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Il presidente di Stellantis, John Elkann, è al centro di un’accesa polemica per aver rifiutato l’invito a discutere in Parlamento il futuro del gruppo automobilistico, attualmente segnato dal calo dei volumi produttivi e delle immatricolazioni, nonché dalla previsione di significativi tagli occupazionali nel nostro Paese. Dopo un’audizione del CEO di Stellantis, Carlos Tavares, considerata insoddisfacente dalle forze politiche di governo e di opposizione, alcuni leader dell’area progressista hanno chiesto che Elkann stesso si presentasse in Parlamento. Quest’ultimo, però, ha affermato di non avere «nulla da aggiungere» rispetto a quanto già esposto da Tavares, decidendo di sottrarsi all’esame dei parlamentari. Sullo sfondo, vi è la crisi nera dell’automotive a livello europeo, che ha recentemente portato il colosso tedesco Volkswagen a manifestare l’intenzione di chiudere tre fabbriche in Germania.

In una missiva indirizzata al presidente della Commissione Attività produttive della Camera, Alberto Luigi Gusmeroli, Elkann ha scritto: «Le mozioni approvate dalla maggioranza dell’assemblea della Camera dei deputati nella seduta di mercoledì 16 ottobre, impegnano il Governo a convocare entro la fine dell’anno un tavolo con tutte le parti interessate a Palazzo Chigi. Non essendoci aggiornamenti dall’audizione dello scorso venerdì 11 ottobre da Lei stesso presieduta, non abbiamo nulla da aggiungere rispetto a quanto già illustrato dall’amministratore delegato». Venti giorni fa, Tavares era infatti comparso in audizione alla Camera lo scorso 11 ottobre, in seguito alla quale era stato bersaglio degli attacchi delle forze di governo e di minoranza, che lo avevano accusato di non avere spiegato come intendesse invertire il declino industriale del settore automobilistico in Italia. «Ribadendo la disponibilità a un dialogo franco e rispettoso, Stellantis prosegue le interlocuzioni con il ministero delle Imprese e del Made in Italy nell’ambito del tavolo di confronto istituito presso il dicastero, in attesa della convocazione ufficiale presso la presidenza del Consiglio», ha aggiunto il patron di Stellantis, ringraziando Gusmeroli e i membri della Commissione «per l’attenzione» dedicata «al settore dell’automotive ed alle sue evoluzioni in Italia, in Europa e nel mondo». In seguito a questa comunicazione, su Elkann sono piovute le critiche di leader e parlamentari di centro-destra e centro-sinistra. A reagire è stato anche il presidente della Camera dei deputati, Lorenzo Fontana, che in una nota ha scritto: «Apprendo con sconcerto da fonti stampa che il Presidente di Stellantis non vorrebbe riferire in Parlamento sulla situazione aziendale. Mi auguro che questa posizione possa essere presto chiarita. Scavalcare il Parlamento sarebbe un atto grave».

A parlare di «mancanza di rispetto» verso il Parlamento è stata anche Giorgia Meloni. Il suo esecutivo ha recentemente rinvigorito il braccio di ferro con Stellantis, con una manovra che taglia per 3,7 miliardi gli incentivi al Fondo dell’Automotive per il sostegno alla transizione alle auto elettriche. A giovarsene sarà invece il settore della Difesa, per il quale saranno messi sul piatto 2,5 miliardi in più all’anno dal 2025, per un totale di 34 miliardi di euro da qui al 2039. Nonostante, dal 1975 ad oggi, nelle casse di Stellantis – sommando tutte le voci, tra cui cassa integrazione per i dipendenti, prepensionamenti, rottamazioni, costruzione di stabilimenti – dallo Stato italiano siano stati veicolati ben 220 miliardi di euro, negli scorsi mesi l’ad dell’azienda era tornato a battere cassa per ottenere aiuti pubblici dallo Stato italiano, con un metodo che è esplicitamente suonato come un ricatto. «L’Italia dovrebbe fare di più per proteggere i suoi posti di lavoro nel settore automobilistico anziché attaccare Stellantis (…) se non si danno sussidi per l’acquisto di veicoli elettrici, si mettono a rischio gli impianti in Italia», aveva infatti affermato Tavares a febbraio. Nel frattempo, la crisi europea del settore dell’automotive è sempre più tangibile. Con una decisione che non ha precedenti, il comitato aziendale del gigante automobilistico tedesco Volkswagen ha appena confermato l’intenzione di chiudere tre stabilimenti in Germania. I dati raccontano che quasi un terzo dei principali impianti di autovetture delle cinque più grandi case automobilistiche europee – BMW, Mercedes-Benz, Stellantis, Renault e VW – nell’arco del 2023 sono stati sottoutilizzati, producendo meno della metà dei veicoli che hanno la capacità di produrre.

[di Stefano Baudino]

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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