Un rapporto di BankTrack mostra che i diritti umani non sono una priorità per le banche © Markus Spiske/Unsplash
I diritti umani per le banche non sono una priorità. E rispetto al 2019 poche cose sono cambiate
I progressi delle banche per quanto riguarda l’attenzione verso i diritti umani procedono a rilento. E sono ben lontani dal minimo indispensabile. È quanto rilevato dall’ultimo rapporto di BankTrack, organizzazione internazionale che monitora gli istituti finanziari e le attività da essi finanziate. Analizzando le misure messe in atto relative al rispetto dei diritti umani, l’organizzazione ha attribuito un punteggio alle principali banche commerciali a livello globale. Il risultato? Insoddisfacente, nonostante qualche miglioramento rispetto al 2019.
I criteri non rispettati? I Principi guida delle Nazioni Unite su imprese e diritti umani
I 14 criteri presi in considerazioni dal report si basano sui Principi guida delle Nazioni Unite su imprese e diritti umani. Elaborati nel 2011, si fondano su tre pilastri: l’obbligo dello Stato di proteggere gli individui dalle violazioni dei diritti umani compiute dalle imprese; la responsabilità delle imprese di rispettare i diritti umani; la responsabilità degli Stati e delle stesse imprese di prevedere dei rimedi effettivi. Il secondo pilastro comprende 14 principi e proprio questi sono alla base del rapporto di BankTrack.
Valutando questi criteri, raggruppati in quattro categorie, le banche prese in considerazione hanno ottenuto un punteggio tra 0 e 14. Se si considera che al punteggio massimo corrisponde il rispetto dei Principi guida, questo dovrebbe essere il risultato raggiunto da tutti gli istituti considerati. Purtroppo, non è affatto così. Il report prende in considerazione 50 tra le banche commerciali più grandi a livello globale. Quelle più esposte e più conosciute, ma, soprattutto, quelle che potrebbero avere un impatto significativo se si impegnassero maggiormente.
I progressi? Pochi e insufficienti
Il precedente rapporto risale al 2019, quando le banche esaminate erano 47. Dei miglioramenti sicuramente ci sono stati, ma non sono particolarmente significativi. Quasi il 70% delle banche ha migliorato il proprio risultato ed il punteggio medio è salito da 4 a 5. Ma solo 12 istituti – classificati come “front runners” – hanno ottenuto un punteggio pari o superiore alla metà. E nessuna superiore a 9. Questo vuol dire che ben 38 banche su 50 hanno ottenuto meno della metà del punteggio massimo.
Le imprese hanno mostrato il maggior miglioramento nei criteri relativi alle pratiche di due diligence. Inoltre, ben 42 banche su 50 hanno pubblicato una dichiarazione in cui si sono impegnate a rispettare i diritti umani. Ma solo per 28 di loro questo impegno riguarda anche i finanziamenti che concedono.
Male le banche cinesi, bene alcune europee. Bene e male le americane
Osservando la classifica, si nota subito che il risultato più alto è 9. Superiore alla metà, ma ben lontano dal massimo. Le banche che lo raggiungono sono l’americana Citi (che guadagna due punti rispetto al 2019), la giapponese Mizuho (che segna il maggior incremento rispetto al rapporto precedente con ben cinque punti in più) e l’australiana Westpac. Ad eccezione di un’altra australiana, tutte le banche che superano il punteggio di sette sono europee. Tra queste troviamo Barclays, ING Group, BNP Paribas e Deutsche Bank.
Nella fascia intermedia, che va da 3,5 a 6,5, troviamo un po’ di tutto: i colossi francesi Société Général e Crédit Agricole, le americane Morgan Stanley e Bank of America, ma anche Credit Suisse e l’inglese HSBC. Infine, nella parte più bassa della classifica troviamo due giganti americane spesso al centro dell’attenzione pubblica: JPMorgan Chase e Goldman Sachs. Accompagnate da una francese, due tedesche e una indiana. Mentre gli ultimi quattro posti sono tutti cinesi. Con l’ultima banca della classifica, Bank of China, che non ha ottenuto nemmeno mezzo punto.
E le banche italiane?
Tra le banche prese in esame, le uniche italiane presenti sono le due più grandi: Intesa Sanpaolo e Unicredit. Entrambe hanno ottenuto come punteggio 6, lo stesso di tre anni fa. Ed entrambe rientrano tra le banche che hanno rilasciato dichiarazioni o adottato policy per il rispetto dei diritti umani. Ma sono piani non aggiornati da anni. Unicredit nel marzo 2016 aveva approvato un documento dal titolo “Impegno per i diritti umani”. Che però non è mai stato aggiornato. Intesa, invece, un documento simile l’anno seguente.
Bisogna però dire che l’istituto torinese è tra i pochi ad aver raggiunto il massimo punteggio nella categoria “Reporting”. Questo vuol dire che rende pubbliche le misure che adotta per mitigare, prevenire e gestire l’impatto sui diritti e umani. Ma la stessa banca ha ottenuto zero nell’adeguatezza delle risposte. Ovvero non fornisce abbastanza informazioni per poter valutare se le misure adottate siano sufficienti. Insomma, le buone intenzioni sembrano esserci, i risultati non si sa