(leggi precedente 13.)

14. Giustizialismo e buonismo, due facce di due medaglie diverse

Ripartiamo dagli inizi della Seconda Repubblica. Sintetizziamo quanto è accaduto parafrasando la famosa battuta di un film: quando un uomo azienda incontra un uomo politico tradizionale, l’uomo politico tradizionale è un uomo finito. Contro il marketing aziendale i vecchi ragionamenti e le vecchie strategie politiche erano armi spuntate, anche perché, come detto all’inizio, il terreno era stato ben coltivato nel decennio precedente con le tv commerciali. La sinistra poteva vincere solo impedendo a Berlusconi di partecipare.

Questo gli eredi del Partito Comunista non l’hanno proprio capito. Potevano metterlo fuori gioco già nel ’96 con una semplice leggina ad personam (poi lui ne avrebbe fatte parecchie di leggi ad personam, e non serviva Nostradamus per prevederlo). Del resto, non ci sarebbe stato nulla di antidemocratico. Subordinare la partecipazione alla lotta politica di un soggetto che possiede un impero mediatico alla cessione dello stesso, sarebbe stata soltanto un’elementare forma di tutela delle regole democratiche. Consentire a un tycoon dell’informazione di accedere alla competizione elettorale è stato come se in un campionato di calcio la designazione degli arbitri venisse affidata alla squadra più forte. Certo, la squadra garantirebbe che saranno tutti imparziali, ma nessuno ci crederebbe. E farebbe bene a non crederci.

D’Alema, al contrario, più interessato a oscurare Prodi che Berlusconi, si adoperò per legittimare quest’ultimo in tutti i modi, compresa la gloriosa Bicamerale, rivelandosi con la sua realpolitik il miglior nemico che questi potesse augurarsi. Dopodiché, attratto più dall’uovo oggi, cioè la poltrona di presidente del Consiglio, che dalla gallina domani, cioè un serio programma riformista di sinistra, pose le premesse per consegnare il paese a Berlusconi e le idee di sinistra all’oblio.

Da quel momento la sinistra è stata definitivamente archiviata. Il berlusconismo ha avuto campo libero e l’azienda-partito si è ritrovata padrona del paese. Attraverso una comunicazione capillare e pervasiva, dalle forme più popolari degli slogan a quelle più sofisticate e sottili della televisione, atta a modificare le categorie mentali della lotta politica, è stato capace di farci apparire come emergenze quelle che non erano emergenze e bazzecole quelli che erano macigni.

L’efficacia del marketing politico dell’azienda-partito è misurabile con la capacità di queste nuove categorie di insinuarsi tra gli stessi avversarsi, riuscendo, in altre parole, a far vedere la realtà dalla sua stessa prospettiva.

Sono così diventate di uso corrente parole che non rappresentano niente, ma che erano utili alla narrazione che si voleva diffondere. Parole che non avrebbero mai attecchito da sole, ma che nell’imponente industria dell’informazione berlusconiana hanno potuto contare su molte anime pie disponibili a innaffiarle e curarle, fino a farcele diventare familiari. Più che neologismi, andrebbero considerate operazioni linguistiche. Anzi, per essere più precisi, manipolazioni linguistiche. Piccoli ma fondamentali mattoncini di una strategia politica più ampia.

Due di queste parole che hanno fatto la nostra storia recente sono giustizialismo e buonismo.

Trent’anni fa l’unica associazione che giustizialismo ci avrebbe suggerito sarebbe stata quella con il partito dell’ex presidente argentino Peron. Oggi invece ha per tutti ben altro significato. Sta a indicare, o, per meglio dire, etichettare, coloro che pretendono una giustizia sommaria, mossa da animosità e astio quasi tribali, pronta a calpestare ogni diritto e ogni civiltà. Attenzione, però: vale solo per certi reati. Se, per esempio, pretendo una pena severa per un sindaco o un parlamentare che abbiano preso una tangente per la costruzione di una scuola o di un ponte che poi sono crollati, sono un giustizialista. Se, invece, invoco una condanna esemplare per uno spacciatore di marijuana o per un ladro di galline, sono un difensore della legalità. Nel primo caso mi dovrei vergognare; nel secondo posso andare a testa alta.

All’opposto del giustizialismo sta il buonismo. Anche questo però vale solo per un certo tipo di reati. Se chiedo di vagliare con calma circostanze e contesti per lo spacciatore o il ladro di cui sopra, sono un buonista; se invece lo chiedo per il parlamentare o il sindaco sono garantista. Anche qui vale la conclusione precedente.

In effetti, si tratta di una coppia di opposti asimmetrica. E il motivo è abbastanza semplice: le due parole rispondono a esigenze diverse. L’ingenuo potrebbe vederle come due estremi di un unico segmento, due facce della stessa medaglia. Il giustizialista che a un certo punto si ricrede si va piano piano spostando verso l’altro estremo, magari fino a diventare buonista, oppure può essere quest’ultimo a compiere il percorso inverso. Niente di più falso. In realtà, sono due estremi di due segmenti diversi, al cui estremo opposto di ognuno c’è la sorpresa. Sono due facce di due medaglie diverse.

