di Naomi Klein e Laura Flanders

Dopo l’ondata di disastrose inondazioni, incendi e terremoti che ci hanno sconvolto quest’anno, questo è un buon momento per incontrare di nuovo Naomi Klein, la cui opera continua a scavare in profondità nel modo in cui i capitalisti globali usano lo shock e il caos per far progredire il loro programma, ignorando l’impatto sui vulnerabili. E’ difficile pensare a un’emergenza nazionale o globale che Donald Trump non abbia cercato di sfruttare per i suoi fini e tuttavia, un anno dopo la sua elezione, circa il trenta per cento degli statunitensi intervistati continua ad appoggiare la sua presidenza. Che cosa vende Trump? Chi è che compra? E perché? E a che cosa devono dire “sì” quelli che si considerano parte della resistenza, dopo tanti mesi e anni in cui hanno detto “no” a Trump e al trumpismo? Naomi Klein è l’autrice del libro del 2017 No Is Not Enough[Dire no non basta], nonché di The Shock Doctrine, No Logo e This Changes Everything. Potete seguire questa conversazione – e molte altre simili – sul Laura Flanders Show o iscrivervi al podcast gratuito @lfshow.

Laura Flanders: Aspetto il libro che abbia un “SI’” altrettanto grande in copertina.

Naomi Klein: Sì, sì. No, è vero. Non mi piace che guardandola da lontano tutto quel che si vede è “No”, perché il messaggio del libro è l’opposto.

C’è un’idea realmente importante in questo libro, che ha a che fare con la storia che raccontiamo sul capitalismo. E’ cambiata. Non più tutte le barche sollevate. Puoi fermarti a questo e parlare delle implicazioni?

Beh, voglio dire, siamo in questo momento nel quale la fase ascendente del cosiddetto progetto del libero mercato è in crisi profonda e la verità è che è in crisi da molto. E’ stata una specie di crisi lenta con varie fasi, giusto? E’ in crisi in realtà da quando non è stato più possibile negoziare accordi di libero scambio con il consenso di tutti i paesi coinvolti.

Molti direbbero che è crisi.

… che è crisi, assolutamente. Io penso ci sia stato un periodo dagli anni ’80 e ’90, diciamo giusto il periodo Reagan/Thatcher fino all’era Clinton, forse fino a … Seattle [nel] 1999, nel quale c’era ancora … la promessa e la propaganda di giusto “abbiamo bisogno di più capitalismo ed è questo che lo sistemerà. Abbiamo bisogno di liberalizzare ulteriormente i mercati, dobbiamo privatizzare ogni cosa. Dobbiamo racchiudere tutto all’interno di questi accordi industriali di libero scambio… “

… e così facendo solleveremo tutte le barche.

Sì, che ciò avrebbe diffuso in tutto il mondo prosperità per tutti. Quella fase di racchiudere ogni angolo del globo in questo singolo progetto, è questo che è andato in crisi, ed è andato in crisi perché, per molto tempo, la cosa è rimasta in larga misura a livello di promessa. Come “Se facciamo questo, succederà quest’altro…” Ma oggi siamo in un momento in cui c’è una montagna di dati, grazie a teorici come Thomas Piketty che ci hanno mostrato così spettacolarmente quanto dovunque sia siano ampliate le disuguaglianze, che queste politiche sono state adottate ed è esperienza vissuta, giusto?

Dunque quella crisi, penso, è andata costruendosi da un paio di decenni, ma la crisi finanziaria del 2008 ha fatto vedere i potenti mostrare alla piena luce del giorno le loro vite, vero? Intervenendo così enormemente sul mercato, facendo tutte le cose che dicevano non si potevano fare … tutti hanno visto questo e una volta che lo vedi non puoi ignorarlo. Capisci che le regole possono essere infrante.

L’altro aspetto di questo è che la storia riguardo al sollevare tutte le barche va contro uno scenario, una realtà nella quale penso che l’ultima notizia che ho sentito oggi è che cinque persone – cinque uomini – possiedono tra loro una ricchezza equivalente a metà del resto della popolazione, del resto del patrimonio mondiale. Qualcosa come 400 miliardi di dollari.

Sì, il cinquanta per cento, sì.

Dunque quello che dici nel libro è che noi sostituiamo la storia del “capitalismo aiuterà tutti” con la storia di “ci sono vincitori e perdenti e tu non vuoi essere un perdente”.

