- Fabrizio Poggi
Per l’Occidente, ormai Zelenskij è un “lupo morto”, scrive Vladimir Kornilov su RIA Novosti, e le iene non aspettano altro che il via libera euro-atlantico per banchettare sui suoi resti. Con la sorte toccata al capobranco kiplinghiano, si intende dire che le incrinature tra nazigolpista-capo e “democrazie” liberali si stanno approfondendo a vista d’occhio, così che, senza nemmeno aspettare che il summit NATO di Vilnius si raffreddasse, ecco che hanno immediatamente preso a farsi avanti i pretendenti a rimpiazzare l’ormai dato per spacciato “Akela” ucraino.
Sembra stiano per prender corpo gli slogan messi in piazza dal regime golpista – «Il summit NATO determinerà il destino dell’Ucraina e di Biden» – alla vigilia di Vilnius, ma non senso sperato: e il destino infausto sembra al momento riguardare più da vicino Vladimir Zelenskij. A Kiev, hanno cominciato a presentare il rifiuto al “Piano d’azione per l’adesione” come una specie di svolta: per anni, i golpisti hanno rimproverato l’Alleanza per il rifiuto di concedere il Piano, mentre ora proclamano agli ucraini «Guardate che successo! Ci hanno rifiutato il Piano!».
Dunque, la sorte a breve termine di Kiev era già scritta ben prima di Vilnius. Quello che nella capitale lituana ha provocato il “nobile sdegno” delle cancellerie occidentali, sono state le bravate e i sarcasmi di Zelenskij, in particolare nei confronti del Ministro della guerra britannico Ben Wallace (per altro, già in odore di dimissioni, ma per altre questioni) e delle sue parole su “NATO-Amazon” per le forniture di armi alla junta e la mancata “riconoscenza” golpista.
Nemmeno il tempo di riprender fiato, che subito la TV di Sua maestà manda in onda il redivivo ex golpista-capo Petro Porošenko, che si sgola nella più profonda gratitudine al governo britannico per l’assistenza militare: le parole di Wallace sono quelle «di un amico, una persona molto professionale e molto responsabile», ha snocciolato con le lacrime agli occhi il cioccolataio ex presidente-golpista.
Come non bastasse – Porošenko è pur sempre un ex; per ora fuori dai giochi – ecco l’uscita su Sky News dell’ambasciatore ucraino a Londra ed ex Ministro degli esteri di Zelenskij, Vadim Pristajko, che ha apertamente condannato il «malsano sarcasmo» di Zelenskij su Wallace. Ma le critiche non si sono limitate ai media britannici, osserva Kornilov: fiutando l’odore del sangue, gli sciacalli, finora in agguato, si sono subito lanciati sul capobranco: mentre Porošenko non lesina discorsi idrofobi sul completo fallimento della leadership ucraina a Vilnius, Julija Timošenko si dà ad attaccare Zelenskij e la sua squadra anche per il tentativo di legalizzare la cannabis. A giudicare da come si stiano muovendo in fretta gli avvoltoi, sinora abbastanza silenti, significa che considerano Zelenskij già un “lupo morto” e non aspettano altro che «il segnale dagli Shirkan occidentali per dare il avventarsi sul capo moribondo».
Intanto, proprio quegli “shirkan” occidentali ricorrono al pretesto della corruzione dilagante nell’Ucraina “democratica” (come se essa non sia immancabile sorella di tutte le “democrazie”, più o meno liberali che siano) o della carenza di «sani e robusti istituti democratici» (John Kirby, portavoce della Casa Bianca) per fare “melina” di fronte alle pretese di Kiev. In concreto, tanto a Vilnius, quanto al pressoché concomitante G7, è stato confermato che Kiev sarà assistita nel passaggio del suo esercito agli standard NATO, che rimangono congelati gli asset russi nei paesi del G7 finché Mosca «non risarcirà i danni arrecati all’Ucraina» e che gli stessi paesi forniranno «assistenza militare urgente all’Ucraina in caso di nuovo futuro conflitto con la Russia». Punto.
Ma, per quanto riguarda in concreto Vladimir Zelenskij, osserva Aleksandr Fidel’ su Al’ternativa, al golpista-capo hanno giocato un brutto tiro il suo «dilettantismo politico e la mentalità localistica, il tutto aggravato dalle “sostanze” sotto i cui effetti si trova in permanenza e che gli inibiscono un’adeguata percezione della realtà». Così che Zelenskij è prigioniero del proprio “ukrocentrismo”, della convinzione che l’Ucraina, “impegnata nella difesa dei valori occidentali”, sia molto importante per l’Occidente, che a sua volta è pronto a sostenerla nella lotta “contro l’aggressore russo” nell’interesse dell’Occidente collettivo. Ma, a Vilnius, l’attore d’avanspettacolo è stato riportato coi piedi per terra, ed è facile prevedere un suo forte calo di influenza sui comandi militari ucraini, già prima scettici nei confronti del comandante in capo e operanti direttamente con i comandi NATO; si assisterà presto a un brusco aumento delle critiche a Zelenskij, con campagne mediatiche contro di lui e a favore dei suoi avversari.
C’è una vecchia regola in diplomazia, nota Fidel’: un cambiamento di rotta comporta un cambiamento di timoniere; ora, «avendo subito una battuta d’arresto militare e non avendo opzioni per correggere la situazione, l’Occidente è pronto a cercare un compromesso, e questo implica la sostituzione del clown con una figura meno “tossica” per Mosca, che accetterà le condizioni concordate da Mosca e Washington per por fine al conflitto».
E la situazione è arrivata al punto che i “partner” occidentali, resisi conto che a Kiev non rimane molto tempo, hanno iniziato a batter cassa sui debiti golpisti, a partire dagli asset meglio liquidabili, come opere d’arte antiche, reliquie religiose, icone, finanche spoglie venerate. Il regime majdanista, nota il politologo Rostislav Iš?enko, aveva venduto la maggior parte delle proprietà pubbliche del paese già prima dell’inizio delle ostilità. Si sono acquisiti nuovi crediti a spese di ciò che rimaneva delle ricche terre nere e delle ultime imprese industriali non ancora vendute. Con la prevista asta per “Energoatom” e tutti i porti di Odessa, «è giunto il momento della resa dei conti e i creditori chiedono di saldare i debiti».
In ogni caso, qualunque degli sciacalli si aggiudichi il ruolo di capobranco e stante la situazione attuale, le prospettive per le masse ucraine sono quelle di una giungla euro-atlantica dominata dal Shere Khan di turno, ossequioso ai piani occidentali