All’interno della legge di bilancio approvata dal Consiglio dei Ministri nella notte tra lunedì 21 e martedì 22 novembre, il governo Meloni ha previsto un finanziamento di 70 milioni di euro agli istituti paritari. Il contributo annuo su cui potranno contare le scuole private sale dunque a 626 milioni di euro, in linea con l’indirizzo politico tracciato dagli esecutivi precedenti. Nel 2012, il finanziamento statale destinato agli istituti paritari era di 286 milioni. Cinque anni dopo, nel 2017, il budget era quasi raddoppiato: obiettivo definitivamente raggiunto dal governo Draghi, che ha deciso di portare il contributo a 556 milioni e lasciare in sospeso un’ulteriore quota da 70 milioni di euro. Eredità prontamente raccolta dal presidente del Consiglio Giorgia Meloni, che si è detto soddisfatto del lavoro portato a termine: «una legge di bilancio che non si limita a un lavoro ragionieristico ma fa delle scelte politiche».
La grande assente della prima manovra economica targata governo Meloni è stata l’istruzione pubblica. Non dovrebbe stupire in un Paese che nel 2020 ha destinato al settore soltanto il 3,9% del proprio PIL, in diminuzione rispetto al 2010, quando la spesa pubblica rivolta all’istruzione rappresentava il 4,3% del Prodotto Interno Lordo. Cifre lontane dalla media dell’Unione Europea, pari al 4,7% del PIL nel 2020 e al 5% un decennio prima. L’Italia si ritrova da anni a rincorrere gli obiettivi comunitari in tema di istruzione e formazione: dall’abbandono scolastico precoce (tasso del 13,1% contro una media UE del 9,9%) alla percentuale di giovani di età compresa tra i 25 e 34 anni che hanno completato l’istruzione terziaria, ferma al 28,9% e lontana dalla media europea del 40,5% nonché dall’obiettivo del 45% entro il 2025. Non aumentare i fondi e addirittura ridurli negli anni non aiuta di certo a tutelare un settore, quello dell’istruzione, cruciale all’interno di un Paese e responsabile della formazione dei cittadini dell’oggi e del domani. All’interno dell’Agenda 2030 stilata dall’ONU, l’obiettivo 4 mira a “fornire un’istruzione di qualità, equa ed inclusiva, e opportunità di apprendimento per tutti”. Obiettivo che stona con «le scelte politiche» del governo Meloni, lo stesso che ha istituito il Ministero dell’Istruzione e del Merito.
La direzione intrapresa dal nuovo esecutivo, così come dai suoi predecessori, è spiegata alla luce del processo di liberalizzazione degli ultimi decenni. Lo Stato finanzia le scuole paritarie perché risparmia. Gabriele Toccafondi, ex sottosegretario all’Istruzione, nel 2018 affermò: «L’Italia riconosce alle scuole paritarie un contributo di 500 milioni di euro annui (500 euro all’anno a studente). Alla scuola statale, invece, ogni iscritto costa 6.000 euro l’anno (per ogni ordine e grado dalle elementari alle superiori). Il resto lo paga la famiglia». Economia e politica che si intrecciano per smantellare l’istruzione pubblica, il cui obiettivo è (o almeno dovrebbe essere) la formazione di cittadini attivi, menti critiche con un bagaglio di conoscenze e competenze utili per comprendere il ruolo da voler ricoprire nella società, in una scelta libera dalle logiche di mercato e dalla propaganda che, in modo più o meno esplicito, caratterizza la politica e i mezzi di comunicazione.
[di Salvatore Toscano]