Esatto, esatto, e quella è la chiave per capire Trump. Perché quello che è andato vendendo in questo periodo nel quale il divario della ricchezza si è ampliato, questo periodo di un piccolo gruppo di super vincenti, e di un mucchio di persone che sta semplicemente perdendo, è: “Ti insegnerò come essere un vincitore”. Penso sia davvero importante capire che questo è ciò che è andato promettendo da quando ha scritto The Art of the Deal. Tipo: “Vi insegnerò come essere come me, lasciate stare che la ricchezza è ereditata, lasciate stare che tutto mi è stato consegnato …” E questo è ciò che è andato vendendo alla Trump University. “Ti trasformerò nel prossimo Donald Trump”. Università, giusto. E’ questo che è stato il programma televisivo “The Apprentice”, no?

Sì.

Questo biglietto per la “terra promessa” su per l’ascensore della Trump Tower, ed è stato precisamente perché … l’alternativa a ciò era andare di male in peggio e quello è stato uno spot commerciale utilissimo per lui.

Tu sostieni che lui non è la spiegazione del perché noi siamo in questa situazione, bensì lui ne è un’espressione … viviamo tutti in questo modo di classifiche, di valutazioni con implicazioni enormi. Penso, tra altre cose, per organizzarsi. Come vedi che andrà a finire?

Beh, sai , io concludo il libro con questa sezione che ho temuto sarebbe stata un po’ controversa, riguardo a come dobbiamo uccidere il “Trump in noi”; e voglio essere chiara, non sto dicendo “Uccidete Trump”. Il “Trump che è in noi”. Le parti di noi che sono un po’ trumpiane. Non sto dicendo che siamo tutti uguali a Trump. Non sto dicendo che siamo tutti ugualmente responsabili … ma dico che lui è un prodotto della nostra cultura. Il fatto che abbia potuto diventare presidente è un prodotto della nostra cultura e stiamo tutti dentro la cultura.

Non abbiamo tutti le stesse esperienze della cultura, ma la cultura che ha reso possibile per gli Stati Uniti avere la sua prima star di un reality show dotata di armi nucleari è la stessa cultura che frantuma la nostra curva dell’attenzione e induce tanti noi a considerare sé stessi come dei marchi di fabbrica, in contrasto con le persone nelle comunità e persino nelle nostre organizzazioni, a considerare sé stessi non come parte di un movimento sociale con una base basta, che ha bisogno dei nostri talenti.

Il modo in cui pensa un movimento sociale … è “più è meglio” e il mondo in cui un marchio pensa è molto proprietario. E’ molto “Otterrò il credito? Costruirò il mio marchio?” E c’è un conflitto reale e io penso sia importante parlarne in modo non accusatorio, perché siamo prodotti della nostra cultura … Possiamo criticarla, ma siamo tuttavia in questo sistema e ne siamo prodotti. Il progetto neoliberista è nel suo quarto decennio. Dunque penso che possiamo parlarne senza degenerare in una specie di “sei un traditore, sei un idiota”.

Beh, è vero che entrambe le cose stanno accadendo contemporaneamente. Nel momento stesso in cui abbiamo queste classifiche e valutazioni abbiamo anche sempre più persone che parlano di interconnessione e pensano a come le cose sono collegate in modi non oggetto di classifiche … e abbiamo alcuni esempi … di programmi interconnessi … che stanno effettivamente avendo successo … penso al risultato di Jeremy Corbyn alle elezioni britanniche. Non ha vinto, ma ha certamente superato le aspettative di tutti con un manifesto che rifletteva un insieme di priorità molto non classificate salvo che riguardo a mettere per primi i molti. “I molti, non i pochi” è stato il suo slogan.

Ma questo è importante, no? Che non ci siano stati i pochi, perché in un certo senso vedo i Democratici sostenere “Oh, ci piace la parte ‘per i molti’, ma lasciamo perdere ‘per i pochi’, perché non ammetteremo che è realmente in corso un conflitto. Che ci sono interessi che cercano di arricchirsi a spese dei molti…” E penso che questo sia stato parte del problema, questa indisponibilità a fare i nomi e a dire che esiste un conflitto.

Se c’è riuscito lui, potremmo riuscirci noi?

Penso di sì. Voglio dire, questa è la parte straordinaria … e ovviamente Bernie Sanders in effetti l’ha fatto a modo suo, perché ha fatto i nomi. Ha effettivamente detto “Siamo contro una classe miliardaria e siamo in molti”. L’ha fatto, è una delle cose che mi piacciono in Bernie come politico è che è in grado di farlo senza cattiveria e di farlo in modo che non è personale, bensì strutturale.

