(Leggi precedente 14.)

15. Voteremo gli Unni per sconfiggere i marziani

È andata avanti per un paio di decenni, questa storia del voto utile, che se non si votava il PD si contribuiva a far vincere la destra, che si rischiava di mandare in rovina il paese, la catastrofe e l’incombente pericolo fascista. 

Ora, della storia non si dà scienza esatta e il futuro può smentirci in qualsiasi momento, può pure darsi che mentre scriviamo una nuova marcia su Roma sia in fase di preparazione, ma il solo pensare che nell’Italia del XXI secolo possa essere instaurato un regime fascista, o che anche vagamente rassomigli al regime mussoliniano, appare qualcosa di totalmente inverosimile, che fa pendant con le accuse di nostalgie comuniste mosse dalla destra al PD. Ciò non significa che la democrazia non sia in pericolo. Lo è, eccome. Anzi, sarebbe meglio dire ciò che della democrazia rimane, essendosi ormai nella sostanza trasformata in una sorta di oligarchia,[1] ma questo non c’entra niente con il governo Meloni, trattandosi piuttosto di un fenomeno strutturale che caratterizza le democrazie occidentali. Senza contare lo strapotere delle multinazionali tecnologiche che prefigura l’avvento di forme di totalitarismo assimilabili a quelle immaginate da Orwell in 1984.[2] Ma questo è un discorso che il PD è lontanissimo dal fare.

Ad ogni modo, tornando al nostro orto, alla luce degli ultimi risultati elettorali, si può trarre la conseguenza che questa storia del voto utile abbia un po’ stancato, e che a più di uno sia venuto il sospetto che si trattasse dell’ultimo salvagente al quale una manica di incapaci, dopo aver fatto naufragare la nave, provava goffamente ad aggrapparsi. Un divertente tweet alla vigilia delle ultime elezioni politiche recitava: «la prossima volta ci chiederanno di votare Meloni per non far vincere le SS, e poi di votare le SS per non far vincere gli Unni e infine di votare gli Unni per sconfiggere i marziani».

Diciamolo chiaramente: il voto utile non esiste. O meglio, è sempre utile. Anche se voto scheda bianca, o anche se non vado a votare, è comunque utile a farti capire che non mi sento e non sono rappresentato. Un partito serio convince gli elettori con le proposte alle quali fanno seguito i fatti, non agitando spauracchi come si fa coi bambini che non vogliono ubbidire.

Questo, per quanto riguarda il discorso che ultimamente siamo abituati a sentire alla vigilia delle elezioni.

All’indomani, invece, il ritornello è un altro. Dopo la sconfitta, arriva immancabile l’autocritica: «ci siamo allontanati troppo dalle classi lavoratrici». E ogni volta viene da domandarsi se c’era bisogno della batosta elettorale per capirlo. Non bastava guardare il trend degli iscritti al PD, che sono passati dagli 830000 del 2009, anno della sua nascita, ai 50000 del 2022, di cui 10000 online? E non bastava, poi, dare un’occhiata alle statistiche per vedere che i governi a guida o con dentro il PD non solo non hanno contribuito in alcun modo ad attenuare la forbice sociale, ma anzi l’hanno accentuata, per darsi una spiegazione?

Nemmeno l’autocritica, allora, appare più convincente, finendo per somigliare a una posizione di comodo. Dall’opposizione si può ammettere di non aver tutelato i ceti meno abbienti. Ci si può ricordare delle disuguaglianze, della precarietà, del salario minimo, ecc. ecc. Insomma, si può tornare a essere Che Guevara. Poi, una volta ritornati al governo dimenticarsene di nuovo.

All’ultima sconfitta, dopo il solito refrain, c’è stata l’elezione di una nuova segretaria. Alcuni editorialisti, di quelli nutriti a pane e centralismo democratico e ora capitani coraggiosi della globalizzazione – per intenderci –, l’hanno salutata come il Corbyn italiano. Laddove ovviamente il nome del laburista inglese non voleva essere un complimento. Ragion per cui, se non voleva esserlo per costoro, potrebbe pure oggettivamente esserlo.

Certamente, da un punto di vista di sinistra, non sarebbe stato un complimento se fosse stata etichettata come il Blair italiano. Sappiamo a chi venne riferita l’ultima volta tale etichetta e sappiamo pure come è andata a finire.

