza della popolazione: i dati ci dicono che la pensione media in Italia ammonta a 1.162 euro netti e si va in pensione più tardi che nel resto d’Europa. Ma in realtà sono oltre 5,3 milioni i pensionati – cioè ben il 34% del totale (3) – che nel 2020 hanno avuto un reddito da pensione complessivo inferiore a 1.000 euro. Di questi, 2.258.000 milioni persone percepiscono addirittura un assegno che non supera i 507,42 euro mensili.

E nonostante questo, le pensioni, sempre secondo gli ultimi rapporti ufficiali, sembrano essere un’ancora di salvezza per molte famiglie. Rispetto alla povertà relativa e assoluta esplosa in Italia negli ultimi due decenni, dovuta principalmente alla devastazione programmata del mondo del lavoro da parte dei capitalisti –  l’Italia è infatti l’unico paese europeo in cui i salari sono diminuiti rispetto al 1990 (4) –, le pensioni, benché sotto attacco, hanno permesso a molte famiglie di restare a galla, magari “semplicemente” ancorandole a una condizione di “normale” difficoltà economica. (5)

Dove vogliono portarci con queste controriforme?

Forse è per questo che vogliono riformare: è intollerabile, per non dire inconcepibile, che vi sia tuttora un’àncora di salvataggio per le classi lavoratrici e popolari, tale da consentire loro una vita quasi degna. La scusa è quella della spesa pubblica “insostenibile”: in realtà, basterebbe tassare adeguatamente le ricchezze e i capitali per sostenere qualunque spesa sociale senza problemi, vista l’enorme ricchezza privata accumulata dalle classi proprietarie. Le vere ragioni sono, invece, più complesse.

In un contesto in cui la pauperizzazione del lavoro e la precarizzazione estrema sono incoraggiate dalle politiche economiche dominanti, indicate come il futuro della modernità delle relazioni lavorative, e la disoccupazione è, ovviamente, strutturale e coltivata per gestire l’esercito di riserva, il pagamento da parte dello Stato di pensioni adeguate diventa un problema sempre più gravoso. Se impoverisco i lavoratori, e devo farlo perché questo è necessario al capitale, vengono a mancare i contributi grazie ai quali vado a ripartire gli importi pensionistici.

Ebbene, come risponde la politica borghese a questa sfida? Con l’abbassamento delle pensioni e con la diminuzione dei pensionati tramite l’innalzamento dell’età lavorativa, invece di alzare le pensioni mediante il miglioramento strutturale delle condizioni del mondo del lavoro (contratti stabili, aumento generalizzato dei salari, fine della precarietà) e l’adozione di misure neanche troppo rivoluzionarie di equità sociale, come la tassazione progressiva e patrimoniale.

In base a questa analisi si dovrebbe giungere all’unica conclusione possibile: l’insostenibilità finanziaria – dal punto di vista di bilancio dello Stato – delle pensioni è, in ultima istanza, determinata dall’insostenibilità sociale – dal punto di vista della collettività – dello sfruttamento della classe dei lavoratori salariati, che si accresce anno dopo anno, e che è indispensabile al capitale per valorizzarsi. Un meccanismo infernale che trascina agli inferi le masse, lasciando il pallino e la ricchezza in poche mani.

Purtroppo, una borghesia sempre più senza contraddittorio, spinge invece verso un modello di welfare sempre più liberale, minimo, già caratteristico dei paesi anglosassoni. Modello che fornisce un basso livello di protezione sociale e prevede un elevato ricorso al mercato per l’acquisto di un’assicurazione privata, per esempio sanitaria e previdenziale. Non è dunque sorprendente che il mercato dei fondi pensione privati sia più sviluppato nei paesi con un welfare già compiutamente minimo e fortemente incentivato ora da noi, per quanto sconti ancora grosse difficoltà a svilupparsi come le classi dirigenti vorrebbero.

I fondi pensione privati, o pensione integrative, stentano in effetti ad affermarsi in Italia, nonostante gli sforzi di canalizzare i risparmi dei lavoratori verso di essi per “vendere” all’individuo la possibilità di arricchire la propria pensione – che si dà per scontato sarà povera – con l’investimento personale, collegandone l’andamento a quello dei mercati finanziari, per definizione volatili. Il che equivale a dire che dopo aver precarizzato e impoverito il lavoro fino all’osso, ora è il momento di fare del tutto per precarizzare e impoverire il dopo lavoro, cioè le pensioni, fino all’osso.

