Oggi, intervenendo al bellissimo congresso della USB, ho raccontato di quando nel 1967, studente comunista a Bologna, andai davanti ad una fabbrica a distribuire volantini contro l’apprendistato. Dicevamo che i giovani dovevano ricevere paga piena, altrimenti era sfruttamento.
Si formò un capannello tra gli operai che uscivano dalla fabbrica e un ragazzo, un apprendista, disse che avevamo ragione perché lui lavorava esattamente come gli altri ed era pagato di meno. Ma, aggiunse, il DATORE DI LAVORO non avrebbe mai accettato la parità salariale. Intervenne allora un operaio più anziano che disse ( naturalmente in dialetto bolognese ) : vedi ragazzo i datori di lavoro siamo noi, il PADRONE invece PRENDE il nostro lavoro, se vuoi cambiare le cose comincia a chiamare padrone il padrone.
Ecco anche oggi il primo atto di lotta del lavoro è chiamare le cose con il loro nome. Anche perché l’ipocrisia capitalista delle parole oggi più che mai è strumento di sfruttamento e oppressione. La centralità dell’impresa e la flessibilità del lavoro sono parole che coprono il dominio assoluto del padrone sul lavoratore e tutto il dilagante super sfruttamento, in primo luogo dei giovani. Quindi senza paura bisogna dire padrone e non datore di lavoro. È il primo atto di ribellione degli sfruttati e vale oggi più che allora.
Giorgio Cremaschi Pap UP