Se si vuole onorare la memoria di un avvenimento bisogna sfogliare tutto il libro e non solo una pagina: 77 anni di apartheid, di violenze e assassinii perennemente impuniti da parte dell’esercito di occupazione, di risoluzioni ONU violate, di bambini arrestati e giudicati da tribunali militari. Per chi non sa o non vuol sapere che la storia non ha avuto inizio il 7 ottobre.
Il ‘7 ottobre’ dei palestinesi
Se si vuole onorare la memoria dei caduti del 7 ottobre 2023, se si vuole comprendere il contesto, le dinamiche storiche e politiche, e non solo confezionare un vessillo da brandire per continuare nei massacri e dargli una cornice ‘morale’, il primo punto è sapere che la storia non ha avuto inizio un anno fa.
Gli attacchi armati in Palestina risalgono già agli anni ’30 del secolo scorso, con l’idea di “liberare” una terra per la creazione di uno Stato ebraico esclusivamente per ebrei, come sottolineato da Ilan Pappe e Gideon Levy, non sospettabili di ‘antisemitismo’.
La dichiarazione Balfour nel 2017 – in cui il ministro degli esteri dell’impero britannico e Lord Rothschild gettavano le basi e delineavano il ruolo dell’Occidente nella creazione di Israele in Palestina, spinti dalla volontà di stabilire un avamposto in una regione strategica, è il mattone fondante dell’arroganza colonialista, che ignorava i diritti e la voce del popolo palestinese.
Il Sionismo, definito dall’ONU come ideologia razzista, promuove un concetto di diritti esclusivi e suprematismo religioso. Il colonialismo d’insediamento, che mira alla sostituzione della popolazione nativa piuttosto che alla coesistenza, si lega alla costruzione di uno Stato “puro”, evocando sinistri deja vu storici.
La Nakba ha segnato la cacciata di 750.000 palestinesi dalle loro terre per fare spazio ai nuovi occupanti. Da allora, la Palestina ha vissuto 76 anni di occupazione militare, massacri, epurazioni e politiche di confinamento, violando i diritti umani fondamentali, con il dislocamento massivo riconosciuto come genocidio secondo il diritto internazionale.
Massacri come Deir Yassin, Sabra e Chatila rappresentano solo alcuni degli episodi di violenza subiti. Inoltre, l’apartheid sistematico, come sottolineato più volte dall’ONU e da Amnesty International, è persino più feroce di quello vissuto dai neri in Sudafrica, senza giustificazioni legate alla sicurezza.
Il Muro di separazione, dichiarato illegale dalla Corte Internazionale di Giustizia nel 2004, continua a esistere senza sanzioni. Non risponde a questioni di sicurezza, ma frammenta i territori palestinesi e impedisce qualsiasi forma di economia o autodeterminazione. A Gaza, l’assedio continua da 16 anni, trasformando la vita dei palestinesi in una prigione a cielo aperto.
I bombardamenti su Gaza nel 2008, 2009, 2012, 2014, 2018 e 2019 rappresentano solo alcuni degli atti di violenza perpetrati contro una popolazione civile intrappolata. Le leggi razziste come quella sul “diritto al ritorno” e sul ricongiungimento familiare consolidano l’apartheid e la discriminazione su base religiosa.
La legge del 2018 che definisce Israele come “Stato nazione del solo popolo ebraico” istituzionalizza la discriminazione tra ebrei e non-ebrei. Le violazioni dei diritti umani e civili continuano, inclusi gli arresti di massa, la tortura nelle carceri, e il trattamento riservato ai minori palestinesi, spesso giudicati da corti militari.
Infine, la cancellazione sistematica del patrimonio non ebraico preesistente, la negazione dell’identità palestinese e delle risoluzioni ONU disattese sono tutti aspetti che si legano a decenni di oppressione. Hamas, nato negli anni ’80, rappresenta una reazione a decenni di occupazione e fallimenti degli accordi di pace.
Solo dopo aver considerato questa lunga catena di eventi si può parlare del 7 ottobre 2023 e ricordare le vittime innocenti. Tutte le vittime innocenti. Altrimenti è solo pornografia del dolore per i media. Propaganda