La (non) risposta dei confederali

La posizione dei sindacati confederali italiani è di accompagnamento verso questa transizione richiesta dal capitale e non di resistenza, come logica di classe vorrebbe e come sarebbe compito attuale di tutte le forze che si vogliono progressiste e in difesa dei lavoratori. I confederali non hanno mosso un dito contro la legge Fornero, e già nel ’95 hanno sottoscritto la famigerata riforma Dini, quindi il cambiamento strutturale dal sistema retributivo a quello contributivo (6):https://platform.twitter.com/embed/Tweet.html?creatorScreenName=OttobreInfo&dnt=true&embedId=twitter-widget-0&features=eyJ0ZndfZXhwZXJpbWVudHNfY29va2llX2V4cGlyYXRpb24iOnsiYnVja2V0IjoxMjA5NjAwLCJ2ZXJzaW9uIjpudWxsfSwidGZ3X2hvcml6b25fdHdlZXRfZW1iZWRfOTU1NSI6eyJidWNrZXQiOiJodGUiLCJ2ZXJzaW9uIjpudWxsfSwidGZ3X3NwYWNlX2NhcmQiOnsiYnVja2V0Ijoib2ZmIiwidmVyc2lvbiI6bnVsbH19&frame=false&hideCard=false&hideThread=false&id=1453628880154251265&lang=it&origin=https%3A%2F%2Fwww.ottobre.info%2F2021%2F11%2F08%2Fpensioni-lassalto-di-draghi-e-lignavia-dei-sindacati-confederali%2F&sessionId=38fff0969a2e4464e8ce03bd1213c54ef106c792&siteScreenName=OttobreInfo&theme=light&widgetsVersion=f001879%3A1634581029404&width=550px

Ricordiamo tuttavia che in Europa si sono svolte negli ultimi anni lotte sindacali feroci, anche con un certo successo, ad esempio in Francia e Belgio, contro i progetti di riforma delle pensioni, che se differivano in alcuni dettagli, erano uguali nella sostanza al percorso italiano, cioè di allungare la vita lavorativa per corrispondere poi importi più bassi e aprire le pensioni al mercato finanziario. Laddove alcuni sindacati di massa hanno perseguito un approccio conflittuale, le condizioni di vita tra i pensionati e in generale i trattamenti pensionistici reggono il passo contro la povertà (stesso dicasi dei salari); laddove, come in Germania, non c’è conflittualità sindacale, la povertà tra la categoria di 64 -75 è invece molto diffusa (7) e questi pensionati sono costretti a continuare a lavorare per sopravvivere.

L’Italia e i suoi sindacati confederali, ovviamente, hanno scelto questo secondo modello, di docile adattamento ai bisogni del padronato nazionale e del capitalismo internazionale. Contro questa barbarie, la lotta di classe è invece più che mai necessaria, dato che la condizione delle pensioni è legata a doppio filo alle condizioni del lavoro dipendente. Occorre sia chiaro che il minimo richiesto a qualsiasi organizzazione che rivendica un legame con la classe salariata deve essere quello di opporsi a qualsiasi tentativo di controriforma liberale e contrastare le sue retoriche divisive orizzontali, tanto pretestuose quanto false (giovani contro vecchi, garantiti contro precari etc). Insomma, non si esce dalla via della lotta di classe entro la quale si muove il problema e risiede la sua vera e unica soluzione.

Lottare per salari e condizioni di lavoro migliori per l’oggi e per il domani, equivale a lottare per pensioni migliori, presenti e future. E parallelamente, resistere ai piani di peggioramento delle condizioni di accesso alla pensione e l’abbassamento degli importi, equivale a sostenere le condizioni materiali dei lavoratori e delle classi popolari.

Questa è la vera e unica solidarietà possibile, quella di classe, che unisce tutti i suoi settori, categorie, generi ed età.


1) https://www.ilsole24ore.com/art/pensioni-come-funzionano-la-manovra-draghi-AEbWv8s?utm_term=Autofeed&utm_medium=TWSole24Ore&utm_source=Twitter#Echobox=1635501729

2) https://www.covip.it/sites/default/files/evoluzionedelsistemapensionistico.pdf

3) INPS: https://www.inps.it/news/pubblicato-losservatorio-sulle-pensioni-con-i-dati-del-2020 ; altra fonte indica circa il 40% dei pensionati, ovvero 6,4 milioni, vedi https://www.informazionefiscale.it/IMG/pdf/32053354settimorapportos_1_.pdf

4) https://www.openpolis.it/quanto-guadagnano-in-media-i-cittadini-europei/

5) https://www.agi.it/fact-checking/numeri_pensioni_italia-6897461/news/2020-01-17/

6) https://ilmanifesto.it/pensioni-landini-al-governo-entro-sabato-decidiamo-la-mobilitazione/

7) https://www.glistatigenerali.com/previdenza/germania-tra-20-anni-un-pensionato-su-cinque-sara-povero/CONTRORIFORMELOTTE DI CLASSEPENSIONIRESTAURAZIONE

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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