Dunque, voglio dire, sono davvero rincuorata dalla campagna di Corbyn, perché dimostra che è possibile guidare con idee. Voglio dire, Jeremy Corbyn è l’antitesi di una figura in stile Trump ma, cosa più importante, nel Regno Unito è l’antitesi di Tony Blair. E’ l’antitesi della colonizzazione della classe politica da parte della logica dei marchi industriali ed è stato Tony Blair, come sai, il primo a determinarla.

Quando stavo scrivendo No Logo e parlando dell’ascesa di questo modello e di si stesse insinuando in ogni aspetto della vita, uno dei miei esempi era, tipo: “Nel Regno Unito … immaginate di parlare di un partito politico come di un marchio”. Era sconvolgente, che parlassero di cambiare marchio al Partito Laburista … e poi lui ha cambiato il marchio alla Gran Bretagna. “Mitica Britannia …” Quello che scrissi all’epoca fu che il Partito Laburista di Tony Blair – il “Nuovo Laburismo” – era un partito solo con l’odore di laburismo. Stava tagliando i rapporti tradizionali tra il Partito Laburista e … i lavoratori. Che il marchio, il logo, non aveva più un rapporto con il prodotto … e l’opinione dell’élite era “Beh, non vorrete davvero avere qualcosa a che fare con i lavoratori veri, no?” Poi arriva Jeremy Corbyn e conduce la sua campagna che include i lavoratori …

… voglio approfondire giusto alcuni degli esempi che tu vedi in questo lavoro all’opera oggi e come le persone stanno superando parte di questa cultura del marchio fanno il lavoro di farci lentamente progredire … come hanno detto i canadesi “fateci fare un balzo in avanti”. Parliamo del Leap Manifesto [Manifesto del balzo], perché è chiamato così e che cosa contiene?

Giusto, e ci sono molti esempi realmente buoni, penso, in questo paese … la Vision for Black Lives [Visione per le vite dei neri] è semplicemente un esempio incredibilmente ispiratore di una piattaforma popolare che redatta dal movimento sociale e quando è uscita quasi un anno fa penso che i giornalisti siano rimasti sorpresi dalla sua ambizione. Si aspettavano che il movimento si concentrasse solo sulla violenza della polizia e in effetti si concentra sulla violenza poliziesca, ma con una visione vasta su come cambiare la società, no?

Dunque con il Leap è fondamentalmente quello che abbiamo fatto un anno prima quando eravamo nel mezzo di una campagna per le elezioni federali in Canada e ci siamo trovati in una situazione nella quale nessuno dei partiti che aveva una possibilità di vincere quelle elezioni aveva una piattaforma che fosse lontanamente abbastanza ambiziosa, considerate le crisi sovrapposte che viviamo. Una di tali crisi è il cambiamento climatico. Un’altra è l’ingiustizia razziale. Un’altra è il tradimento sistematico dei trattati e dei diritti delle terre dei popoli indigeni, e via e via di seguito.

Così la nostra piccola organizzazione ha contribuito a ospitare una riunione di sedici leader di movimenti e organizzatori che in un certo modo si sono ritagliati un po’ di spazio per sognare. Per dire “OK, che cosa vogliamo invece? Com’è il mondo invece …?” Ed è stato davvero difficile perché ci siamo resi conto che non avevamo … un pilota automatico per farlo ed è come “Bene, sappiamo come riunirci a dire che davvero non vogliamo questo accordo commerciale o che davvero non vogliamo questo politico” … ma … ci siamo divisi in gruppi più piccoli e abbiamo riempito lavagne e quello che è stato chiaro è che c’era un tessuto connettivo …  

Di nuovo tutte quelle interconnessioni.

Sì, sì e molto aveva a che fare con il prendersi cura. Cura, consenso, passare da una cultura basata sull’infinito prendere ed eliminare le risorse della Terra, degli esseri umani, di spingere oltre i limiti come se non ci fossero conseguenze, a una cultura di cura e consenso radicali. Abbiamo lanciato questo documento e ne è stato fatto strame … sui media industriali, ma la gente ha continuato a usarlo e ad adattarlo e a farlo proprio … sentiamo un mucchio di persone in questo paese che sono interessate al modello.

Bene, questa è la mia ultima domanda. Mi è stato ricordato nel tuo libro come la destra è entrata in crisi. Quando mi hai ricordato che è stato Mike Pence dietro il piano post Katrina di fondamentalmente cancellare tutte le protezioni dei lavoratori che erano state poste in essere da attivisti della Costa del Golfo per molti anni … e leggendo il tuo splendido lavoro resto sempre con questa sensazione di “come possiamo approfittare della crisi con il loro stesso sprint …?” E forse puoi giusto dover ricordare al nostro pubblico chi è Mike Pence e com’è stato imbattersi di nuovo in lui.  

