Alexandro Sabetti

Gli USA, nel loro furore neoliberista, sanno quello che vogliono e cercano di ottenerlo a qualsiasi costo. E l’Europa imbelle invece?

Gli Stati Uniti sanno quello che vogliono, l’Europa?

Nell’agenda mondiale la questione multipolarismo è segnata in rosso. Oggi abbiamo una superpotenza totale USA, sia dal punto di vista militare che per quello economico. Una potenza solo militare come la Russia. Una terza potenza che sta crescendo esponenzialmente nel campo militare, la Cina, ed è in costante ascesa economica e promette di averla ancora a lungo in termini di crescita.

E poi ci sono i BRICSASEAN e tutti i nuovi soggetti che animano la discussione su inuovi assetti geopolitici che si andranno consolidando nei prossimi anni. In questo contesto, l’Europa cosa vuole? Quale ruolo pensa di poter svolgere?

Ma in questa circostanza, più che di geopolitica – visto che le analisi si sono sprecate sull’argomento, anche su questo magazine – vorremmo puntare il focus su un aspetto culturale che viene spesso trascurato: la sconfitta identitaria del vecchio continente nei confronti del mondo neoliberista d’oltreoceano che ne ha decretato l’assoluta irrilevanza che vediamo materializzarsi oggi.

Il famoso aforisma di Edmund Burke, “Chi non conosce la storia è destinato a ripeterla” è stato pronunciato alla metà del ‘700. Oggi, chi sembra averlo preso sul serio sono i neoliberisti. Da decenni, in America e più di recente in Europa, hanno avviato una guerra culturale volta a delegittimare la storia, eliminandola dalle scuole e dalle menti collettive.

Questo attacco alla storia ha reso le nuove generazioni sempre più disinteressate a essa. Viene percepita come noiosa e inutile, a differenza di temi che offrono gratificazioni immediate, come corsi su come utilizzare tablet e smartphone, dispositivi che diventano obsoleti in meno di un anno. Così, la storia finisce per essere sacrificata in nome di un’istruzione più pratica ma di corto respiro.

Un conflitto vinto dai neoliberisti

La maggior parte dei giovani, così come molti adulti, è intrappolata in una visione del mondo schiacciata sul presente, ignara delle lezioni del passato. Ad esempio, pochissimi ricordano che un secolo fa, la Prima Guerra Mondiale segnò il suicidio politico dell’Europa a vantaggio degli Stati Uniti. Se l’Europa non divenne immediatamente una colonia americana, fu solo perché gli Stati Uniti avevano ancora risorse inesplorate da sfruttare all’interno del proprio continente.

Un altro fattore che ostacolò la piena dominazione americana fu la nascita dell’Unione Sovietica, il primo Stato capace di opporsi all’egemonia dell’Occidente. Gli Stati Uniti, il centro dell’impero economico e politico mondiale, si confrontarono per settant’anni con questa potenza antagonista, in un conflitto che condizionò l’intero pianeta.

Questa continua immedesimazione col presente, fa si che i grandi temi di attualità geopolitica, sembrano calati dall’alto. Non c’è un passato, non ci sono analisi sulle condizioni che hanno portato al concatenarsi di scelte e eventi. Tutto si sposta sul piano morale in chiave favolistica: “Un giorno un pazzo sanguinario si svegliò e decise di invadere un paese”.

Stessa dinamica con la quale per la gran parte della cittadinanza, la questione israeliano-palestinese, comincia il 7 Ottobre 2023.

Gli USA e la chiarezza degli obiettivi

Gli Stati Uniti meritano un certo rispetto: hanno sempre saputo cosa volevano e non hanno esitato a raggiungerlo a qualsiasi costo. Il loro approccio può non piacere, e certamente non riflette i valori europei, ma almeno risulta coerente e determinato.

Cosa dire, però, dell’Europa? Come possiamo rispettare una comunità di nazioni che sembra fare gli interessi di qualcun altro, e non i propri? Questo atteggiamento è particolarmente evidente in Italia. Giorgia Meloni si è dimostrata persino più atlantista di Draghi, Renzi e compagnia bella, avvicinandosi alle posizioni filo-americane in modo così radicale che persino il Partito Democratico, da sempre considerato vicino agli interessi di Washington, appare meno allineato.

L’erosione dell’identità europea

Il problema, però, va oltre i leader politici. Molti europei sembrano ormai aver abbandonato la propria identità culturale. Parliamo di milioni di persone che preferiscono dire “location” invece di “luogo” e “call” invece di “chiamata”.

Senza il loro iPhone, si sentirebbero persi; bevono caffè da Starbucks, anche se costa molto di più di un espresso al bar; e preferiscono hamburger (e sushi) a risotti o pizze. Niente di male, per carità. Ma qui non stiamo parlando di locali tradizionali all’interno di quartieri etnicizzati, ma di consumo quotidiano in catene transnazionali che quasi sempre hanno la sede centrale oltreoceano.

Chiunque osi opporsi a questo pensiero dominante viene subito bollato come nostalgico, reazionario o luddista. È diventato quasi impossibile criticare l’adozione acritica di mode globalizzate senza essere attaccati da influencer e celebrità, pronti a difendere l’ideologia dominante.

Il bene comune, idea desueta

Tuttavia, resistere a questa tendenza non significa essere contro il progresso o contro il cambiamento. La difesa del bene comune, inteso come gli interessi materiali e spirituali di una collettività, dovrebbe essere un obiettivo politico fondamentale.

È una posizione morale, idea desueta ormai, che va oltre il semplice egoismo personale, e serve non solo a preservare la diversità culturale e sociale, ma anche a contrastare monopoli e forme di neocolonialismo travestiti da “aiuti umanitari” o “diritti civili”.

Dietro questa retorica si celano spesso gli interessi di pochi miliardari e multinazionali, o di un unico popolo che, da trent’anni, domina incontrastato il pianeta: gli Stati Uniti.

Un popolo che persegue il proprio bene collettivo è capace di resistere a pressioni esterne, e può affrontare le sfide future con molteplici strategie, piuttosto che adottarne una sola, imposta dall’alto e spesso inefficace

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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