Enrico Grazzini

Speriamo che l’Italia e gli altri paesi europei non abbiano mai come leader un politico ingenuo e avventato come Volodymyr Zelensky, presidente dell’Ucraina. Zelensky è celebrato per il coraggio e la caparbietà dimostrati nella resistenza contro l’aggressione illegale della Russia di Vladimir Putin. Ma oggettivamente la sua politica ha portato alla distruzione dell’Ucraina e alla rovina del suo popolo. Vediamo perché.

Innanzitutto occorre ricostruire molto sinteticamente il contesto (le fonti sono innanzitutto Wikipedia e numerose altre, come Foreign Affairs, Le Monde Diplomatique. Foreign Policy). L’Ucraina – che è anche la terra di nascita della Russia – è sempre stata fortemente contesa tra la Russia e l’America fin dalla sua indipendenza nel 1991. E’ noto che, dopo la caduta dell’URSS nel 1991, la Nato – l’alleanza militare transatlantica tra i paesi europei, gli Stati Uniti e il Canada – si è spinta a est e ha inglobato i paesi dell’ex patto di Varsavia, come Polonia, Ungheria, Bulgaria, Romania, Repubblica Ceca e altri. Questi paesi chiesero l’adesione all’Alleanza atlantica per tentare di liberarsi definitivamente dai legami minacciosi con la Russia e la Nato accettò prontamente la loro richiesta nonostante, evidentemente, la contrarietà della Federazione Russa di Boris Yeltsin prima e di Vladimir Putin dopo.

Nel frattempo l’Ucraina, pur mantenendosi neutrale, era attraversata da forti tensioni interne: una parte (in prevalenza l’Ucraina dell’ovest) era prevalentemente pro-occidentale, pro-Nato e pro-UE e un’altra parte (in prevalenza l’Ucraina dell’est, anche perché abitata da buona parte di russi e russofoni) era prevalentemente filo-russa. Fino al 2013, nonostante le lotte intestine che hanno visto prevalere una o l’altra parte, l’Ucraina ha mantenuto una sostanziale anche se molto contrastata neutralità tra i filo-occidentali e i filo-russi. Nel novembre 2013 scoppiarono a Kiev una serie di dure e violente manifestazioni contro la decisione del governo ucraino filorusso di sospendere le trattative per concludere l’accordo di associazione con l’Unione Europea. Durante le proteste e le manifestazioni concentrate nella capitale Kiev, note come Euromaiden, si verificò un crescendo di scontri violenti a causa degli attacchi delle forze governative ai manifestanti e della partecipazione alle manifestazioni di gruppi armati di estrema destra. E’ opinione diffusa che i gruppi filo-nazisti fossero in stretto contatto con i servizi americani interessati a rovesciare il governo ucraino che in quell’epoca era vicino a Mosca. I violenti scontri di piazza Maidan provocarono nel febbraio 2014 la fuga in Russia del legittimo (perché regolarmente eletto) presidente filorusso Viktor Janukovyč. Il governo ucraino di Kiev passò allora al campo europeista e occidentale. In seguito ai fatti di Euromaiden, che capovolsero la situazione a favore dell’Occidente, Putin nel 2014,  dopo avere indetto un referendum per l’unificazione con la Russia vinto a grande maggioranza, annesse subitaneamente la Crimea, la penisola meridionale dell’Ucraina che il governo sovietico aveva concesso a Kiev nel 1954 e che è abitato in larga parte  (58,5%) da russi. In Crimea i russi hanno la principale base navale sul mar Nero, Sebastopoli, una base strategica perché dà accesso al Mediterraneo. Naturalmente l’annessione della Crimea alla Russia non è stata riconosciuta dalla diplomazia occidentale (così come il governo russo non ha mai riconosciuto lo Stato del Kossovo, nato dopo il bombardamento illegale della Nato in Serbia). Subito dopo, nel 2015, le repubbliche separatiste di Donetsk e Lugansk del Donbass si autoproclamarono indipendenti. Cominciò così in Donbass un periodo di guerra civile tra le forze separatiste appoggiate da mercenari russi e le forze governative ucraine, una guerra .che provocò migliaia di morti. Dopo l’illegale invasione russa dell’Ucraina del febbraio 2022 nell’ottobre dello stesso anno le repubbliche separatiste sono state annesse alla Federazione Russa, proprio come precedentemente la Crimea. Nel 2015 l’Ucraina per risposta all’annessione della Crimea e alle istanze indipendentiste del Donbass ha abbandonato ufficialmente la sua neutralità e ha inserito in Costituzione la sua volontà di aderire alla Nato. Questi i fatti.