Beh, quando stavo scrivendo The Shock Doctrine il libro comincia con l’uragano Katrina  come massimo esempio di questa tattica su cui il libro si concentra: di usare periodi di grave trauma collettivo per far passare politiche che non si sarebbe mai in grado di far passare senza una crisi, perché non c’è consenso. Voglio dire, è la massima violazione del principio della democrazia del consenso, comunque la si voglia chiamare, e New Orleans … è stato qualcosa di particolarmente abusivo, perché le persone non erano nella loro città. Voglio dire, non erano a casa.

Ci sono state molte di esse che sono state messe su autobus e aerei con la minaccia delle armi e con un biglietto di sola andata via dalla città e quando se ne sono andate è stato allora che i loro progetti abitativi sono stati demoliti. E’ stato allora che le loro scuole sono state trasformate in scuole private sovvenzionate o chiuse del tutto e New Orleans è diventata questo laboratorio per questi progetti ideologici molto lucrosi e così c’è stata questa riunione nella quale tutto questo è stato definito mentre New Orleans erano ancora parzialmente sott’acqua. E’ stato presso la Heritage Foundation …  

Puoi mettere un segno di spunta accanto a molti di loro oggi … e quando Trump ha nominato Mike Pence con suo candidato vice sapevo di conoscere il nome per qualche motivo ma non riuscivo a collocarlo bene e poi mi sono ricordata che il suo nome era in calce a quel documento perché all’epoca lui era il presidente del gruppo di studio Repubblicano.

Dunque è questo il motivo … Laura, tu mi conosci, non pubblici libri velocemente. Mi ci vogliono cinque anni e questo libro l’ho scritto con una certa frenesia, perché volevo davvero essere in vetrina prima che ci sia una grande crisi, oltre alla crisi che è Donald Trump, perché sono davvero preoccupata riguardo a che cosa farebbe questa configurazione di personaggi se avesse uno shock esterno da sfruttare, che si tratti di una crisi economica, persino di un evento tipo Katrina o, Dio non voglia, un attacco terroristico come Manchester … Deve esserci quella fiducia in sé sessi in momenti di crisi per proporre un programma trasformativo e quella fiducia spesso manca. Tuttavia penso che questo cambierà perché penso che i movimenti siano in una posizione diversa.

Non possiamo aspettare quella crisi per venir fuori con quel programma.

No, dobbiamo essere preparati

Autrice di bestseller e conduttrice, Laura Flanders intervista persone che guardano avanti dai mondi della politica, degli affari, della cultura e dei movimenti sociali sul suo programma televisivo consorziato internazionalmente “The Laura Flanders Show”. E’ in onda settimanalmente su KCET/LinkTV, FreeSpeech TV e in inglese e spagnolo su teleSUR. La Flanders è anche collaboratrice di The Nation e di YES! Magazine (“Commonomics”) e ospite regolare di MSNBC. E’ autrice di sei libri tra cui il bestseller del The New York Times ‘BUSHWOMEN: Tales of a Cynical Species’ (Verso 2004) e ‘Blue GRIT: True Democrats Take Back Politics from the Politicians’ (Penguin Press, 2007). “The Laura Flanders Show” è stato inizialmente trasmesso sulla Air America Radio dal 2004 al 2008. Seguitela su Twitter: @GRITlaura .    

Best-selling author and broadcaster, Laura Flanders interviews forward thinking people from the worlds of politics, business, culture and social movements on her internationally syndicated TV program, “The Laura Flanders Show.” It airs weekly on KCET/LinkTV, FreeSpeech TV, and in English and Spanish in teleSUR. Flanders is also a contributing writer to The Nation and YES! Magazine (“Commonomics”) and a regular guest on MSNBC. She is the author of six books, including The New York Times best-seller, BUSHWOMEN: Tales of a Cynical Species (Verso, 2004) and Blue GRIT: True Democrats Take Back Politics from the Politicians (Penguin Press, 2007). “The Laura Flanders Show” first aired on Air America Radio from 2004 to 2008. Follow her on Twitter: @GRITlaura.

 

Da Znetitaly – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: https://zcomm.org/znetarticle/trump-embodies-the-crisis-of-capitalism/

Originale: Truthout

traduzione di Giuseppe Volpe

Traduzione © 2017 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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