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Marquez

Sembrano passate ere ‘mediatiche’ da quando Mario Draghi, davanti all’Assemblea delle Nazioni Unite dichiarava con assoluta certezza: “Le sanzioni che abbiamo imposto a Mosca hanno avuto un effetto dirompente sulla macchina bellica russa, sulla sua economia”.

E invece sono passati solo due anni o giù di li, ma la narrazione sulla guerra economica alla Russia che già scricchiolava allora, si è completamente rovesciata davanti alla realtà.

Le sanzioni non funzionano e non solo per gli escamotage che vengono sempre sottolineati dalla grande stampa (triangolazioni, aiuto della Cina, etc etc), ma per un motivo di fondo che non viene mai sottolineato perchè molto più pericoloso ‘culturalmente’: il potere economico basato sul denaro vale finché ci sono beni da comprare e nella misura in cui  sono disponibili; quando i beni scarseggiano il denaro tende a trasformarsi in quello che è realmente, una convenzione.

I padroni del PIL e la fallimentare guerra economica alla Russia

Dopo l’inizio della nuova guerra tra in Ucraina, l’Occidente ha imposto sanzioni economiche alla Russia, con l’aspettativa di provocare un collasso dell’economia di Mosca.

Tuttavia ciò che è emerso, seppur a fatica inizialmente, poi sempre più apertamente nella stampa internazionale è che la Federazione Russa sta vincendo la guerra economica, o quantomeno resistendo efficacemente.

Questo risultato, sorprendente per i cantori coi paraocchi, è dovuto a una serie di fattori che smentiscono alcune convinzioni fondamentali dell’Occidente sul potere economico.

Il pregiudizio teorico dell’Occidente

Per comprendere il fallimento delle sanzioni contro la Russia, bisogna partire da un pregiudizio teorico radicato nelle economie occidentali: l’idea che il potere risieda interamente nel denaro e che chi ne possiede di più detenga automaticamente il controllo.

Questo principio è stato alla base del capitalismo occidentale fin dalla sua nascita, e oggi domina gran parte delle strategie economiche e geopolitiche.

Le economie più ricche, come quelle di Stati UnitiUnione EuropeaOceania e Israele, che chiamiamo convenzionalmente ‘Occidente collettivo’, rappresentano il 50% del PIL mondiale, mentre la Russia contribuisce solo con circa il 3%. Una disparità così netta, su carta, avrebbe dovuto rendere Mosca una facile preda sul piano economico.

Tuttavia, questo presupposto si basa su una concezione distorta del potere economico, che spesso rimuove la realtà concreta dei beni e dei servizi, per sostituirla con l’idea della capacità di acquisto.

In altre parole, il potere economico occidentale è fondato sulla capacità di acquistare beni grazie al denaro, ma non tiene conto che, senza risorse reali da comprare, il denaro perde il suo valore.

Il ritorno alla realtà delle risorse primarie

La crisi che la guerra economica contro la Russia ha fatto emergere riguarda proprio questo punto: la dipendenza dell’economia globale dalle risorse primarie. Mentre il sistema capitalistico occidentale si basa su capitalizzazioni finanziarie spesso scollegate dalla realtà fisica (come il caso del 2007, in cui le capitalizzazioni finanziarie erano 14 volte superiori al PIL mondiale), la Russia, pur essendo un “nano economico”, è un fornitore chiave di beni primari. Gas, petrolio, metalli e altre risorse naturali sono alla base di molte catene di valore globali, e senza di essi, l’economia mondiale non può funzionare.

Ciò che ha reso le sanzioni inefficaci è proprio la natura di queste risorse: mentre il denaro può essere sanzionato, congelato o trasferito, le risorse primarie non possono essere sostituite così facilmente.

Inoltre, la Russia ha saputo difendere militarmente queste risorse, impedendo alle potenze occidentali di appropriarsene con scuse geopolitiche o interventi militari mascherati da “missioni civilizzatrici” o promozione dei diritti umani.

Il crollo della narrazione finanziaria

Il fallimento delle sanzioni economiche rivela anche una crisi più profonda nel modello capitalistico occidentale, basato sulla narrazione che il potere risieda nella finanza piuttosto che nella realtà delle risorse.

Per anni, questa narrazione ha dominato il pensiero economico, creando l’illusione che il denaro potesse sostituire i beni materiali e che la capacità di capitalizzazione fosse sufficiente per mantenere il controllo sulle economie globali.

Il capitalismo occidentale ha spesso celato la propria dipendenza dalle risorse naturali dietro contratti, debiti e strumenti finanziari, rendendo invisibile il legame tra denaro e beni materiali.

Possediamo interi Paesi del cosiddetto “Terzo Mondo” attraverso debiti e accordi commerciali, e allo stesso tempo, siamo a nostra volta posseduti da creditori globali. Ma di fronte a un Paese come la Russia, che dispone di risorse essenziali e le difende militarmente, questa struttura vacilla.

L’illusione dell’iperconnessione

Negli ultimi decenni, le società a capitalismo avanzato si sono cullate nell’illusione della virtualità e dell’iperconnessione, credendo che il potere economico risiedesse nelle reti globali, nelle tecnologie avanzate e nella capacità di spostare capitali a livello globale.

Tuttavia, questa illusione si regge su una base materiale: le risorse naturali. Senza il ferro, il legno, la terra, il gas e il petrolio, l’economia virtuale non può sostenersi. I prodotti sugli scaffali dei supermercati, anche quelli con etichetta “ecosostenibile”, non possono apparire dal nulla.

Di fronte a un Paese che possiede e difende beni essenziali, le sanzioni finanziarie si rivelano inefficaci, e la narrazione capitalista si infrange contro la realtà molto più materiale dei bisogni primari e di ciò che occorre per soddisfarli.

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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