L’incapacità rivelata
Nel discorso sullo Stato dell’Unione Ursula von der Leyen ha platealmente rivelato l’impotenza e l’incapacità politica sua e della Commissione europea di andare oltre i tentativi di gestione delle contingenze, chiedendo a Mario Draghi di disegnare un futuro “competitivo” per l’UE prescindendo dagli esiti della consultazione elettorale del 2024.
Qualche giorno prima dell’investitura a riformatore della governance sulle pagine dell’Economist Draghi rimarcava che “sarebbe deleterio tornare ai vecchi ‘paletti’ fiscali pre-pandemia”. Invocava la necessità di “nuove regole nell’Eurozona e di più sovranità condivisa” nonché “ingenti investimenti in tempi brevi, tra cui la difesa, la transizione verde e la digitalizzazione”[1]. Per farlo – rimarcava – occorre “superare quelle regole di bilancio e quelle norme sugli aiuti di Stato che limitano la capacità dei singoli Paesi di agire in maniera indipendente”. Durante la presidenza della BCE Draghi aveva coniato il termine “pilota automatico” per definire quell’insieme di strumenti di disciplina fiscale che avrebbero garantito la rigida applicazione dell’austerità e delle politiche neoliberiste in ciascun Paese membro dell’Unione Europea a prescindere dall’indirizzo politico del governo di turno. Ci sono buone ragioni per dubitare che possa rinunciare all’eredità ordoliberale nel disegnare ex novo una costituzione europea.
La vecchia dialettica tra Stato e mercato, fra statalismo socialista e mercato capitalista, e un loro compromesso social-democratico, non ha più ragione di essere da quando l’accumulazione capitalistica di valore si è definitivamente scollata dalle economie nazionali. Nel caos sistemico prodotto dalla competizione tecnologica e dalla guerra sistemica con Cina e Russia, le istituzioni, i poteri e i rappresentanti del “mondo unico” non intendono certo mettere in discussione l’automatismo del processo del mercato mondiale per affrontare le contingenze nel quadro delle regole.
Nell’ambito dell’Unione Europea la governance era stata presentata come processo in grado di favorire prassi consensuali, trasparenti, inclusive e responsabili mettendo in opera molteplici saperi/competenze e differenti reti di attori, con l’obiettivo di comporre le fratture che attraversano la politica e l’economia. La funzione di governo sembrava passare dal terreno della sovranità statuale a quello delle istituzioni policentriche, de-territorializzate e apparentemente non gerarchizzabili, che funzionano come reticoli tra comitati pubblici e interessi organizzati, in un processo orizzontale, interattivo e fluido, in cui le decisioni sono assunte collegialmente a seguito di scambi e negoziazioni.
Come valore e come obiettivo, la governance sembra essere finalizzata a migliorare la fiducia interpersonale e tra gruppi, a favorire l’assunzione di responsabilità individuali e collettive, a rafforzare l’identificazione comunitaria, a incrementare lo stock di capitale sociale, a produrre una leadership orientata al bene pubblico, a diminuire la corruzione e rafforzare le rules of law. Quale effetto della cooperazione e dello scambio, ciascuna delle parti coinvolte nel processo genera benefici per sé e per gli altri. All’accresciuta complessità del mondo sociale, era associata l’idea della fine della politica così com’era stata praticata fino al liberismo novecentesco, per lasciar posto a un nuovo ordine mondiale “post-ideologico”, non più attraversato da conflitti o opposizione di classe. In tale prospettiva, apologetica ed esortativa, la governance – rielaborata come transformational governance da Fukuyama, suo principale sponsor– era stata posta come procedura che deve «forzare lo sviluppo incrementale della società civile» per costruire e/o riformare le istituzioni in funzione della crescita, del “buon governo” e dell’equilibrio sistemico di lungo periodo[2].
