Nel solo 2023, sono ben 2.007 le interdittive antimafia emesse dalle prefetture italiane, in forte crescita rispetto al 2022. Un dato ufficiale, che emerge dalle statistiche della Banca dati nazionale antimafia ed è stato diramato dal Ministero dell’Interno. Lo scorso anno, i provvedimenti emanati dai prefetti per bloccare i rapporti con la Pubblica amministrazione delle imprese sospettate di essere infiltrate dalle mafie hanno dunque superato di gran lunga le 1.495 interdittive emesse nei 12 mesi precedenti, con un aumento del 34,2%. In vetta alla classifica c’è la Campania, che ha totalizzato 490 interdittive, cresciute del 47% rispetto al 2022, cui segue la Sicilia, con 390 interdittive. Ma una posizione di grande rilievo la assume una regione del Nord, l’Emilia-Romagna, e nello specifico il territorio di Reggio Emilia, colpito da 144 interdittive, complice la sorveglianza legata agli appalti per la ricostruzione post-alluvione. Un numero addirittura superiore a quello della provincia di Foggia, dove è fortissima la cosiddetta “quarta mafia”.
Nello specifico, i dati evidenziano un aumento del 32,5% nelle comunicazioni interdittive antimafia e del 36,3% nelle informazioni interdittive. Queste ultime costituiscono una valutazione discrezionale, svolta dalla prefettura, del rischio di infiltrazione, coinvolgendo le imprese considerate in pericolo di condizionamento al di là dei loro rapporti con la Pubblica Amministrazione. A questo proposito, appare significativo mettere a confronto i dati del Ministero dell’Interno con quelli dell’Anticorruzione, da cui si rileva che, se le 2.007 interdittive che hanno segnato il 2023 non sono un record – nel 2020 ne sono state censite 2.130 e l’anno successivo 2.078 –, la situazione è diversa se si guarda allo storico delle informazioni antimafia che hanno colpito specificamente le aziende che lavorano con contratti pubblici. L’Anac, infatti, ha reso noto che ha avuto luogo un incremento costante fino al 2022, quando se ne sono contate 1.129 (nel 2019 erano state soltanto 633). Ad ogni modo, analizzando i dati complessivi provincia per provincia, non sembra avere avversari quella di Napoli, con 351 provvedimenti, quadruplicati rispetto agli 87 dell’anno precedente: 133 informazioni di interdittive e ben 218 comunicazioni. A seguirla Reggio Emilia – la sola città del nord presente nelle prime 12 posizioni –, che supera di due informazioni negative la provincia di Foggia, che ne conta 142. Numeri in grande crescita anche in Sicilia: ad Agrigento le interdittive sono più che decuplicate, passando da da 6 a 70, mentre a Trapani passano da 13 a 47. A primeggiare è Palermo, con 112 interdittive, mentre l’anno prima erano 66. Al Nord, invece, cala il numero delle interdittive in Lombardia, che passano dalle 84 del 2022 alle 70 dell’anno scorso, mentre si alza quello dei provvedimenti emessi in Veneto, che sono 53, più del doppio di quelli del 2022 (25).
La lotta contro le infiltrazioni mafiose nell’ambito dei contratti pubblici, in Italia, è sempre stata problematica, anche perché mai supportata da politiche preventive davvero efficaci. Analizzando l’ultimo “tratto di strada”, ha per esempio suscitato molte polemiche l’approvazione del governo del nuovo Codice degli Appalti, avvenuta lo scorso marzo. Tra le misure più contestate vi è la liberalizzazione degli appalti sotto-soglia: per appalti fino a 150mila euro, la procedura indicata è quella dell’affidamento diretto; al di sopra di tale soglia c’è procedura negoziata senza bando; per gli appalti fino a 500 mila euro, le piccole stazioni appaltanti – cioè gli enti locali più piccoli – possono invece procedere in maniera diretta, senza passare per le stazioni appaltanti qualificate. È stato poi inaugurato il sistema dell’appalto integrato, precedentemente non permesso, attraverso cui è possibile attribuire con la stessa gara sia la progettazione esecutiva che la realizzazione dei lavori in base al progetto di fattibilità tecnica ed economica, e autorizzato altresì il cosiddetto “subappalto a cascata“, cioè il subappalto del subappalto. «Semplificazione e rapidità sono valori importanti, ma non possono andare a discapito di principi altrettanto importanti come trasparenza, controllabilità e libera concorrenza, che nel nuovo Codice non hanno trovato tutta l’attenzione necessaria, specie in una fase del Paese in cui stanno affluendo ingenti risorse europee», aveva dichiarato il presidente dell’Anticorruzione Giuseppe Busia, stroncando la riforma nei suoi elementi fondamentali.
[di Stefano Baudino]