Con l’arrivo della Pasqua molti italiani, come da tradizione, passeranno il pranzo in famiglia. Secondo le stime di Coldiretti su oltre 4 tavole su 10 non mancherà la carne di agnello, un dato che si prevede in aumento del 13% rispetto allo scorso anno. Proprio in occasione della Pasqua viene infatti acquistata la “gran parte dei circa 1,5 chili di carne di agnello consumati a testa dagli italiani in tutto l’anno“. Una tradizione ebraica fatta propria anche dal cattolicesimo, il cui sacrificio – secondo il Nuovo Testamento – “leva i peccati dal mondo”. L’agnello, secondo i testi sacri, è chiamato al sacrificio per la redenzione dell’umanità. E quello che passa un agnello, nella moderna filiera industriale dell’alimentazione, è effettivamente un sacrificio estremo e poco conosciuto: fatto di trasporti inadeguati, macellazioni inumane e maltrattamenti costanti.
Innanzitutto, però, bisogna fornire alcune informazioni di base. Come riportato dall’associazione Essere Animali nell’ambito di un’inchiesta, la produzione di carne di agnello è strettamente collegata a quella del latte di pecora, per il cui ottenimento le pecore devono aver partorito gli agnelli: se sono femmine, saranno allevate per il latte, mentre se sono maschi a soli 30 giorni dalla nascita verranno uccisi per diventare carne. Ma come vengono allevati gli agnelli? Stando a quanto riportato in un vecchio articolo dell’organizzazione Compassion in World Farming (CIWF) Italia, “come un po’ ovunque” anche nel nostro Paese gli agnelli “hanno accesso al pascolo”, con la loro breve vita che viene trascorsa in “allevamenti non intensivi”. Un modus operandi che ad oggi sembra sostanzialmente confermato: in Italia gli allevamenti di pecore allo stato brado sono quelli prevalenti, mentre nelle immagini della sopracitata inchiesta condotta da Essere Animali in Sardegna – la regione italiana con il maggior numero di ovini allevati – si vedono gli animali pascolare. Niente di cui preoccuparsi dunque? Assolutamente no. La notizia emersa dall’inchiesta, infatti, non è certo quella del pascolo riservato agli agnelli, bensì quella delle violenze sugli stessi.
Grazie all’ispezione di venti allevamenti, dall’inchiesta è emerso “un sistema diffuso di illegalità e maltrattamenti”, con gli investigatori che hanno filmato confessioni di allevatori che “ammettono di uccidere gli agnelli nei periodi di bassa richiesta di carne, perché antieconomico allevarli”, nonché “pratiche vietate perché causa di sofferenza per gli animali”. L’illegale pesatura per sollevamento, ad esempio, “viene effettuata prima del trasporto al macello”, mentre “gravi irregolarità sono state riscontrate anche in un grande macello nonostante la presenza dei veterinari”. Gli animali “assistono alla morte dei loro simili”, con alcuni che “subiscono due volte la scarica elettrica di stordimento, perché gli operatori attendono troppo a iugularli e nel frattempo si svegliano”, ed altri che “sono uccisi ancora coscienti”.
Prima di morire, però, a volte gli agnelli devono sopportare “viaggi estenuanti che durano anche 30 ore”: a riportarlo è sempre Essere Animali, precisando come 1 agnello su 3 di quelli macellati in Italia provenga dall’estero. Un dato preoccupante, soprattutto poiché secondo un’inchiesta diffusa recentemente da Animal Equality il trasporto risulta caratterizzato da “violazioni delle norme sul benessere animale e condizioni di viaggio pessime”, con gli animali schiacciati uno sull’altro. A soffrire prima di morire, dunque, oltre agli agnelli italiani sono anche, e forse in maniera maggiore, quelli stranieri. Ad essere sicuro, però, è il destino comune riservato a tutti loro: la morte. Ogni anno in Italia vengono macellati oltre 2 milioni di agnelli, di cui 375mila solo a ridosso delle festività pasquali: certo, dal 2010 al 2016 le loro macellazioni sono diminuite quasi del 50%, ma da allora risultano sostanzialmente stabili.
Sarà forse anche per questo che la tradizione in passato è stata criticata anche dal mondo cristiano. Famiglia Cristiana, ad esempio, già nel 2017 si era schierata contro di essa, con l’ex direttore don Antonio Rizzolo che l’aveva definita come «un’abitudine alimentare superabile», aggiungendo che non rispettandola sarebbero state evitate «inutili stragi e maltrattamenti sia nell’allevamento che nel trasporto». Al momento, tuttavia, non si registrano cambiamenti significativi, e tantissimi agnelli devono ancora fare i conti con una sanguinosa tradizione.
[di Raffaele De Luca]