Per le politiche economiche dell’ex leader laburista fu coniato l’illuminante termine di blatcherismo, fondendo il suo nome con quello della Thatcher, per sottolinearne le posizioni neoliberiste.

Arrivati a questo punto, però, i blatcheristi nostrani tengono una freccia al loro arco che puntualmente tirano. È sempre la stessa. Almeno con Blair [o coi suoi replicanti] finalmente si vinceva.

Seguono le arcinote accuse alla sinistra minoritaria e massimalista (e già il solo ricorrere a questa parola fa sorridere), con la sua perenne vocazione all’isolamento e all’inevitabile sconfitta, nonché ottusamente chiusa alla modernità della nuova sinistra smart, che con una politica moderata che guarda al centro finalmente vince. Arriva quindi l’esempio del trionfale 41% alle europee del 2014, solitamente senza ricordare il bonus dei 70 euro a esse associato.

Prima di cimentarsi in questo dibattito, che periodicamente si tiene, bisognerebbe però affrontarne un altro. Discutere, cioè, su cosa si intenda per vittoria.

Innanzi tutto, nelle competizioni elettorali non vale la stessa logica dei mondiali di calcio. Nel primo caso tifiamo per una nazionale o per l’altra, e ci rallegriamo della sua vittoria, pur consapevoli che in nessun modo ci cambierà la vita; nel secondo, invece, si presume che la vittoria di uno schieramento o dell’altro abbia effetti concreti sulla vita di milioni di persone. Quindi, ci rallegriamo per la vittoria della sinistra non perché sia arrivata prima, ma perché pensiamo che alla sua vittoria seguiranno delle iniziative e delle politiche di sinistra. Ma se dopo aver vinto la sinistra fa politiche di destra, quale motivo abbiamo di celebrare la vittoria? Perché dovremmo rimpiangere e prendere a esempio una sinistra vincente che poi ha fatto né più né meno di ciò che avrebbe fatto la destra?

Pare pure sciocco puntualizzarlo, ma non è che le politiche di destra diventano migliori se a farle è un partito di sinistra. Non è che dopo aver perso la guerra diventi vincitore indossando la divisa del nemico.

L’unica differenza è che ti fa incazzare di più. Un conto è infatti se le fa la destra, che è stata votata per farle, ben altro è se le fa la sinistra, che invece è stata votata per fare cose di sinistra. Può l’elettore di sinistra accettare con animo lieto la precarizzazione del lavoro, lo smantellamento dello stato sociale, il progressivo peggioramento dei servizi pubblici, tutte le cose cioè che farebbe la destra, solo perché derivano dall’azione di un governo che si definisce di sinistra? Ma quelle famiglie che non arrivano a fine mese, quei cinque milioni di italiani in povertà assoluta, cosa metteranno in pentola, il 41% delle europee?

Riproporre quindi ogni volta la storia della sinistra perdente e di Blair vincitore è un argomento tanto inconsistente quanto inopportuno. Se la vittoria dev’essere a questo prezzo, molto meglio la sconfitta. Se non altro, a perseguire interessi contrari al popolo di sinistra, sarà un governo dichiaratamente di destra. Non cambierà nulla in concreto, ma ti lascerà aperta la possibilità di coltivare un progetto. Sai che ad agire contro i tuoi interessi è il fronte politico avversario. L’aspetto più deleterio di un governo eletto coi voti di sinistra per fare cose di destra, invece, è quello di privarti di ogni prospettiva. Perché se ad agire contro i tuoi interessi sono coloro che hai votato, puoi solo allontanarti dalla politica e non recarti più alle urne. Oppure, come succede tra i più arrabbiati o tra i più sprovveduti, votare a destra. L’effetto, infatti, del fare cose di destra spacciandole per cose di sinistra è quello di nuocere alla credibilità delle idee di sinistra e di spingere gli elettori sempre più a destra.

(15. continua)


[1] https://theintercept.com/2015/07/30/jimmy-carter-u-s-oligarchy-unlimited-political-bribery/ (consultato l’ultima volta il 2-12-2023).

[2] Si veda nota n. 75.

Di Giovanni

"Trascorsi nell'antico Pci, ho lavorato in diverse regioni italiane e all'estero (Francia, Cina, Corea), scrittore per hobby e per hobby, da qualche tempo, ho aperto anche un blog ( quartopensiero ) nel quale mi occupo, in maniera più o meno ironica, dei temi che mi stanno a cuore: laicità, istruzione, giustizia sociale e cose di questo tipo."

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