Fabrizio Casari 

Le recenti dichiarazioni di Ursula Von der Leyen, che impegna l’Unione Europea all’erogazione di un miliardo e mezzo di Euro al mese (oltre alle armi), sono manifestazione di dissennatezza politica. L’aspetto più sconcertante è che la reiterata assenza di fondi per sostenere la crisi sociale europea, però viene agevolmente superata dall’esigenza di mantenere la cricca al potere a Kiev. Il tutto mentre, a causa della subordinazione totale della UE, la crisi economica del continente ha prodotto – e sempre più produrrà – dei riflessi di notevole importanza sull’assetto economico, politico e militare europeo.

La UE è oggi più debole di quanto non lo fosse nel febbraio 2022. La crisi è anche identitaria e si misura su un integralismo atlantista privo di ragioni. Riducendosi ad ancella dominis degli Stati Uniti, la UE è diventata il danno collaterale del conflitto tra Russia e NATO per via Ucraina; affossa il sogno europeista concepito nel dopoguerra e dimostra come sia lontana dal recitare il ruolo di interlocutore politico globale.

Il conflitto ucraino ha visto la UE abdicare prima al ruolo di garante del rispetto degli Accordi di Minsk e poi indisponibile all’iniziativa diplomatica, di cui avrebbe dovuto essere primo attore. Ha brillato per integralismo e vigore ideologico, ripescando dall’archivio degli anni ‘30 e ‘40 l’arsenale retorico della russofobia. Ha fornito alla cricca di Kiev le chiavi d’accesso autorità alla politica europea verso la Russia, che coinvolge l’economia, le politiche sociali e quelle di Difesa e, più in generale, il ruolo strategico della UE.

Il tutto in spregio delle più elementari norme del Diritto Comunitario europeo, perché l’identità politica del governo Zelensky è quella di un regime a tinte neonaziste, corrotto e dispotico, fondato sulla repressione del dissenso e dell’informazione e sull’apartheid culturale e linguistico interno; violatore degli Accordi di Minsk dei quali la UE era garante e della Convenzione di Ginevra, autore di una autentica carneficina lunga ormai 9 anni ai danni della popolazione del Donbass.

Il suicidio economico

Il colpo più duro al futuro dell’Europa è stato la rottura delle relazioni commerciali con la Russia. Eliminare la dipendenza dal gas russo assumendone una ancora maggiore e con paesi estremamente suscettibili alle sollecitazioni politiche ed alle speculazioni di mercato, è la più improvvida delle mosse. Consegnarsi ad un mercato internazionale delle materie prime che ha nella volatilità dei pressi e delle forniture l’elemento di maggior pericolo per la stabilità energetica europea appare una scelta suicida. Inoltre, la rinuncia agli idrocarburi russi stronca sul nascere la possibilità di recupero economico post-pandemico mentre l’aumento enorme della spesa energetica è in buona parte responsabile dell’inflazione al 10% su base continentale. Cessare gli acquisti di gas e petrolio da Mosca grava in misura pesante sulle casse della UE che, per almeno un quinquennio, costituirà sia la ragione di un progressivo deprezzamento dell’Euro che l’impedimento maggiore alle politiche di sviluppo e di riduzione della povertà su scala continentale.

Evidenti anche i riflessi sulla politica estera: la Ue, con la rottura con Mosca, ha scelto di rinunciare alla propria influenza politica, commerciale e di sicurezza nell’ambito euroasiatico, di ridurre l’intesa con la Cina e di limitare la sua capacità di condizionamento verso i paesi del Maghreb. In pratica, una sostanziale abdicazione al ruolo che voleva assumere.

Quest’ultimo tratto lo si può cogliere esaminando l’altro aspetto, anch’esso strategico, che ha che vedere con la sua identità politica e riguarda le ipotesi di un esercito europeo, che avrebbe dovuto rappresentare la politica estera e gli interessi strategici della UE. Ebbene, le ipotesi al riguardo sono definitivamente tramontate in Ucraina; il funerale dell’Europa militare si è celebrato con la consegna alla NATO della rappresentanza politica e dell’apparato bellico.

In questa logica autolesionistica vi sono due convincimenti non detti ma evidenti: quello cioè che una ripresa economica statunitense possa avvenire attraverso la sconfitta di Russia e Cina, immaginando una “balcanizzazione” dei loro territori ed una loro improbabile riduzione a potenze regionali, comunque non in grado di contrastare il dominio globale di Washington. Un convincimento erroneo che si accompagna ad un altro altrettanto erroneo, ovvero quello che vede nella forza militare degli Stati Uniti l’ombrello protettivo di tutto l’Occidente.

Più in generale, il ruolo co-belligerante sul piano militare viene dal totale affidamento politico al volere degli Stati Uniti: una subordinazione verso Washington che ha raggiunto livelli di autolesionismo politico ed economico che mai si sarebbero potuti verificare ai tempi di Mitterrand, Palme, Kreisky, Khol, Chirac, Angela Merkel, Prodi.

Un cupio dissolvi

I contrasti in seno alla UE hanno messo in discussione una delle questioni fondamentali per i suoi meccanismi decisionali: il voto all’unanimità necessario per l’adozione di provvedimenti. Era un elemento simbolico dell’Unione, ma ora risulta inadeguato per coprire le contraddizioni presenti nel quadro europeo. Del resto, così come per le elezioni, la mistica atlantista prevede regole a geometria variabile: quando fanno comodo si rispettano, quando non fanno comodo si ignorano, quando rischiano di produrre un rovescio, si cambiano.

Gli USA sono i fruitori di questo nuovo disegno si subordinazione europea: hanno ricondotto il soggetto Europa ad un oggetto statunitense rendendo il più ricco mercato del mondo un protettorato Usa. Con la rottura delle relazioni con la Russia, hanno consegnato la UE alla dipendenza da Washington sul terreno dell’energia; hanno messo in una crisi profonda l’economia europea, indebolendo così un competitor importante sui mercati; hanno recuperato il gap tra Dollaro ed Euro; approfondito le differenze e lo scontro con Pechino; costruito le condizioni per l’ingresso di Bruxelles nel fortino assediato dell’Occidente, obbligando l’intera Europa a sposare la causa dell’unilateralismo statunitense che, sia detto per inciso, non difende in alcun modo gli interessi europei.

Visto da Bruxelles il quadro è diventato uno schizzo disarmonico e angosciante. Alla storica definizione che vedeva l’Europa come un gigante economico, un nano politico ed un verme militare, si è aggiunta quella di un nulla identitario. Il suicidio strategico è compiuto, i colonizzatori di ieri sono i colonizzati di oggi.

https://www.altrenotizie.org/primo-piano/9793-l-implosione-dell-europa.html

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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