Il principio di mutualità e di sostegno reciproco che dovrebbe uniformare i comportamenti degli Stati aderenti all’Unione Europea in materia di redistribuzione dei flussi migratori appare sempre più una evanescenza
Se, prima della crisi orizzontale tra Francia e Italia sul porto da affidare alla Ocean Viking, l’accusa partiva da Roma verso quel resto della UE colpevole di non avere le coste che affacciano direttamente sulle coste africane, oggi è Parigi a lamentarsi del mancato rispetto dei diritti umani, del diritto internazionale dalla Convenzione di Ginevra al molto più semplice, quasi bimillenario codice del mare.
Duecentotrenta persona sono rimaste in balia delle decisioni dei rispettivi governi, con ferite che gravavano sui loro corpi, dentro la loro psiche, dopo essere stati tre giorni a cavallo delle onde del Mediterraneo, su gommoni e barchini che sono stati intercettati dalla nave di SOS Méditerranée prima che affondassero nella grande tomba di un mare che custodisce i corpi di oltre 27.000 persone da alcuni anni a questa parte.
Il governo del cinismo e della disumanità si nasconde dietro regole, disposizioni, decreti interministeriali, per mettere in punta di argomentazioni una serie di presupposti che darebbero ragione alla rigidità con cui Meloni, Piantedosi (quindi Salvini), Crosetto e Tajani stanno non-gestendo il problema delle migrazioni (che non riguardano solo l’Africa ma pure Medio Oriente e Asia).
Ma la Legge non può essere agitata e brandita come una clava soltanto quando fa comodo. Le convenzioni e i trattati si rispettano. Pacta servanda sunt, dicevano quelli che la Presidente de Consigli considera, a torto, i suoi progenitori storici, politici e magari pure razziali.
E’ pure vero che gli altri Stati europei non brillano per correttezza in merito. Ma se Francia e Germania hanno delle pecche sul fronte della redistribuzione degli ultimi della Terra che sbarcano nel Vecchio continente, è altrettanto vero che gli alleati e i punti di riferimento europei di Giorgia Meloni, quei “Paesi di Visegrad” così nazionalisti, ipercattolici e intrasingetissimi contro ogni differenza e minoranza, nemmeno vogliono sentire parlare di quote di distribuzione o di ingressi di “stranieri“.
Ed allora, non è una contraddizione per la Presidente del Consiglio e per la sua maggioranza rimproverare a Macron e Scholz l’inosservanza dei trattati (tutta, del resto, da dimostrare facendo cantare le dovute carte), nonostante Francia e Germania accolgano più migranti in proporzione rispetto agli altri Stati membri, mentre i duri e i puri polacchi ed ungheresi erigono mura alle frontiere, trattano con la Turchia per deviare i flussi altrove e stabiliscono con Erdogan profonde amicizie politiche anche su questo piano inclinato di intolleranza, razzismo, xenofobia e conservatorismo nazionalista, identitaria e sopranista?
Perché mai Emmanuel Macron dovrebbe, al pari di Berlino, dare asilo ai naufraghi prima e ai migranti dopo, mentre Roma, Budapest e Varsavia fanno fronte comune alterando e sofisticando le fondamenta valoriali (molto formali, soggette ovviamente alle fluttuazioni monetarie…) di una Europa molto precaria tanto sul tema dei diritti umani quanto su quella dei diritti civili e sociali?
Se si trattasse di gestire la politica di governo sulla base di ripicche tra le diverse cancellerie nazionali, si potrebbe fin da ora dichiarare la fine dell’Unione europea.
E’ evidente che ognuno persegue, nel merito delle questioni dirimenti, che producono quindi una cascata di consensi o dissensi a seconda dei casi, un metodo finalizzato alla preservazione delle singole posizioni di potere internamente al costrutto continentale principalmente economico-monetario-affaristico. L’ingenuità non arrivi al punto da considerare la partita tra Parigi e Roma sui migranti come una contrapposizione tra umani e disumani.
Ma, indubbiamente, mentre il governo italiano apre una crisi internazionale, e lo fa su un problema molto meno difficile da risolvere dei conti dello Stato e della tutela delle famiglie meno abbienti, l’Eliseso si aggiudica un punto a favore se ci si riferisce esclusivamente all’aspetto umanitario della questione.
Il plauso della Nouvelle Union populaire di Mélenchon alle mosse della presidenza francese in questo frangente, fa capire che il dibattito nei confini dell’Esagono è compulsivo, accalora e non è certamente, almeno al momento, un argomento con cui il presidente dei ricchi può vantare di fare dei passi avanti nella popolarità diffusa. Le destre estreme d’oltralpe manifesteranno a Tolone contro l’arrivo dei migranti, mentre la saldatura tra Marine Le Pen e Meloni non viene messa in discussione, anzi si solidifica ulteriormente e non lascia ben sperare anche per le prossime mosse del governo italiano.
