Alexandro Sabetti

Storditi dalla frenesia delle breaking news, dal culto del successo e del denaro, dell’individualismo e della globalizzazione guerrafondaia, non ci accorgiamo che il liberismo ci sta sterminando.

Il liberismo ci sta sterminando ma tra pailettes e cotillon

Il liberismo economico, nel suo trionfo apparente, sembra aver costruito un mondo di benessere e progresso. Tuttavia, dietro le luci scintillanti di questo sistema, si cela una realtà molto diversa: quella di un meccanismo spietato che alimenta disoccupazionesfruttamento e competizione tra i lavoratori.

Il risultato è una società in cui i più deboli sono schiacciati, ma il tutto avviene sotto una patina festosa, tra sorrisi ipocriti e promesse di un futuro radioso.

La disoccupazione strutturale del sistema

La disoccupazione è la condizione necessaria e sufficiente dello sfruttamento e del capitalismo. È un pilastro del sistema liberista, che non solo crea guerre tra poveri, ma spezza anche la solidarietà di classe.

I lavoratori, costretti a competere tra loro per il lavoro, vedono le loro richieste indebolirsi, rendendo così più facile abbassare i salari e aumentare i profitti per i pochi al vertice. Niente che non si sappia da tempo immemore ma non pare che la cosa susciti clamori.

I potenti, i ricchi e i loro “cani da guardia” – giornalisti, economisti e intellettuali da talk show – giocano una parte fondamentale in questo ingranaggio. Fingono di considerare la disoccupazione un problema da risolvere, ma sanno bene che è il carburante che tiene in piedi il loro sistema. Senza disoccupazione, il costo del lavoro crescerebbe, mettendo a rischio i loro enormi guadagni.

Crescere e moltiplicarsi: un comandamento distorto

Questa logica del liberismo si riflette in una distorsione di vecchi ideali. Il famoso augurio biblico “Crescete e moltiplicatevi” è stato trasformato in un comandamento vincolante, anche quando la Terra è ormai sovrappopolata e le risorse scarseggiano.

La crescita illimitata è diventata un dogma economico, una necessità per mantenere in moto la macchina del profitto.

Eppure, nei paesi sovrappopolati come l’Italia, dove il tasso di natalità è in calo, si agita subito lo spauracchio della decrescita economica. La soluzione? Quella basata sulla finta contrapposizione valoriale sull’immigrazione: a destra si urla alla caccia allo straniero e tutti i luoghi comuni più beceri sulla concorrenza – quando proprio la società da essa auspicata e protetta, si basa sull’iniezione costante di nuova forza lavoro sottopagata. A sinistra – quella liberal – si agita la formula dei ‘diritti umani’ ma non si mette in discussione il sistema che genera queste dinamiche.

Il risultato? Perdono gli sfruttati, come sempre. Gli immigrati restano carne da lavoro e la cittadinanza si fa trascinare in una diatriba distorta mettendosi in concorrenza con gli sfruttati e non con gli sfruttatori.

Le Multinazionali senza freni

La competizione è altrettanto feroce a livello di piccola e media impresa, dove gli imprenditori italiani sono costretti a confrontarsi con i giganti multinazionali.

Queste aziende, come Amazon e Apple, impongono prezzi così bassi che anche chi manifesta critiche al sistema, finisce per comprare da loro, pur di risparmiare qualche euro. In tal modo, si impoverisce il tessuto economico locale e si alimenta ulteriormente il circolo vizioso del capitalismo globalizzato.

Peccato che la soluzione adottata dall’alto sia sempre quella di ridurre i salari e imporre ritmi di lavoro da padroni delle ferriere. Ovviamente dai Draghi ai Meloni e Salvini, coadiuvati dai “responsabili” centristi o piddini, il mantra è sempre che lo si fa “per il bene dell’Italia”, ma in realtà si riferisce al benessere dei soliti noti.

Nel frattempo, la soluzione più evidente non viene nemmeno presa in considerazione: tassare pesantemente le megaimprese straniere per proteggere le aziende italiane. Come mai?

Perché colossi come Amazon e Apple hanno lobby molto più potenti dei sindacati, pagano avvocati capaci e senza scrupoli, e controllano, direttamente o indirettamente, media, giornali, opinionisti e persino un buon numero di parlamentari e ministri.

Così, i nuovi patrioti della destra e della cosiddetta sinistra preferiscono non affrontare queste forze. È molto più semplice spremere un po’ di più i lavoratori e impoverire ulteriormente i già miseri, abituati a porgere l’altra guancia. E quando si ribellano, lo fanno contro chi ha poco più di loro, mai contro i miliardari, spesso ammirati, o le celebrità idolatrate.

Un circolo vizioso

La vera tragedia, come già detto, è che coloro che subiscono il maggior danno non si ribellano contro i veri responsabili. “I miserabili”, come descritto da molti osservatori del mondo del lavoro, sono abituati a offrire l’altra guancia. Quando si ribellano, lo fanno contro chi ha poco più di loro, non contro i miliardari che li sfruttano.

Paradossalmente, questi ultimi sono spesso ammirati, quasi fossero modelli da emulare. Le celebrity e i ricchi capitalisti sono diventati idoli da venerare, mentre la lotta contro l’ingiustizia viene dimenticata o distorta.

Sobrietà e redistribuzione

Se non si spezza questo circolo vizioso, non ci sarà mai una vera possibilità di riscatto per i più deboli. “Bisogna consumare meno, produrre meno, smettere di crescere in maniera dissennata”, affermano gli economisti critici verso il modello attuale. Pare facile!  La tecnologia e l’automazione stanno generando enormi profitti, ma questi guadagni vanno redistribuiti meglio, non concentrati nelle mani di pochi. La redistribuzione delle ricchezze generate dall’innovazione è una delle chiavi per creare una società più equa. Sembra banale ma non c’è altra soluzione. Ci sono due problemi però

Chi detiene le redini di questo gioco non ha alcuna intenzione di mollare l’osso. E si sta vedendo nel contesto geopolitico mondiale: piuttosto che ridiscutere il proprio status meglio una carneficina bellica.

L’altro punto è che il partito degli edonisti, coloro che sono interessati solo al soddisfacimento delle loro pulsioni immediate, è vasto e potente.

Un tale cambiamento richiederebbe che le persone si riconnettessero a qualcosa che trascende l’individuo, trovando un senso di appartenenza a una storia, una comunità, una tradizione. E non parliamo delle sbandate reazionarie, ma di autentica cultura popolare

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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