Erdoğan sta approfittando del silenzio della comunità internazionale per tornare a estendere le sue mire espansionistiche sui territori della Siria del Nord. Una dinamica non certo inedita in Rojava

Le parole pronunciate da Erdoğan la sera dell’11 ottobre: «Siamo determinati a eliminarli, insieme alle forze attive lì o con i nostri mezzi» sono letteralmente le stesse parole pronunciate prima dell’invasione di Afrin del 2018 e di Serêkanîyê, iniziata il 9 ottobre del 2019.

Il 9 ottobre scorso, due poliziotti dello stato turco sono stati uccisi e altri due sono stati feriti in un attacco contro un veicolo blindato ad Ezaz. Il ministero dell’Interno turco e il canale Trt hanno annunciato che l’attacco è stato effettuato dalle Ypg da una postazione a Til Rifat. Come Erdoğan, anche l’Onu, gli Usa e la Russia sanno benissimo che dal territorio del Rojava non è stata lanciata una sola pietra contro la Turchia.

Ma Tayyip Erdoğan, per ottenere un lasciapassare all’invasione di Afrin e Serêkaniyê, aveva già messo in pratica il consiglio di Hakan Fidan, capo dell’Organizzazione nazionale di intelligence della Turchia Mit, che aveva suggerito: «È facile creare tensione, spareremo alcuni mortai dalla Siria». Ora vuole provare a fare lo stesso a Til Rifat e a Mimbic.

In ogni caso, mentre le Forze Democratiche Siriane (Sdf), rimanendo a 30 km dal confine turco, rispettano gli accordi firmati per fermare l’aggressione turca, lo Stato turco ha violato il cessate il fuoco 194 volte. Rimane comunque, la legittimità di un’autodifesa da parte delle popolazioni dei territori occupati.

Quando Erdoğan parla di «forze attive lì», si riferisce alla Russia, perché il presidente degli Stati Uniti Joe Biden, nella sua dichiarazione del 7 ottobre, ha comunicato la decisione di prolungare lo «stato di emergenza degli Usa in Siria», dopo aver affermato che «le operazioni della Turchia in Siria stanno interrompendo la nostra lotta contro l’Isis».

Mazlum Kobane comandante delle Sdf, in un’intervista pubblicata su “Al Monitor”il 9 novembre, ha riferito: «I funzionari statunitensi con cui abbiamo parlato hanno anche ricordato le sanzioni del Congresso contro la Turchia [per l’acquisizione di missili russi S-400].

Ci hanno informato che durante l’ultimo incontro tra Erdoğan e il presidente Joe Biden [a margine del vertice del G20 a Roma] a Erdoğan è stato detto che gli Stati Uniti non avrebbero accettato alcun attacco contro di noi».

La Russia vuole che l’esercito turco, i diversi gruppi di milizie messi insieme dallo spettro di Al Qaida e della Fratellanza Musulmana da Erdoğan per comporre l’Esercito Nazionale Siriano (Sna) e le bande Hayat-i Tahrir al-Sham (ex Al Nusra) si ritirino da Idlib e dall’autostrada M4. Durante l’incontro svoltosi a Sochi il 28 settembre, Putin ha chiesto a Erdoğan di ritirarsi da Idlib, insieme ai suoi mercenari. Erdoğan, che non poteva respingere questa richiesta, ha chiesto in cambio il sostegno per una nuova invasione turco/jihadista di Til Rifat e Mimbic. Putin ha dichiarato che sosterranno un’invasione se non sarà effettuata «a est dell’Eufrate», ma nella regione sotto il controllo degli Stati Uniti, «a ovest dell’Eufrate».

(da commons.wikimedia.org)

Gli Stati Uniti erano a conoscenza di quanto stabilito nell’incontro di Sochi e di questo accordo. Il fatto che l’esercito turco abbia bombardato a lungo con artiglieria e aerei da guerra Til Temir e i suoi dintorni a ovest dell’Eufrate e abbia ammassato una grande forza con carri armati e veicoli corazzati a nord del confine, ha rafforzato la possibilità di un tale attacco.

È in queste condizioni che è arrivato l’avvertimento di Biden alla Turchia e la decisione di «prolungare lo stato di emergenza».

Dopo la dichiarazione degli Stati Uniti, Russia e Turchia stanno riconsiderando il loro accordo nei colloqui di Sochi. Dalle dichiarazioni riportate da Anadolu Agency e Trt News si capisce che dopo gli avvertimenti degli Usa, Til Rifat è stato oggetto di contrattazione contro Idlib.

In un possibile attacco, gli Stati Uniti e la Russia rimarranno in silenzio dando il via libera alla Turchia, come nelle precedenti invasioni? Lo spazio aereo siriano sarà nuovamente aperto all’alleanza Turchia/Isis, ripetutamente sconfitta nella guerra di terra contro le forze Ypg/Ypj e Sdf?

Nel caso in cui si verifichi una tale invasione, quali saranno le conseguenze e il costo per la Turchia? Erdoğan non si pone questo problema.

Il fatto che molti generali abbiano recentemente chiesto il congedo e alcuni di loro si siano dimessi dalle forze armate turche è legato alla divergenza di opinioni sul nuovo attacco di invasione sul territorio siriano.

Ma Erdoğan, ha appena ottenuto il via libera dal Parlamento per il dispiegamento di forze turche in Siria e in Iraq per altri due anni.