In questa situazione incandescente, nel 2019 a larga maggioranza è stato democraticamente eletto come presidente Volodymyr Zelensky, un comico molto popolare grazie ai suoi spettacoli satirici e anti-establishment in una televisione privata ucraina. Molti considerano Zelensky un eroe perché invece di fuggire di fronte all’aggressione russa è rimasto a guidare la lotta del popolo ucraino contro l’invasore. Ma, al di là del suo coraggio personale, ci si può chiedere se Zelensky sia anche un intelligente uomo di Stato o no, e se abbia fatto del bene al suo paese e se quindi sia riuscito – in una situazione estremamente complessa e pericolosa – a raggiungere i suoi obiettivi principali, quelli della difesa e del benessere del popolo ucraino. Il meno che si possa dire è che questi obiettivi non sono stati raggiunti.

Prima di raggiungere la massima carica dello Stato grazie alla sua celebrità, Zelensky è stato un attore di grande successo con una trasmissione televisiva satirica contro il corrotto esthablishment ucraino. Il titolo del suo programma tv “Servitore del popolo” è diventato poi il nome del partito con cui ha vinto le elezioni. Zelensky aveva una sua società di produzione televisiva e era un businessman e un personaggio pubblico molto conosciuto e ricco, tanto ricco da avere sentito la necessità di esportare i suoi soldi a Panama e nelle isole Cayman – come appare nei Panama Papers e come Zelensky non ha mai smentito -. Il personaggio televisivo Zelenkyy non aveva comunque una grande esperienza politica nella conduzione degli affari di Stato. Zelensky, che come candidato alla presidenza aveva promesso di volere pacificare una situazione che- come abbiamo visto sopra – era già molto bollente, una volta eletto ha poi in realtà preferito sbilanciarsi verso posizioni fortemente pro-Nato e filo-occidentali. In maniera imprudente o irresponsabile – considerata la incandescente situazione geopolitica e la grande inferiorità militare dell’Ucraina verso la Russia – nei suoi anni di presidenza ha continuato a insistere per l’adesione rapida dell’Ucraina alla Nato. Questo obiettivo, come abbiamo visto, era già inserito della Costituzione del 2015. Putin da parte sua aveva proclamato ripetutamente fin dal 2008 che non avrebbe mai accettato l’adesione alla Nato dell’Ucraina, considerata una “piccola Russia”, soprattutto per motivi di sicurezza.

Dall’altra parte la Nato ha sempre astutamente mantenuto una posizione ambigua: non ha mai risposto positivamente alla richiesta di adesione ucraina ma non l’ha neppure rifiutata ufficialmente. La NATO fin dall’inizio ha dichiarato pubblicamente e apertamente che non sarebbe intervenuta in Ucraina in caso di invasione russa per evitare lo scontro diretto con Mosca e una Terza Guerra Mondiale atomica. In tale modo la Russia ha ricevuto ufficiosamente una sorta di via libera per invadere la nazione più debole violando apertamente il diritto internazionale: il popolo ucraino è così diventato la vittima sacrificale di un gioco molto più grande tra due superpotenze atomiche, o, se si preferisce, tra due imperialismi.

