Nel maggio 2022 l’Argentina presentò domanda per entrare nei BRICS, l’alleanza dei Paesi emergenti guidata da Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica. La mossa avrebbe rafforzato la battaglia di questa alleanza per un nuovo ordine globale basato sul multipolarismo e tagliato definitivamente il cordone ombelicale che storicamente legava la seconda economia del Sudamerica agli Stati Uniti. Ma il nuovo presidente argentino, Javier Milei, insediatosi nel 2023, ha imposto un repentino cambio di rotta, erigendosi a bastione degli interessi delle aziende private e di quelli statunitensi nella regione. Milei, leader definito «libertario» e «anarco-capitalista», è stato eletto anche grazie alla retorica antisistema, che gli ha fatto guadagnare le simpatie di delusi e subalterni di tutto il mondo. Una volta preso il potere, tuttavia, ha mostrato rapidamente quali sono i suoi obiettivi politici. 

In Argentina, e non solo, molti hanno accolto con entusiasmo l’ascesa al potere di Milei, sperando che avrebbe cambiato le regole del gioco in favore del popolo. Tuttavia, il suo governo si sta rivelando ciò che molti temevano: un ritorno alle politiche più reazionarie del liberismo sudamericano, storicamente rappresentato da figure come il dittatore cileno Augusto Pinochet e l’argentino Jorge Videla. In realtà, le personalità con cui è più in linea il presidente argentino sono Donald Trump e Jair Bolsonaro. La sua parabola – simile a quella del magnate americano e dell’ex presidente brasiliano – offre uno spunto di riflessione in merito a come, a livello globale, alcuni leader conservatori abbiano imparato a utilizzare discorsi incendiari contro le élite per guadagnarsi la fiducia dei cittadini, salvo poi promuovere politiche che vanno contro gli interessi popolari. 

Argentina: dal multipolarismo dei BRICS al vassallaggio USA e l’adesione al sionismo ebraico

La prima decisione presa dal presidente argentino Javier Milei, entrato in carica il 10 dicembre 2023, è stata quella di interrompere il processo di adesione del suo Paese al blocco BRICS. La domanda era stata presentata sotto la presidenza di Alberto Fernandez ed era stata accettata insieme a quelle di Egitto, Iran, Etiopia, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti – in quello che è stato il primo allargamento del gruppo. L’ingresso dell’Argentina nei BRICS sarebbe dovuto avvenire il primo gennaio 2024, ma questo non è mai avvenuto. Sul finire del dicembre dello scorso anno, a pochi giorni dalla sua elezione, Milei ha infatti ritirato la domanda di adesione, inviando una lettera ai leader dei Paesi membri per spiegare che le decisioni prese dal precedente governo erano state riviste. È stato il primo, importante, segnale del riallineamento dell’Argentina all’asse occidentale guidato dagli Stati Uniti. I BRICS sono infatti visti come un contraltare al peso dell’influenza e del dominio dell’Occidente sul resto del mondo e l’adesione a quest’alleanza pone gli Stati in una condizione di percepita ostilità da parte di Washington. 

«Stati Uniti e Israele saranno i nostri principali alleati», aveva affermato Milei già durante la campagna elettorale. In segno di solidarietà alla causa sionista, il presidente aveva anche promesso di spostare l’ambasciata argentina in Israele da Tel Aviv a Gerusalemme. Milei aveva anche reso noto di volersi convertire alla fede ebraica: «Voglio essere il primo presidente ebreo di questo Paese», aveva dichiarato. Nel febbraio scorso, Milei si è recato in Israele, dove ha pianto, insieme ai ministri estremisti del governo Netanyahu, di fronte al Muro del Pianto, ribadendo l’intenzione di trasferire la sede dell’ambasciata a Gerusalemme. La mossa, che ricalca una precedente decisione simile di Trump, sancirebbe di fatto la legittimazione alla colonizzazione della Palestina, fornendo pieno sostegno dell’Argentina alla causa sionista. Anche per quanto concerne l’Ucraina, l’Argentina si è subito schierata dalla parte dell’asse occidentale, manifestando anche l’intenzione di regalare qualche elicottero di fabbricazione sovietica in possesso dell’esercito argentino. Internamente, la spontanea sottomissione a Washington si è concretizzata con la dollarizzazione dell’economia – decisione in netto contrasto con la tendenza del resto del mondo a ridurre il peso della valuta statunitense, sempre più utilizzata come arma politica sullo scacchiere internazionale. 