Metin Gürcan, ex ufficiale tra i fondatori del Partito Deva, ha riassunto le motivazioni di Erdoğan e dell’Akp per una nuova invasione: «Nonostante tutti i rischi, una possibile operazione nel nord della Siria può coprire la crisi economica, la disoccupazione, l’aumento dei prezzi dei generi alimentari, il deprezzamento della lira turca, insomma l’incapacità generale di governare. Strateghi, terroristi ed esperti di sicurezza che di fronte a una mappa indicano “quella collina strategica, questo villaggio strategico” possono riempire gli schermi per settimane».

Erdoğan è a conoscenza delle reazioni contro di lui e contro il suo partito, nonché della tendenza avversa rivelata dai sondaggi elettorali. Sa benissimo che non può arrivare al potere con una normale elezione.

I popoli e i partiti politici della Turchia vogliono tenere elezioni anticipate. L’alleanza tra il partito di Erdoğan Akp e quello dei Lupi Grigi Mhp vuole impedirlo. Secondo l’articolo 78 della Costituzione turca, le elezioni possono essere rinviate in caso di guerra.

Le minacce e gli attacchi di invasione di Erdoğan e dello stato turco contro il Rojava non sono nuovi, hanno usato ogni mezzo per distruggere la struttura democratica costruita nel nord e nell’est della Siria e per occupare la regione.

Ma le minacce dell’ultimo periodo sono legate alla nuova situazione che si sta sviluppando in Siria e nei suoi dintorni. Ci sono trattative per una soluzione politica alla crisi siriana. Ci sono colloqui tra Usa e Russia. Lo Stato siriano sta riallacciando rapporti con il mondo arabo. Questo mette seriamente in dubbio la permanenza dello Stato turco in Siria.

Delegazioni del Consiglio della Siria Democratica e dell’Amministrazione Autonoma della Siria del Nord e dell’Est “Aanes”hanno compiuto passi diplomatici importanti negli incontri avvenuti a Mosca e Washington e l’Akp ha reagito. Lo Stato turco, che addestra i suoi mercenari rifornendoli con armi della Nato, vuole mantenere uno stato di guerra, eliminare il popolo curdo e posizionare le sue milizie jihadiste in tutta la Siria.

Finora ci sono stati conflitti tra Russia e Stati Uniti sulla Siria. Ora invece si siedono e parlano. Questo indebolisce la Turchia che gioca con entrambe le parti.

Il regime di Assad non vuole che il popolo curdo ottenga uno status. I rappresentanti dell’Amministrazione Autonoma hanno tentato di instaurare un dialogo, ma Damasco ha chiuso tutte le porte. Poi, dietro le porte ha avuto colloqui su Manbij e Til Rifat con Usa e Russia. Non possiamo prevedere cosa dirà Putin a Erdoğan, ma le conversazioni tenute a porte chiuse sono pericolose.

(da commons.wikimedia.org)

L’accordo di Adana del 1998 tra Hafiz Assad e la Turchia, che permette alle forze armate turche di entrare in territorio siriano fino a 5 km dal confine, è un accordo di guerra che non rappresenta la volontà dei popoli della Siria. Le forze che hanno firmato l’accordo possono entrare in territorio siriano fino a 5 km dal confine. Ma gli attacchi di oggi hanno superato anche l’accordo di Adana. Oggi c’è un tentativo di cambiare la struttura demografica della Siria. Gruppi di jihadisti hanno allestito campi sul confine siriano eppure lo Stato siriano non ha cercato di entrare fino a 5 km dal confine in territorio turco per intervenire contro questi gruppi.

Il governo di Damasco parla ancora di sovranità. Ma non è rimasto nulla di simile a una sovranità. Efrîn, Girê Spî e Serêkaniyê sono il risultato dell’accordo di Adana. L’unica forza in grado di difendere un’eventuale sovranità in Siria sono le Sdf.

La Turchia sta cercando di ottenere l’approvazione per un’invasione, per ora non ci è riuscita. Ma bisogna essere preparati come se dovesse attaccare ovunque in qualsiasi momento. Il pericolo è grande e non è scongiurato. Lo scorso primo novembre voci su un accordo concluso tra Russia e Turchia per invadere la città simbolo di Kobane hanno ripreso a circolare sui media.

La tempistica non è mai casuale, il primo novembre venne proclamata Giornata Internazionale di Kobane quando nel 2014 grandi manifestazioni a sostegno della Resistenza travolsero le principali città del mondo, gli aeroporti e le ambasciate turche, denunciando il sostegno diretto della Turchia all’Isis. Quel fronte non è mai stato chiuso perché Erdoğan non ha mai accettato la sconfitta dell’Isis.

Anche se Usa e Russia per difendere i propri interessi non dovessero dare il via libera ad un’operazione su larga scala ciò non significa certo che sostengano la rivoluzione del Rojava.

Le città di Afrin, Serekaniye e Gire Spi sono ancora sotto occupazione turco/jihadista e gli attacchi mirati di droni turchi contro chi guida e chi sostiene il progetto dell’autonomia democratica sono all’ordine del giorno.

L’ultimo attacco il 10 novembre nella città di Qamislo ha ucciso tre persone della stessa famiglia, una famiglia che con 14 Şehid (“martiri”) aveva già pagato un prezzo altissimo per difendere la rivoluzione del Rojava.

Erdoğan sta approfittando del silenzio della comunità internazionale. Le prese di posizione internazionali a sostegno della resistenza di Kobane hanno fortemente influenzato l’unità nel mondo contro la minaccia dell’Isis, ma oggi che è la Turchia a minacciare direttamente la regione la comunità internazionale dovrebbe chiedersi se era seriamente dalla parte di Kobane mentre l’Isis veniva sconfitto.

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

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