L’attentato in cui ha perso la vita la figlia del filosofo Dugin sarebbe riconducibile all’Ucraina, secondo quanto rivelato da alcune fonti russe, anche se si attendono le conferme delle indagini ufficiali.
Nella mattinata di ieri, le agenzie russe hanno battuto la notizia dell’esplosione di un’autobomba nella periferia di Odincovo, a pochi chilometri da Mosca. Poco dopo, fonti ufficiali hanno confermato la morte nell’attentato di Dar’ja Dugina, figlia del filosofo di estrema destra Aleksandr Dugin, e a sua volta giornalista ed analista politica. In base alle ricostruzioni, lo stesso Dugin si sarebbe dovuto trovare nell’auto in quel momento, il che lascia pensare che l’attentato fosse rivolto direttamente a lui. Il filosofo si è però salvato in seguito ad un improvviso cambio di programma.
Le autorità russe hanno immediatamente puntato il dito contro l’Ucraina, accusando Kiev di perseguire una politica di terrorismo di Stato. “Le forze dell’ordine russe stanno indagando sulla morte di Dar’ja Dugina“, ha spiegato Marija Zacharova, portavoce del ministero degli Esteri di Mosca. “Se la traccia ucraina dovesse essere confermata, e questa versione è stata espressa dal capo della Repubblica Popolare di Doneck, Denis Pušilin, e deve essere verificata dalle autorità competenti, allora si tratta di una politica di terrorismo di Stato portata avanti dal regime di Kiev“. Sebbene questa reazione fosse prevedibile, non mancano gli elementi che rendono tale versione plausibile.
Ovviamente, il governo ucraino si è immediatamente affrettato a smentire un suo possibile coinvolgimento nell’attentato. Tuttavia, numerosi elementi sembrano indirizzare le indagini verso la traccia ucraina, come espresso da diversi esponenti delle autorità russe e dei territori ucraini attualmente sotto il controllo dell’esercito russo.
La morte di Aleksandr Dugin avrebbe certamente rappresentato una vittoria simbolica per Kiev, tant’è che non sono mancati i commenti compiaciuti per la morte della figlia Dar’ja, anche attraverso mezzi stampa vicini al governo. Dugin è considerato come uno dei simboli del nazionalismo russo, ma in Occidente è stato erroneamente definito come “ideologo di Putin”, sebbene lo stesso Dugin sia spesso stato critico nei confronti del presidente russo, arrivando addirittura a definirlo un “traditore della patria” qualche anno fa.
Sebbene Dugin sia stato vicino ad importanti esponenti della politica russa, come l’ex presidente della Duma di Stato Gennadij Seleznëv e il capo dei servizi segreti Sergej Naryškin, non ha mai avuto contatti diretti con il presidente Putin, che ha una visione decisamente meno estremista rispetto a quella del filosofo. Dugin, infatti, ha spesso criticato il presidente russo per essere troppo morbido con l’Occidente, che rappresenterebbe invece il nemico giurato della Russia, in particolare per quanto riguarda gli Stati Uniti d’America. Inoltre, Dugin considera anche la Cina come un nemico della Russia, e arriva ad affermare che Mosca dovrebbe assumere una politica che porti alla frammentazione del territorio cinese per ottenere l’egemonia su tutto il territorio eurasiatico.
In quanto esponente di spicco del nazionalismo russo, Dugin è stato erroneamente considerato come l’ispiratore dell’operazione speciale russa in Ucraina. Si tratta, in realtà, di semplificazioni propagandistiche formulate in Occidente per supportare la tesi della vicinanza di Putin agli ambienti dell’estrema destra e screditare dunque il presidente russo secondo il mantra “Putin nuovo Hitler”, che tuttavia non trova riscontri nei fatti reali.
George Barros, analista statunitense esperto di Russia e Ucraina, che oltretutto nei suoi scritti esprime posizioni decisamente antirusse, ha fortemente smentito la tesi dell’influenza di Dugin sul Cremlino: “Molti osservatori casuali della Russia e cremlinologi da poltrona attribuiscono grande potere al controverso filosofo usando prove speculative basate su dicerie”, ha scritto in un suo articolo del 2019. “I fautori dell’argomento “Dugin la mente” devono corroborare le loro affermazioni con prove e chiedersi quanto sia efficace Dugin nell’influenzare le élite del Cremlino e la politica estera russa”. “Solo perché Dugin prescrive alcune strategie che sono presenti nella politica russa non significa che Dugin sia stato l’ispirazione di tale politica”, prosegue Barros. “Le prove suggeriscono che le élite del Cremlino non prendono Dugin sul serio. Secondo un collega con esperienza nell’analisi della leadership, degli affari e della dottrina militari russi, Dugin riceve più attenzione in Occidente che in Russia”.
Come vediamo, Dugin è considerato come un simbolo del nazionalismo russo e come un pensatore influente soprattutto in Ucraina e in Occidente, mentre in Russia è noto più che altro per la sua eccentricità, ma non viene certamente considerato come un teorico di alto profilo. Alcune delle sue idee si riflettono nella politica russa semplicemente perché fanno parte del sentire comune russo ed effettivamente riflettono posizioni che portano beneficio al Paese, mentre altre posizioni, come quella anticinese, non hanno riscontri nella politica estera di Putin. In Russia, comunque, in pochi avrebbero reali motivi per volerlo vedere morto, mentre i suoi nemici giurati abbondano in Ucraina e a prenderlo sul serio sono soprattutto i mass media occidentali.
Per queste ragioni, la pista ucraina, verosimilmente sotto la regia dei servizi segreti statunitensi, sembra essere quella più plausibile, anche se vanno attese le conferme da parte delle autorità russe. La morte di Dugin avrebbe rappresentato un’importante vittoria simbolica per Kiev ed avrebbe ottenuto grande eco mediatica in Occidente, mostrando le presunte debolezze della Russia. Lo stesso effetto mediatico, seppur con una portata minore, che sta avendo la notizia della morte della figlia Dar’ja.
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Giulio Chinappi – World Politics Blog