Le prime settimane dell’esecutivo di destra-destra non sono state accolte dal ceto medio, dalla stampa liberal-liberista e dalla classe dirigente imprenditoriale come un modello di gestione dei problemi che erano e che si sono presentati sul tappeto magico delle incertezze nazionali collegate ai vincoli europei.
Se Meloni intende dispensare sorrisi a tutto spiano nelle riunioni ufficiali in Europa e in Egitto e poi, come un Giano bifronte, assumere un atteggiamento di intransigenza, approvando ogni mossa dei suoi ministri (o sarebbe meglio dire ogni iniziativa concordata preventivamente con lei, come del resto è anche giusto e corretto che sia, visto che il Presidente del Consiglio coordina e determina l’unità dell’azione di governo), è ovviamente libera di farlo, ma che almeno poi se ne traggano le dovute conseguenze.
Se questo comportamento scientemente bipolare di Palazzo Chigi è la bussola con cui intende muoversi entro il contesto europeo e, soprattutto, in quello della politica nazionale, l’isolamento del nostro Paese è una certificazione che possiamo già assegnare all’Italia come prima disonorevole onorificenza sul piano dei diritti umani e di quel rispetto delle leggi internazionali a cui la Costituzione stessa rimanda esplicitamente; all’articolo 10, infatti si legge:
«L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute.
La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali.
Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica secondo le condizioni stabilite dalla legge.
Non è ammessa l’estradizione dello straniero per reati politici».
Molto arduo poter interpretare la Costituzione, vista la chiarezza con cui si fa riferimento al diritto di asilo per lo straniero, senza specificazione alcuna, senza dettagliamento in merito alla provenienza, all’etnia, a forme di cultura o a credi religiosi. Tutte varibili che, invece, le destre capitanate da Giorgia Meloni, e lei per prima, hanno sempre rivendicato nella distinzione tra “migranti legali” e “illegali“. Come se si potesse dichiarare al fuori della legalità un essere umano solo perché proviene in Italia su un gommone piuttosto che su un aereo di linea.
In tutta evidenza alle leggi sfuggono certe dinamiche storiche e attuali, perchP non possono essere imbrigliate in quelli che appaiono maggiormente come “formalismi“, piuttosto che come cardini di un ordinamento condiviso, comunitario e non solo, quindi, realtivo al ristretto campo nazionale, visto che le norme stesse sono in costante evoluzione (o involuzione, se si considera il caso della maggioranza parlamentare attuale).
La posizione muscolare del governo Meloni sulla questione immigrazione non sorprende ma indigna. Il metro di valutazione deve essere duplice e unico al tempo stesso. Lo stupore sarebbe riduttivo, l’indignazione deve poter avere una capacità espansiva legata ad una critica tanto civile quanto sociale dei fenomeni globali che, a cascata, interessano ogni paese, ogni nazione, ogni parte del mondo.
La guerra in Ucraina viene fatta sulla pelle del popolo ucraino, mentre si scontrano due imperialismi, due geolocalizzazioni che si contendono il proprio futuro come Stati, alleanze politico-militari e aggregati imperialisti propriamente e storicamente detti e dati (quindi con la forte impronta economica che li determina).
Così anche la ormai consolidata straordinarietà delle migrazioni viene compresa in una contesa mondiale tra poli che intendono approfittare delle debolezze vicendevoli per affermarsi come piccole potenze locali, come principali interlocutori delle grandi potenze economiche e militari e, pertanto, il tutto si gioca sulla pelle di coloro che traversano deserti, fuggono da villaggi devastati, da paesi in perenne guerra civile, dove ora prevalgono governi dittatoriali o amministrazioni terroristiche.
La migrazione moderna è figlia di un tempo lungo, di una fase altrettanto tale che è l’immagine sempre più chiara del disastro capitalistico dalla prima occupazione europea del mondo da sei secoli a questa parte, fino alle ultime guerre che hanno sovvertito equilibri precari che, tuttavia, reggevano alle contraddizioni interne, alle spinte centrifughe, ai conflitti interetnici e ai fanatismi di ogni tipo.
Dietro alle rotte della Ocean Viking ci sono eterogenesi dei fini che riguardano la cinica partita a scacchi di ventisette paesi europei, alcuni dei quali cambiano campo a seconda dell’opportunismo del momento, mossi da strangolamenti economici, tassi di interesse, equilibri tutti esclusivamente liberisti e antipopolari. Che si guardi ad ovest o che si guardi ad est, laddove prevalgono i diritti liberali mancano quelli sociali; laddove resta un barlume di socialità, mancano del tutto le garanzie di una libertà formale che, per quanto tale, non può essere trascurata.
Quando questi due processi di logoramento antisociale e antidemocratico si fronteggiano apertamente, si sviluppano contraddizioni difficili da immaginare. E’ in questo chiaroscuro di gramsciana memoria che nascono i mostri. Politici ed economici.