Capitalismo selvaggio: tra laissez-faire e anarco-capitalismo

Javier Milei agita ad un comizio la motosega, simbolo dei tagli “agli sprechi” promessi in campagna elettorale

Il progetto che emerge dalle riforme volute da Milei è quello di uno “Stato minimo” di stampo neoliberista. Un modello nel quale lo Stato rinuncia a ogni ruolo di pianificazione, gestione e controllo dell’economia, riducendo il proprio compito a poco più che il controllo dell’ordine pubblico e sociale a tutela degli interessi del mercato. Spesso definito “anarco-capitalista”, della dottrina anarchica Milei mantiene la volontà di abbattere la struttura statale, ma se nella filosofia anarchica teorizzata nel diciannovesimo secolo da filosofi come Proudhon e Bakunin, la gestione dell’economia e più in generale della società andava autogestita dai cittadini attraverso la cooperazione e il mutualismo, nell’ottica di Milei i compiti sottratti allo Stato sono appannaggio di chi ha i soldi per comprarseli, sottoposti alle sole regole del libero mercato. La filosofia anarcocapitalista estende il concetto di proprietà per includere il controllo della proprietà privata come parte del sé e, in alcuni casi, il controllo di altre persone come proprietà privata, dunque favorevole a ciò che viene definita “servitù volontaria”. Questo risulta del tutto in linea con quanto spiegato dal fisico e giornalista Marco D’Eramo in un’intervista a L’Indipendente in cui parlava della controrivoluzione neoliberista: «Se nel liberalismo classico l’uomo mitico è il commerciante […], nel neoliberismo l’uomo ideale diventa l’imprenditore e il mito fondatore è quello della competizione, e la forma sociale che meglio rispecchia questa idea del capitale umano non è il liberalismo ma lo schiavismo, perché è lì che l’uomo è letteralmente un capitale che si può comprare e vendere». 

Se risulta difficile concepire come un presidente di una nazione possa definirsi anarco-capitalista, certamente Milei può essere annoverato tra i sostenitori del capitalismo laissez-faire (lasciar fare). I promotori del laissez-faire sostengono una separazione quasi completa del governo dal settore economico. Essi ritengono che l’individuo sia l’unità di base nella società, come pensava Margaret Thatcher, cioè lo standard di misura nel calcolo sociale. Secondo questa teoria, l’individuo ha un diritto naturale alla libertà e l’ordine fisico della natura è un sistema armonioso e autoregolante. Lo Stato non avrebbe quindi alcun diritto di interferire nelle decisioni prese dagli individui che agiscono nel mercato, poiché tale interessamento comprometterebbe il naturale flusso autoregolante. Il riferimento è a quella che Adam Smith chiamava “la mano invisibile” del mercato: la ricerca egoistica del proprio interesse, che sarebbe favorevole non soltanto a sé stessi ma anche all’interesse della società, porterebbe l’intero sistema economico al cosiddetto equilibrio economico generale.

