Da anni oramai assistiamo da parte dei governi all’emanazione di dispositivi finalizzati a restringere gli spazi di libertà e di lotta per l’espressione di forme di opposizione reale. Herbert Marcuse, nei lontani anni Sessanta del Novecento per descrivere le forme subdole, quelle meno evidenti, di esercizio del comando da parte del sistema aveva introdotto il concetto di “tolleranza repressiva”. A questo concetto, nelle nuove forme di controllo e repressione del sistema di dominio capitalistico-liberale, è stata tolta del tutto la parola “tolleranza”. Il disegno di legge del ministro Piantedosi, governo Meloni, rappresenta un deciso balzo in avanti nel tentativo di chiudere i rimanenti, sempre più esigui, spazi per l’esercizio del conflitto sociale.
I nemici di Stato e Capitale sono le odierne “classi pericolose”: immigrati, operai in lotta nei luoghi di lavoro, sfrattati e senza casa, carcerati uomini e donne, coloro che difendono i territori, solidali, poveri, “terroristi della parola”. Dopo anni di criminalizzazione del dissenso e dell’opposizione sociale la repressione si concretizza in legge.
Lo hanno chiamato Disegno di legge sicurezza. Sicurezza per chi? Mentre la tendenza alla guerra è sempre più innegabile, lo Stato vuole avere la certezza che il “fronte interno” sia costituito da un contesto sociale pacificato. Nonostante il conflitto sociale nel nostro Paese sia molto debole, discontinuo e incapace di coinvolgere una massa critica in grado di sostenere una resistenza efficace agli attacchi che ci vengono mossi, si stanno approvando dispositivi repressivi che rappresentano un salto qualitativo e quantitativo all’azione repressiva dello Stato.
Pensiamo che alcune norme sono peggiorative anche rispetto al codice fascista Rocco che prevedeva, ad esempio, che la resistenza a pubblico ufficiale, condotta nell’ambito di una protesta collettiva, fosse un’attenuante, al contrario di questo disegno di legge. Strumenti di lotta che fanno parte della tradizione dei conflitti sociali sono d’ora in poi da considerare atti criminali. Protestare in modo “minaccioso o violento” contro la realizzazione di un’opera pubblica, ad esempio il Ponte sullo Stretto, può comportare fino a 20 anni di reclusione.
L’intento del Governo è quello di prevenire e stroncare sul nascere possibili futuri conflitti sociali. D’altra parte possiamo trovare un insieme di norme che assicurano maggiore potere alle forze della repressione e l’impunità per le forze di polizia che sono garantite da eventuali denunce per i loro comportamenti; per loro è anche previsto il diritto di portare armi anche fuori dal servizio.
I capitoli di questo disegno di legge, molti e variegati, sono uniti da un unico filo nero: abolire la legittimità del conflitto sociale, anche nelle forme pacifiche, pensiamo agli atti dimostrativi dei giovani ambientalisti, ai picchetti davanti ai cancelli delle fabbriche, ai sit-in che bloccano il traffico. Per i senza casa che occupano alloggi vuoti sono previste pene da 2 a 7 anni di detenzione, la punizione si estende a chi sostiene l’occupazione (“chi coopera”), mentre chi collabora con le forze di polizia nello sgombero o denunciando occupanti e solidali viene scagionato. Lo sgombero dell’abitazione occupata diventa direttamente di competenza delle forze della repressione che possono provvedervi direttamente senza alcun accertamento e provvedimento della magistratura. Quando si dice “Stato di polizia!”.
Nel mirino di Piantedosi rientrano la criminalizzazione della marginalità e del disagio sociale: infatti è previsto un incremento delle pene per “l’accattonaggio”, non sta bene mettere in mostra la povertà!
Chi agisce dall’alto del potere politico per impedire il conflitto sociale intende difendere lo stato di cose esistenti, le relazioni di dominio di classe, le diseguaglianze sempre più marcate, l’aspirazione all’emancipazione.
Scrive Alessandra Algostino, docente di Diritto costituzionale presso l’Università di Torino: “Il conflitto consente l’espressione dei subalterni, degli oppressi, delle vite di scarto (Bauman), dei dannati della terra (Fanon), ne riconosce l’esistenza e la legittimazione a lottare per la propria dignità e autodeterminazione … è emancipazione in sé e veicola emancipazione”
Per Marx il conflitto è il motore della storia, “oppressi e oppressori sono sempre stati in contrasto fra di loro, hanno sostenuto una lotta ininterrotta, a volte nascosta, a volte palese”. Quando a Mao chiesero qual è l’essenza principale del marxismo, concisamente rispose: “Ribellarsi è giusto!”
EllePi