- Geraldina Colotti
La 18° Mostra Internazionale di Architettura, visibile dal 20 maggio al 26 novembre a Venezia (Giardini dell’Arsenale e a Forte Marghera), quest’anno s’intitola “The Laboratory of the Future” (Il laboratorio del futuro), ed è curata dall’architetta, docente di architettura e scrittrice Lesley Lokko. Nel 2020, Lokko ha fondato in Ghana l’African Futures Institute, scuola di specializzazione in architettura e piattaforma di eventi pubblici. Nel 2015 aveva fondato la Graduate School of Architecture a Johannesburg.
Uno sguardo che caratterizza questa biennale, sia nei contenuti, che nel profilo dei partecipanti, che nella metodologia. Oltre la metà degli 89 partecipanti, in totale equilibrio di genere e con un’età media al di sotto dei 43 anni, proviene dall’Africa o dalla diaspora africana. I due temi portanti della mostra vertono sulla decolonizzazione e la de-carbonizzazione. E, in entrambi gli spazi della Biennale – il Padiglione Centrale ai Giardini, e poi il complesso dell’Arsenale – sono presenti opere di giovani “practitioner” africani e diasporici, i Guests from the Future (Ospiti dal Futuro).
Il loro lavoro si confronta direttamente con i due temi della Mostra, la decolonizzazione e la de-carbonizzazione, “fornendo un’istantanea delle pratiche e delle modalità future di vedere e di stare al mondo”, dice la curatrice, che precisa: “Abbiamo espressamente scelto di qualificare i partecipanti come practitioner e non come architetti, urbanisti, designer, architetti del paesaggio, ingegneri o accademici, perché riteniamo che le condizioni dense e complesse dell’Africa e di un mondo in rapida ibridazione richiedano una comprensione diversa e più ampia del termine architetto”.
Un cambiamento di prospettiva rispetto alla visione tradizionale dello sviluppo. Secondo Lokko, “c’è un luogo su questo pianeta dove tutte le questioni di equità, razza, speranza e paura convergono e si uniscono: l’Africa. A livello antropologico, siamo tutti africani. E ciò che accade in Africa accade a tutti noi”.
Il Venezuela – un laboratorio di futuro che decostruisce le narrazioni coloniali anche dal punto di vista architettonico, come ha mostrato il maestro Fruto Vivas, recentemente scomparso – in quanto punto di congiunzione tra Africa e America latina, si unisce a questa proposta partecipando alla Biennale Architettura 2023 con un suo padiglione, come fa dal 1956. Va ricordato che il Venezuela è stato il primo paese sudamericano a costruire il proprio Padiglione, e a essere presente, insieme a Brasile e Uruguay.
“Quest’anno – spiega Jacqueline Faria, venuta a rappresentare il Venezuela alla Biennale – abbiamo voluto portare l’opera dell’architetto Carlos Raúl Villanueva, che dal 1942 fino al 1975 ha disegnato e costruito i cento edifici che costituiscono l’Università Centrale del Venezuela, mostrando l’importanza del lavoro svolto per la preservazione di un edificio considerato patrimonio dell’umanità”.
Jacqueline, dirigente storica della rivoluzione bolivariana, nella quale ha svolto diversi compiti di responsabilità, da quattro anni è responsabile della Misión Venezuela Bella: “Una delle 29 – spiega – create dalla rivoluzione e, in particolare, voluta dal presidente Maduro per continuare, nel solco del Comandante, ad abbellire il paese, a dare allegria a tutte le città, a tutte le piazze e i boulevard”. La Misión Venezuela Bella fa parte della commissione speciale, formata da Maduro nel 2001 e diretta dalla vicepresidenta Delcy Rodriguez per recuperare la Ucv, diventata luogo di violenza e di abbandono, e non più di cultura, con le “guarimbas” degli anni passati.
“Nel 2021 – spiega ora Jacqueline – in una situazione già fortemente deteriorata, è crollata una importante sezione della Ucv. Fu come un grido disperato da parte dell’Università di fronte al collasso della struttura. Il presidente inviò una squadra di tecnici specializzati che valutò la situazione e consentì a una equipe multidisciplinare di esaminare le condizioni del resto della struttura, considerata patrimonio dell’umanità nel 2000”.
Venne creato, allora, un ufficio per la sua protezione e sviluppo che avrebbe dovuto vigilare alla tutela dell’insieme. “Tuttavia – prosegue Faria -, le autorità dell’università, nel loro permanente attacco alle istituzioni, hanno depotenziato le competenze di questo ufficio, il Copret, portando la crisi all’acme. Molti spazi sono diventati inagibili o minati da lavori inadeguati e mal eseguiti”.
Una situazione che, sommata al caos determinato dalla violenza, ha fatto quasi collassare la struttura. Denuncia Jacqueline: “Le autorità della Ucv, che in questi 14 anni non si sono occupati dell’università, ma di far danno al paese con il continuo richiamo alle guarimbas, e che hanno provocato la diserzione di studenti e docenti, hanno tenuto un discorso ipocrita e contradditorio. Da un lato, hanno sostenuto che il governo non avesse fornito risorse per mantenere l’università, ma dall’altro hanno eseguito lavori dissennati, fuori dai criteri minimi di rispetto del patrimonio architettonico, generando più danni che soluzioni”.
Con che risorse hanno fatto quei lavori? “Bisognerebbe indagare – risponde Faria -. Senza contare tutte le possibilità finanziarie di cui dispone l’università, il cui uso non è stato trasparente. Di fronte a questo, il presidente ha istituito la commissione speciale che ha dato corso al lavoro di recupero del patrimonio”.
Un lavoro titanico, ma gratificante – spiega ancora Faria – “che in 20 mesi, ha prodotto risultati molto significativi. E questo siamo venuti a mostrare alla Biennale. Una esposizione nella quale raccontiamo le diverse fasi del recupero della Ucv e spieghiamo il metodo impiegato. Pur in tutta umiltà, crediamo sia stato un metodo vincente, che può essere considerato un protocollo di buone pratiche anche sul piano educativo. Un esempio di efficienza, realizzato a tempo di record e in una situazione complessa come quella che vive il nostro paese: non solo perché siamo passati, come il resto del mondo, per una fase pandemica, ma per la condizione di bloqueo economico a cui siamo sottoposti”.
Il governo bolivariano – conclude Jacqueline – “presenta quindi, questo risultato con orgoglio, sia per le difficoltà superate, sia per l’alta professionalità e capacità tecnica che si riflettono in ogni dettaglio. Laboratorio del futuro, il tema della Biennale, è un invito a pensare l’architettura con lo sguardo rivolto agli anni che verranno. Il lavoro per la preservazione della città universitaria ha a che vedere con la garanzia che diamo alle future generazioni di usufruire di uno spazio di formazione e sviluppo che contiene l’architettura moderna del secolo scorso recuperata per i secoli futuri”.