Se ti vai redimendo dal giustizialismo procedi in direzione del garantismo; se ti vai redimendo dal buonismo ti vai avvicinando alla difesa della legalità. Perché la legge non è uguale per tutti: per i colletti bianchi si applica il segmento giustizialismo-garantismo; per i poveracci vale il segmento legalità-buonismo. In altri termini, se attacchi il poveraccio difendi la legalità, se ci provi col potente sei giustizialista; se il potente lo difendi sei garantista, se difendi il poveraccio sei buonista. Tradotto in soldoni, giustizialismo serve ai politici contro il rischio di finire in cella, mentre buonismo a quelli che raccolgono i voti grazie alla microcriminalità e ai migranti.

In Italia i colletti bianchi sono lo 0,9% della popolazione carceraria, mentre sono il 5,8% in Francia e il 13,2% in Germania[1]. Per la precisione, i detenuti in Germania per reati fiscali sono di più di quelli per droga e sono 55 volte di più rispetto all’Italia[2]. Eppure, la corruzione è molto più alta in Italia rispetto a Germania e Francia[3] e i reati finanziari sono molti di più in Italia. L’evasione dell’imposta sul valore aggiunto, per esempio, è stimata in 35 miliardi in Italia contro i 23 della Francia e i 12 della Germania, mentre nelle truffe all’UE stracciamo la concorrenza, doppiando la Germania e facendo più del triplo rispetto alla Francia.[4]

Alla luce di questi dati, non sembra che in Italia in questi anni ci sia stato un particolare accanimento verso corrotti e responsabili di reati finanziari. Non sembra che molti di loro siano andati incontro a giustizia sommaria o abbiano visto violati i loro diritti. Se i giustizialisti hanno preso il sopravvento nel paese, come la propaganda di destra non si è stancata di ripetere, non si può dire che abbiano fatto tutti questi sfracelli.

Come mai allora si è diffuso questo allarme verso il dilagare del giustizialismo che ha fatto da tema dominante in tante campagne elettorali? C’era veramente un’emergenza?

Sì, in effetti, un’emergenza c’era. Solo che riguardava una sola persona: il capo del governo. A fronteggiare questa emergenza tutta italiana sono serviti lodi e riforme processuali.

Un tempo la sinistra era garantista, mentre la destra, che metteva al primo posto la sicurezza dello Stato, appoggiava l’azione della magistratura incondizionatamente, anche quando questa abusava del suo potere e i diritti del singolo venivano calpestati. Poi, con la stagione di Mani Pulite, le cose sono cambiate. La destra ha scoperto che nella sicurezza dello Stato potevano rientrare anche reati come corruzione e malversazione in generale, reati per i quali fino ad allora aveva goduto di una sostanziale immunità. Ha scoperto così il garantismo. Dopo, quando i suoi interessi hanno coinciso con gli affari del suo capo, il garantismo è diventato il suo tratto distintivo. Siccome, però, all’interno della coalizione c’erano anche quelli che raccoglievano i voti grazie al dilagare della piccola delinquenza, si è trovato l’escamotage. Il garantismo vale solo da un certo reddito in su. Sotto, come detto, è buonismo.

Qual è l’aspetto più sconcertante di tutta la storia?

Beh, l’aspetto più sconcertante è che anche la sinistra ufficiale è diventata antigiustizialista. Tuttavia, poiché ci tiene alla coerenza, applica l’antigiustizialismo a prescindere dal reddito, andando quindi incontro all’accusa di buonismo. E bisogna dire che fanno quasi tenerezza i rappresentanti del PD quando nei talk-show prendono le distanze dal giustizialismo e non sanno come allontanarsi dal buonismo. Si direbbe che maneggino le parole giusto perché di tendenza, ma senza afferrarne pienamente il senso, un po’ come quelli che trovano un oggetto lasciato lì da qualcun altro e lo prendono e lo rigirano tra le mani senza capire bene a cosa serve. Probabilmente ne verrebbe fuori uno sketch da blob se il conduttore chiedesse: ma lei cosa intende esattamente per giustizialismo?

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[1] https://pagellapolitica.it/fact-checking/davvero-meno-di-un-detenuto-su-cento-e-in-carcere-per-reati-dei-colletti-bianchi (consultato l’ultima volta il 2-12-2023).

[2] https://www.corriere.it/cronache/14_gennaio_27/italia-reati-finanziari-invisibili-pochissimi-detenuti-fiscali-solo-punisce-germania-4715e404-8721-11e3-b7c5-5c15c6838f80.shtml (consultato l’ultima volta il 2-12-2023).

[3] Siamo al 41 posto, mentre la Germania è al 9 e la Francia al 21.

https://www.transparency.org/en/cpi/2022 (consultato l’ultima volta il 2-12-2023).

[4] https://www.eppo.europa.eu/sites/default/files/2022-07/_EPPO-Annual-Report-2021-IT.pdf (consultato l’ultima volta il 2-12-2023).

Di Giovanni

"Trascorsi nell'antico Pci, ho lavorato in diverse regioni italiane e all'estero (Francia, Cina, Corea), scrittore per hobby e per hobby, da qualche tempo, ho aperto anche un blog ( quartopensiero ) nel quale mi occupo, in maniera più o meno ironica, dei temi che mi stanno a cuore: laicità, istruzione, giustizia sociale e cose di questo tipo."

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