I risultati economici negativi dopo la pandemia di Covid-19 hanno portato all’inevitabile sconfitta dei laburisti, che aprono la strada ad un governo di centro-destra che potrebbe mettere a repentaglio i diritti della popolazione Māori.
Dopo il ritiro di Jacinda Ardern dalla vita politica, le sorti del New Zealand Labour Party (Rōpū Reipa o Aotearoa) potevano essere facilmente previste. Vincitrice delle elezioni nel 2017 e nel 2020, l’ex primo ministro neozelandese era divenuta particolarmente popolare sia in patria che all’estero, venendo spesso indicata come esempio da seguire dalle forze socialdemocratiche di altri Paesi. Tuttavia, nel gennaio di quest’anno, Ardern ha rinunciato alla carica ufficialmente per motivi personali, anche se i suoi consensi avevano nel frattempo subito un netto calo. I laburisti erano infatti stati fortemente criticati per via delle restrizioni imposte dal governo per far fronte all’epidemia di Covid-19, senza dimenticare l’elevato tasso di inflazione registrato nel corso dell’ultima parte del secondo governo Ardern.
In sostituzione di Jacinda Ardern, la guida del governo neozelandese è stata assunta da Chris Hipkins, ex ministro dell’Istruzione e presente sin dal 2008 in parlamento. Meno carismatico e più moderato rispetto alla progressista Ardern, Hipkins ha faticato ad ottenere consensi presso l’elettorato neozelandese, esprimendosi anche contro lo svolgimento di un possibile referendum per trasformare il Paese in una repubblica (attualmente il capo di Stato formale resta il sovrano inglese). Oltretutto, la situazione economica non ha fatto segnare nessun miglioramento dopo l’avvicendamento tra Ardern e Hipkins: ad oggi, il Paese si trova ad affrontare un deficit di bilancio dal 2019 e l’inflazione è ai massimi da tre decenni, mentre gli affitti e i prezzi delle case continuano a salire, rendendo quello abitativo un problema sentito da una fetta importante della popolazione. In pratica, alle elezioni generali del 14 ottobre sarebbe stato difficile prevedere un risultato positivo per i laburisti.
Il responso delle urne ha di conseguenza premiato la principale forza d’opposizione, il New Zealand National Party (Rōpū Nāhinara o Aotearoa) di Christopher Luxon, che è stato di conseguenza designato come nuovo primo ministro. I Nats hanno infatti ottenuto 50 dei 122 scranni che compongono l’emiciclo di Wellington, un netto incremento rispetto ai 34 della precedente legislatura, mentre nel frattempo i laburisti sono passati da 62 a 34 rappresentanti.
Tra le altre forze in campo, va segnalato l’ottimo riscontro ottenuto degli ecologisti del Green Party of Aotearoa New Zealand (Rōpū Kākāriki o Aotearoa, Niu Tireni), considerato come il partito più a sinistra tra quelli presenti in parlamento, passato da nove a quattordici deputati. Torna invece nelle istituzioni il partito di estrema destra New Zealand First, guidato dal controverso Winston Peters, che ottiene otto scranni dopo essere stato estromesso dal parlamento nel 2020. Completano il quadro delle forze in campo gli undici deputati di ACT New Zealand (Rōpū ACT), partito liberal-conservatore, e i quattro di Te Pāti Māori, forza della sinistra radicale che difende i diritti delle popolazioni indigene.
Come si evince da questi numeri, pur avendo vinto le elezioni, i Nats di Luxon non sono in grado di raggiungere la maggioranza assoluta dei seggi facendo unicamente affidamento sui propri 50 deputati, ma in loro soccorso dovrebbero venire gli undici rappresentanti di ACT, con i quali la coalizione di centro-destra raggiungerebbe esattamente la metà dei seggi a disposizione. Nel corso della campagna elettorale, Luxon ha promesso di tagliare le tasse per i redditi medi, affrontare il problema dell’inflazione, rimuovere le tasse sulle vendite di frutta e verdura e reprimere la criminalità. “Faremo della Nuova Zelanda un Paese ancora migliore”, sono state le sue prime parole dopo la pubblicazione dei risultati.
Tuttavia, alcuni analisti hanno fatto notare che una coalizione tra i Nats e ACT, senza nessun margine nei confronti dell’opposizione, rischierebbe di dare vita ad un governo molto instabile. Di conseguenza, è possibile che Luxon decida di aprire la porta anche al partito di estrema destra New Zealand First, che – va ricordato – nel 2017 aveva sostenuto invece il primo governo di Jacinda Ardern, dando vita ad una coalizione sui generis.
I calcoli finali verranno comunque fatti solamente all’inizio di novembre, quando il conteggio dei seggi verrà ufficializzato anche in base al verdetto degli elettori neozelandesi all’estero, che potrebbero risultare decisivi visto l’esiguo margine di vantaggio a disposizione della coalizione di centro-destra. Le principali preoccupazioni per il venturo governo di centro-destra sono state espresse soprattutto dalla popolazione indigena, visto che, in campagna elettorale, ACT ha promesso di limitare l’uso della lingua Māori e di sciogliere l’Autorità Sanitaria Māori, istituita per contrastare la situazione di svantaggio sistemico che vivono gli indigeni.
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Giulio Chinappi – World Politics Blog