È proprio presentandosi in questa veste neutrale – come modello di governo orizzontale, de-statalizzato e de-burocratizzato, in grado di contemplare, sia in termini numerici che di influenza, gli attori non statali e le implicazioni della tecnologia nel quadro della globalizzazione – che essa ha attirato l’attenzione e il favore di alcuni filoni della sinistra che vedono la governance come un ordine democratico improntato all’innovazione e dominato dalla società civile e dai movimenti sociali. Una sorta di “terza via” tra il liberalismo del laisser faire e il socialismo da caserma dell’ex blocco sovietico. Il significato della “terza vita”, per Giddens e i suoi seguaci di destra e di sinistra, è una società in cui “lo Stato trova un equilibrio tra regolazione e de-regolazione, sapendo che le persone oggi accettano consapevolmente il rischio[3]”.
L’eternizzazione della contingenza
Per esplicitare gli effetti di normalizzazione di cui la governance è portatrice è sufficiente, per cominciare, tradurre il termine. Nella lingua inglese la funzione del gerundio è quella di indicare un sostantivo a partire da un verbo. La traduzione letterale di governance sarebbe governanza, che è la sostantivazione del gerundio presente del verbo governare. Nella lingua italiana il gerundio presente è quel tempo che indica un processo in atto, un’azione nel corso del suo sviluppo. Esprime quindi contingenza. Inoltre si usa generalmente nella frase subordinata quando il suo soggetto coincide con quello della principale. Nella sostantivazione del verbo, ossia nel passaggio dallo stare governando alla governanza, la contingenza e la contemporaneità dei processi di governo si eternizzano, divenendo una sostanza in sé e per sé. E già con questi connotati il termine è gravido di conseguenze.
Nella veste di «attori» della governanza, Stati, istituzioni sovranazionali, ministri economici, rappresentanti della finanza, componenti della società civile (individui, associazioni e imprese), appaiono tutti ugualmente investiti, a partire da contingenze date, nel processo di risoluzione dei problemi e di individuazione delle soluzioni nel quadro astorico una volta per tutte definito dal pilota automatico.
Varoufakis, in una recente intervista al The Gardian, valuta con ragionevole ironia la crisi dell’Unione Europea immaginando le reazioni al crollo di Lehman Brothers nell’ottobre del 2008. A Washington un gruppo di politici si riunisce per riflettere sulla questione rilevante: ‘Come salvare i banchieri per impedire di consumarci?’. A Bruxelles un gruppo molto più numeroso riflette per anni su una versione tossica della stessa domanda: ‘Dato che le regole dell’UE vietano i salvataggi, come manteniamo la finzione di rispettarle mentre salviamo comunque i banchieri?’. Il risultato, osserva Varoufakis, è stato un ritardo costoso: mentre nel 2008 gli europei guadagnavano il 10% in più degli americani, nel 2022 gli americani guadagnavano il 26% in più degli europei”[4].
Questo è il primo effetto di potere della governanza: non sapere chi è il soggetto che decide e chi invece subisce la decisione. La governanza non permette di distinguere i «soggetti del governo», coloro che dirigono il processo decidendo finalità e procedure, dai «soggetti al governo», coloro che subiscono la decisione e che sono tenuti a eseguire le prescrizioni. Il rapporto che intercorre tra governanti e governati èdefinito madepoliticizzato. In generale, si passa da un registro in cui i soggetti hanno diritti in quanto cittadini ad uno in cui diventano portatori di “interessi”, che possono far valere solo se diventano “partner” di coloro che stanno al gioco manageriale della buona governanza.
In secondo luogo, non c’è un ambito o un limite di fatto o di diritto che delimita il campo di azione della governanza. Essa attraversa tutti i livelli e tutte le sfere di azione sociale, perché non persegue fini generali ma affronta questioni contingenti e media interessi posti come “individuali”. Il suo ambito di azione è tanto più sconfinato quanto più individualizzato è il fine che persegue. Posta la contingenza come ambito del processo deliberativo, e dunque il carattere emergenziale e temporaneo della decisione, la governanza non è orientata a un telòs, a una promessa di salvezza, e non persegue un interesse generale che sovradetermina gli interessi particolari. Affronta invece problemi contingenti che si prestano a soluzioni praticabili nelle condizioni date. Il problema della governanza non è la garanzia della sicurezza sociale (malattia, incidente, disoccupazione), ma la conformità incondizionata a procedure elaborate a partire da assiomi assunti come incontrovertibili e legittimati attraverso la scienza.