Oggi l’Ucraina, secondo tutte le fonti più qualificate, sta perdendo la guerra. L’Ucraina è mezza distrutta, sono morte molte decine di migliaia di militari e migliaia di civili ucraini. Circa 8 milioni di persone sono dovute fuggire all’estero e si stima che per ricostruire il paese ci vorranno 500 miliardi di dollari, che dovranno essere finanziati dai paesi esteri, soprattutto dagli europei. Ci si può dunque legittimamente domandare se l’insistenza da parte del governo di Zelensky nel volere fare passare l’Ucraina dalla neutralità – che era durata fino ai fatti di Euromaiden – all’associazione con la Nato, abbia fatto bene all’Ucraina o abbia invece portato alla catastrofe. E’ facile argomentare che da presidente dell’Ucraina Zelensky ha commesso un tragico e colossale errore che un vero statista non avrebbe mai dovuto fare: quello di sottovalutare e sfidare una potenza assai più grande e potente, la prima o la seconda potenza atomica nel mondo. Il presidente di una nazione sotto minaccia di guerra da parte di un colosso militare non dovrebbe cadere nell’errore grossolano di non valutare i rapporti oggettivi di forza. E’ possibile ragionevolmente affermare che la persistente richiesta di adesione dell’Ucraina alla Nato per garantire la sicurezza del popolo ucraino sia stata velleitaria, avventuristica e disastrosa (anche e soprattutto perché la Nato aveva già opposto il suo diniego all’adesione). Un politico accorto di fronte alle molto concrete minacce di invasione del gigante russo a alla posizione negativa e pilatesca della Nato avrebbe tentato di giocare d’astuzia, non avrebbe cercato l’immediata adesione alla principale organizzazione militare avversaria di Mosca. All’Ucraina sarebbe convenuto tentare a tutti i costi di mantenere uno status di neutralità e cancellare o sospendere la richiesta di partecipare alla Nato. Del resto, dopo l’invasione illegale di Putin, già nella bozza degli accordi di Istanbul tra Russia e Ucraina del marzo 2022 era prevista la cancellazione dell’adesione alla Nato nella Costituzione ucraina. Come si sa, poi gli accordi di Istanbul non vennero siglati da Zelensky su pressione americana e britannica.

Prima dell’invasione Zelensyy avrebbe dovuto e potuto usare molta più prudenza e diplomazia per tentare di passare solo nel lungo periodo e gradualmente dal campo russo a quello occidentale. Anche perché era interesse dell’amministrazione americana soffiare sul fuoco dello scontro diretto tra Kiev e Mosca. Zelensky avrebbe dovuto cercare di evitare la guerra a tutti i costi, avrebbe dovuto cercare di fare rispettare gli accordi di Minsk sul Donbass, avrebbe dovuto tentare di guadagnare tempo concedendo la maggiore autonomia possibile al Donbass, non avrebbe dovuto reprimere le istanze autonomistiche e l’uso della lingua russa nelle regioni separatiste.

La politica velleitaria e avventurista del governo ucraino ha oggettivamente contribuito a portare alla semi-distruzione dell’Ucraina e a migliaia di morti. Zelensky non avrebbe dovuto illudersi – come invece il presidente ucraino ha fatto anche il giorno prima dell’invasione russa (nonostante i chiari e ripetuti avvertimenti di Joe Biden) – che la Russia di Putin non sarebbe intervenuta in Ucraina; e non avrebbe dovuto illudersi di potere sconfiggere una potenza atomica come la Russia solamente grazie al sostegno finanziario e di materiale bellico di potenze estere, come gli Stati Uniti e i paesi della Unione Europea, i quali peraltro avevano già dimostrato chiaramente di non volere correre nessun rischio e di non volere essere direttamente coinvolti nel conflitto. In realtà era facile prevedere che l’aiuto occidentale all’Ucraina si sarebbe dimostrato largamente insufficiente per respingere l’assalto di Putin. Zelensky è diventato una pedina di giochi più grandi di lui, una pedina nello scontro delle due maggiori potenze imperialistiche atomiche mondiali. Uno scontro che ha distrutto l’Ucraina e ha portato solo morte e devastazione. E’ ovvio che la responsabilità della guerra è dell’invasore russo, e poi anche di chi ha soffiato sul fuoco del conflitto per trarne vantaggio sullo scacchiere europeo e mondiale. In un certo senso la responsabilità della guerra è anche di Bruxelles, dell’Unione Europea, di Berlino e di Parigi che si sono per troppi anni sostanzialmente disinteressati della situazione ucraina seguendo passivamente le politiche di Washington, anche se gli interessi strategici americani verso la Russia erano e sono oggettivamente molto distanti da quelli europei. Tuttavia Zelenky avrebbe dovuto almeno tentare di percorrere un’altra strada di fronte a un nemico preponderante: la sua politica avventata e imprudente non ha certamente procurato più sicurezza agli ucraini. Al contrario alla fine ha contribuito a rovinare l’Ucraina. Peraltro la vera posta in gioco in questo tragico conflitto non è solo e tanto l’Ucraina, ma l’Europa

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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