Austerità e Stato minimo

Javier Milei sventola la bandiera israeliana durante una manifestazione

Milei aveva annunciato l’obiettivo di ridurre la spesa del settore pubblico del 5% del PIL entro la fine del 2023 e, per riuscirci, ha deciso di svalutare la moneta nazionale (il peso) del 50%, di non rinnovare i contratti di migliaia di dipendenti pubblici, di tagliare i sussidi statali per il carburante e i trasporti, di sospendere le gare d’appalto per le opere pubbliche, di non adeguare all’inflazione le pensioni e gli stipendi pubblici e di tagliare i pagamenti alle province. Altresì, “l’arco-capitalista” e “libertario” ha reintrodotto una tassa sul reddito e aumentato le imposte per il commercio estero. Grazie a questa shock economy, è stato registrato il primo avanzo mensile del bilancio pubblico a gennaio 2024 – secondo quanto dichiarato dal governo. Il tutto al prezzo di un aumento della povertà e del taglio delle risorse a disposizione dei meno abbienti. Milei ha promesso che il sacrificio iniziale sarà ricompensato da un futuro di ripresa e prosperità economica: la sua strategia sembra seguire i dettami machiavellici del “buon principe”, ovvero cercare di sconvolgere in breve termine l’intera società per non dover ritornare sopra le questioni più volte. 

Il piano di Milei per rivoluzionare il Paese, partendo dall’economia, si concentra su dieci punti strategici: l’inviolabilità della proprietà privata; l’equilibrio di bilancio; la riduzione della spesa pubblica al 25% del PIL (entro la fine del suo mandato); riduzione della pressione fiscale; promozione del commercio; “semplificazione” della vita del popolo argentino; ridiscussione della compartecipazione provinciale alle imposte federali; impegno delle province a progredire nello sfruttamento delle risorse naturali del Paese; riforma del lavoro che promuova il lavoro formale; riforma del sistema pensionistico che apra ai fondi pensionistici privati. Mentre si procede alla progressiva dollarizzazione dell’economia, l’intenzione è quindi quella di tagliare enormemente la spesa statale, affidare il sistema pensionistico a società private, rendere il lavoro più economico (anche abbassando i salari) e attirare investimenti grazie a una massiccia deregolamentazione e privatizzazione delle società statali o a partecipazione statale, oltre ad abolire il controllo sui tassi di cambio e sui prezzi. 

Sul tema delle pensioni, il Parlamento ha sfidato apertamente il presidente argentino approvando una riforma che avrebbe alzato la spesa pensionistica per adeguarla all’inflazione a tre cifre che pesa sui cittadini. Il disegno di legge, passato attraverso la camera bassa a giugno, è stato approvato sul finire di agosto dal Senato con un voto di 61-8, infliggendo un duro colpo al suo radicale programma di austerità. Milei ha risposto alla mossa del Parlamento apponendo il proprio veto, ma i legislatori hanno già comunicato che proporranno nuovamente la legge. Milei ha denunciato come l’unico obiettivo della riforma fosse quello di distruggere il programma economico del governo, poiché avrebbe richiesto di spendere un ulteriore 1,2% del prodotto interno lordo (PIL). 

Dal momento che il partito di Milei controlla, dopo diverse defezioni parlamentari, appena il 15% del Congresso e solo 7 dei 72 seggi del Senato, il presidente argentino ha in gran parte fatto affidamento su decreti esecutivi per tagliare la spesa pubblica e deregolamentare l’economia, senza però ottenere grandi successi, sia dal punto di vista politico che economico. Anche il Financial Times sembra decretare il fallimento di Milei, facendo notare come la “luna di miele” con i mercati sia già sostanzialmente finita poiché gli investitori sembrano del tutto scettici del suo piano economico e delle sue azioni politiche per poterlo attuare. A meno di un anno dall’inizio del governo del presidente, l’Argentina sarà l’unico Paese della regione con una crescita negativa nel 2024, secondo le proiezioni della Banca mondiale e del Fondo monetario internazionale (FMI), che prevedono una contrazione di circa il 2,8% del prodotto interno lordo. 

