La giunta militare al potere in Niger ha annunciato la volontà di nazionalizzare l’estrazione di uranio, petrolio e oro, creando due nuove società nazionali per la gestione delle attività estrattive. L’iniziativa costituisce un passo fondamentale verso la sovranità economica e verso l’indipendenza da società e Paesi stranieri – in particolare dalla Francia – che per decenni hanno sfruttato le risorse della Nazione africana a loro esclusivo vantaggio. Nonostante, infatti, il Niger sia una delle nazioni più ricche di materie prime, è anche una delle più povere al mondo. L’istituzione delle due nuove società statali ha come obiettivo proprio quello di garantire che i profitti derivanti dall’estrazione e dalla vendita di queste risorse naturali siano maggiormente nelle mani del governo e del popolo nigerino, così da poter reinvestire le entrate internamente, investendo in infrastrutture, sanità, istruzione e sviluppo economico. L’iniziativa fa parte di un percorso di autonomia e indipendenza strategica intrapreso da diverse nazioni del Sahel, tra cui Niger, Mali e Burkina Faso, dove negli ultimi quattro anni si sono svolti dei colpi di Stato che hanno destituito i governi filoccidentali, instaurando giunte militari che hanno come obiettivo primario restituire sovranità alle nazioni africane, liberandosi dal retaggio neocoloniale francese, ma anche dall’influenza europea e americana.

Il Niger – uno Stato prevalentemente desertico – è il settimo al mondo per riserve di uranio, materiale che ha costituito, nel 2022, il 15% delle importazioni francesi e oltre il 25% di quelle dell’Unione europea. La Francia è particolarmente interessata all’estrazione di questo metallo in quanto è un elemento indispensabile per la produzione di energia nucleare, che costituisce il cuore del mix energetico di Parigi. Non a caso, nel Paese sono presenti diverse compagnie estrattive dell’ex potenza coloniale, tra cui la più importante è Orano (ex Areva), che dal 1971 sfrutta le consistenti riserve di uranio del Paese per alimentare le centrali nucleari d’oltralpe e di parte d’Europa e che detiene pressoché il controllo del business minerario dell’Africa subsahariana. Tuttavia, in seguito al golpe del luglio del 2023, la giunta militare, oltre ad avere espulso le truppe francesi dal suo territorio, sta anche cercando di liberarsi della presenza delle aziende estrattive che fanno capo a Parigi. Così, se prima del 2023, il governo nigerino aveva rinnovato alcuni importanti contratti con le multinazionali straniere, successivamente le cose sono radicalmente cambiate: Niamey ha annunciato negli scorsi mesi di aver ritirato a Orano il permesso per lo “sfruttamento su larga scala” dell’uranio nel giacimento di Imouraren, uno dei più grandi al mondo, con riserve stimate in 200 mila tonnellate, situato nella regione settentrionale di Agadez.

La decisione del governo di transizione nigerino di nazionalizzare l’estrazione delle risorse, non rinnovando i contratti con alcune compagnie straniere, è anche una risposta alle crescenti tensioni interne, in quanto la popolazione chiede un maggiore controllo sulle risorse del Paese. In seguito al cambio di governo nel 2023, questa tendenza è sempre più accentuata con ripercussioni non trascurabili sugli interessi delle potenze occidentali, tra cui Francia, Stati Uniti e Unione Europea.

Dopo i golpe avvenuti in Mali e Burkina Faso, il Niger era rimasto uno degli ultimi alleati chiave per Parigi e Washington nella regione ed era anche un importante partner per l’UE nella lotta contro l’immigrazione irregolare. Le truppe francesi presenti sul territorio dello Stato africano avrebbero poi dovuto costituire un aiuto determinante nella lotta contro il terrorismo nell’area, legato soprattutto a gruppi affiliati al al-Qaeda e allo Stato Islamico. Tuttavia, gli scarsi risultati ottenuti su questo fronte dalle truppe di Parigi e l’insofferenza verso le ingerenze e lo sfruttamento delle risorse da parte dell’ex potenza coloniale, hanno creato le condizioni necessarie per la pianificazione e il successo di un colpo di Stato. Il 26 luglio del 2023, l’allora presidente, Mohamed Bazoum, è stato rimosso dai militari che hanno dato vita alla giunta auto-denominatasi Cnsp (Consiglio nazionale per la salvaguardia della patria).

La volontà di nazionalizzare le risorse naturali sta accomunando negli ultimi anni molti Stati del Shel, tra cui i già citati Burkina Faso, Mali e Senegal: tutti, infatti, sono attraversati dal medesimo obiettivo di affermare la sovranità nazionale e affrancarsi dal dominio di potenze straniere, riappropriandosi innanzitutto delle proprie risorse. Questo fermento dei Paesi africani del Sahel sta conducendo a uno stravolgimento degli equilibri geopolitici nella regione, dove i Paesi occidentali stanno perdendo la loro egemonia in favore delle grandi potenze rivali di Washington come la Russia a cui l’Africa guarda con sempre maggiore benevolenza, sia sul piano della cooperazione economico-commerciale che su quello militare. La recente iniziativa di istituire due società nazionali in Niger per l’estrazione delle risorse nazionali non fa altro che consolidare e accelerare questo percorso di indipendenza e sovranità, segnando un’ulteriore sconfitta per gli interessi francesi nel Sahel.

[di Giorgia Audiello]

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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