Nel quadro così definito il termine società politica è sovrapponibile a quello di società commerciale, in cui il cittadino è ridotto alla dimensione di giocatore, player nel senso di partecipante al gioco competitivo, e di partner, nel senso commerciale di stakeholder, per essere fagocitato nella logica dell’impresa. Come membro della società civile che partecipa alle procedure della governanza, gode di un potere polverizzato incapace di esercitare se non appartiene a una lobby. Per essere riconosciuti come partner della governanza occorre essere portatori di un interesse diretto o indiretto in relazione al progetto affidato dai potenti alla discussione. Quindi il primo interesse è quello di essere candidati a rappresentare la società civile.
I “partner” sociali entrano in concorrenza per farsi cooptare nella cerchia degli eletti che la rappresentano. Per farsi cooptare devono adottare per se stessi gli strumenti del management e dell’imprenditorialità: il problem solving e la mediazione. Questa è costituita come ambito per apprendere la responsabilità sociale sotto la guida di un educatore esperto, problem solver, che gode di un appoggio istituzionale, definisce un organigramma con le parti interessate, modera le negoziazioni conformemente al modello. Articola gli interessi di tutte le parti, le richiama alle responsabilità reciproche e verso la comunità, specifica quali responsabilità sono rilevanti e quali no, determina il vero oggetto del conflitto, decide le procedure. Al di sotto di questo mediatore si cela un attivatore che forza la costruzione dei soggetti. A prescindere dal campo specifico in cui interviene, la mediazione ha luogo dentro strutture di potere asimmetriche che normalmente fanno prevalere una parte sull’altra, rendendo accettabile la sconfitta per i più deboli. Il modello è costruito per escludere tutto ciò che potrebbe contraddirlo. La frammentazione ineguale – descritta come decentralizzazione – dei campi di azione della governanza consente di far gravare il peso delle disuguaglianze strutturali alla responsabilità degli “attori”.
Non avendo punti di ancoraggio esterni ai principi dell’utilità economica, dell’efficienza della prestazione e del profitto, la governanza non è chiamata a elaborare scelte strategiche di ampio respiro. È così che la dimensione della politica si riduce a mera amministrazione, avendo oramai perduto quella capacità di elaborazione di una prospettiva utopica credibile e, di conseguenza, perseguibile. Si limita a implementare procedure che permettono di calcolare l’esposizione al rischio individualizzato per ciascuna unità segmentata del sociale.
Gli indici di rischio (gli indici Rt e R0 sulla contagiosità, così come quelli sullo spread e sulla borsa) fungono al contempo da segnali generali e da ingiunzioni per pratiche di condotta economicamente razionali. La società civile viene così concepita come una demoltiplicazione di leader a breve scadenza che si specchiano nello sguardo economico del mercato. Qui entra in gioco il ruolo degli esperti e dei «chierici», di coloro che, riuniti in task force attivate ad hoc, sono chiamati a produrre le regole di giusta condotta. Le qualità richieste per essere dirigenti sfuggono a qualsiasi disposizione costituzionale per rientrare in una antropologia della leadership in cui la performatività, la trasparenza e il miglior uso delle risorse diventano le qualità essenziali. La governanza dissolve la distinzione tra la dimensione costituzionale di popolo – in quanto oggetto di affermazione della volontà generale – e quella sociologica, in cui è rappresentato come soggetto che tenta di definire se stesso nella storia. Entrambe le dimensioni scompaiono per immergersi in una unità referenziale dettata da un’élite, quella degli esperti. Parole d’ordine come reattività e resilienza, competitività ed efficienza, sono diventate parte integrante del lessico di tutti i rapporti redatti dai comitati di esperti per dimostrare l’assoluta conformità dei sistemi politici alle variabili fissate dagli indicatori della “buona” prassi. Tale conformità è tanto più cogente quanto più forte è la dipendenza di continenti, stati e regioni dal finanziamento attraverso il debito.
La legittimazione della governanza quindi non è data né a priori, dai parlamenti, né a posteriori, dalla pubblica opinione. La legittimazione è nelle procedure stesse con cui vengono affrontati i problemi, definite le soluzioni e predisposte le decisioni. Non solo è depoliticizzato il rapporto di governo, ma non possono essere messe in discussione le soluzioni. Si procede governando. La governanza fa in modo che la coscienza pubblica riconosca solo ciò che è relativo alle strette contingenze del presente.