Ciò che rimane in mano a uno Stato che non si deve occupare del benessere dei propri cittadini, ovvero uno “Stato minimo”, è la repressione. Nella sua “legge omnibus” troviamo infatti anche modifiche al codice penale in materia di manifestazioni, le quali arrivano a comprimere in maniera netta il diritto a esprimere dissenso. Strano per una persona che si definisce, e viene definita (a sproposito, evidentemente), “anarco-capitalista” e “libertaria”. Inoltre, sul finire di agosto, il Congresso ha bocciato un decreto presidenziale che avrebbe moltiplicato il budget dell’intelligence, sostenendo che quei fondi potrebbero essere utilizzati per bisogni sociali più urgenti. 

Il libertario che revisiona la storia della dittatura e vuole aumentare il peso militare

23 aprile 2024: protesta a Buenos Aires in favore dell’Università pubblica e contro il governo Milei

Nell’aprile scorso, durante la settimana di commemorazione della guerra delle Falkland (che l’Argentina perse contro il Regno Unito nel 1982), Milei si è scagliato contro quella che ha definito una politica dei precedenti governi di «molestare e umiliare» i militari. Milei, insieme al ministro della Difesa Luis Petri, ha anche più volte rilasciato dichiarazioni volte a sminuire la portata delle uccisioni operate dalla dittatura argentina (dal 1976 al 1983). Numerosi sono stati i critici che sostengono che questa teoria minimizza la violenza di Stato dell’era della giunta, come la tortura, le sparizioni, le uccisioni extragiudiziali e il furto di bambini di prigioniere incinte. Il fine di Milei, e del suo governo, sembra essere quello di portare dalla propria parte l’esercito argentino, il quale, secondo il presidente, potrebbe essere utilizzato anche per operazioni di sicurezza interna. Sebbene gli anarco-capitalisti dovrebbero essere scettici nei confronti dei grandi eserciti permanenti (come chiunque si accolli il suffisso “anarco”), Milei sembra invece apprezzarli. Il 9 luglio scorso, giorno dell’indipendenza argentina, il presidente ha sfilato a bordo di un carro armato durante la parata militare soltasi a Buenos Aires. E mentre tutto il resto deve sottostare alle rigide regole dell’austerità neoliberista, Milei ha dichiarato l’intenzione di aumentare la spesa per la Difesa dallo 0,5 al 2% del PIL nei prossimi 8 anni, giurando di ripristinare il prestigio dell’esercito per trasformarlo in una forza hi-tech

Il populismo che piace alle élite

Sul finire di agosto, il presidente argentino ha annunciato una serie-documentario sulla sua ascesa politica, dal titolo From Zero to President. Il fenomeno che affascina il mondo. L’opera è diretta dal regista Santiago Oría ed è composta da spezzoni di interviste televisive, discorsi e momenti salienti della campagna elettorale. In questi passaggi, Milei si ritrae come una rock star, attacca i suoi avversari e li accusa di essere «ladri impoveritori». La serie sarà inizialmente composta da 6 episodi, della durata di circa 30 minuti ciascuno, e avrà al proprio interno anche un’intervista esclusiva con il segretario presidenziale, nonché sorella del presidente, Karina Milei. Il presidente, a suo modo, ricalca perfettamente il ruolo di outsider politico che sfida l’ordine stabilito con l’intento di cambiare tutto, finendo però per non cambiare un bel niente. Milei è il gattopardo che proprio l’ordine stabilito, in questo caso quello neoliberista, utilizza per depotenziare il malumore popolare e proseguire con la propria agenda elitista e del tutto anti-popolare. 

Uno schema già anticipato da Trump negli USA e da Bolsonaro in Brasile: entrambi, arrivati al potere con slogan incendiari, una comunicazione forte e rivoluzionaria e con la promessa di scardinare il sistema, non si sono rivelati altro che parte di quel sistema che utilizza certi personaggi per proseguire con il proprio programma economico-politico e/o creare shock da utilizzare per mettere in essere grandi riforme che poi, in fin dei conti, risultano essere tutto fuor che finalizzate a sradicare il sistema, quanto piuttosto utili alla sopravvivenza del medesimo. 

[di Michele Manfrin]

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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