Da queste esemplificazioni generali si può desumere che la governanza si articola in un insieme di strategie discorsive e tecniche di potere finalizzate a connettere gli obiettivi delle autorità ai progetti di organizzazioni, gruppi e individui che sono soggetti al governo, creando un assemblaggio flessibile e contingente tra agenzie politiche ed economiche, legali e tecniche, e aspirazioni, giudizi e ambizioni di entità formalmente autonome come imprese, gruppi di pressione, nuclei familiari, individui. Istituisce relazioni flessibili tra soggetti separati nello spazio e nel tempo, e in sfere formalmente distinte e autonome; definisce standard. Traduce normativamente giudizi e comportamenti. La governanza agisce selettivamente sulle azioni di queste entità formalmente autonome, promuovendone l’agenda, monitorandone i risultati parziali, allocando il budget necessario, e incoraggiando lo sviluppo delle competenze ritenute indispensabili per il raggiungimento degli obiettivi. Si tratta, in breve, di disseminare procedure per l’assunzione e la condivisione di responsabilità tra partner sociali e cittadini rispetto alla malattia, alla pensione, alla formazione permanente, all’autoimprenditorialità, allo sviluppo.
Quando la narrazione della governanza passa dal registro tecnico delle procedure a quello valoriale degli obiettivi, denuncia da sé l’imbroglio che nasconde: equivale a “legittimanza” e serve a preservare chi ne fa uso dal fastidio di una dissonanza cognitiva, attribuendo i suoi accertati fallimenti all’inefficace applicazione del dogma e trasformando tutto ciò che potrebbe invalidarla in strutture fittizie che la confermano[5].
Il distacco strutturale del capitale finanziario dall’accumulazione reale, iniziato da tempo e accelerato con la terza rivoluzione industriale non viene recepito come processo sistemico ma come sequenza di cause specifiche che richiedono interventi di emergenza. Così è stato per il crash del 2008 e per la pandemia, così è ora per la guerra in Ucraina, per la crisi climatica e per le migrazioni.
Ogni manifestazione della crisi, che è globale e riguarda l’obsolescenza della valorizzazione del capitale, viene interpretata come fosse il risultato di uno sviluppo “erroneo” causato da una “condotta” scorretta – l’avidità, la corruzione, lo spreco di risorse naturali, l’arretratezza culturale, tecnologica e/o istituzionale. Gestita con l’intervento del miglior manager o esperto di politica economica, chiamato a ripristinare la validità della “competizione totale”, la governanza dell’Economia sociale di mercato coopta la società civile in questo movimento tautologico e autoreferenziale per gestire gli effetti delle ondate di immiserimento globale e di impoverimento del pianeta. Dalla retorica morale in cui si trastulla, dal gioco sincronico e semi-informale che istituisce tra istanze diversissime e reciprocamente incompatibili (istituzioni sovranazionali, stati nazionali, istituti di credito, imprese, ONG, associazioni) non può altro che scaturire una larva di politica che galleggia nel vuoto e si caratterizza per la sua impotenza. Unico effetto è il totale addomesticamento dei movimenti sociali. Ciò che rimane è solo una sequenza di casi ed eventi, e di piccoli capitali umani che cercano di auto valorizzarsi sullo sfondo di categorie inconsciamente presupposte come eterne.
[1] Mario Draghi on the path to fiscal union in the euro zone, The Economist, 6 settembre 2023.
[2] Fukuyama, F. (2003), La fine della storia e l’ultimo uomo, Milano: Rizzoli, Ed.or., The End of History and the Last Man, 1992.
[3] Giddens, A., La terza via, Milano: Il saggiatore, 2001. Ed. or., The Third Way: The Renewal of Social Democracy, 1998.
[4] Varoufakis, Y, Why can’t the EU power ahead with green subsidies like Biden’s? It isn’t just political procrastination, The Gardian, 19 Settembre 2023.
[5] Deneault, A., Governance. Il management totalitario, Neri Pozza Editore: Vicenza, 2018.