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L’astensionismo in Italia ha raggiunto livelli allarmanti, con una crescente disaffezione dei cittadini verso un sistema politico percepito come distante e autoreferenziale. La classe dirigente e i media ignorano il fenomeno, concentrandosi solo sulla minoranza di elettori attivi. In questo contesto, l’assenza di alternative reali e un sistema elettorale che favorisce i partiti tradizionali alimentano il senso di sfiducia e impotenza del popolo, ponendo interrogativi cruciali sulla tenuta della democrazia.
Italia, astensionismo record
L’astensionismo elettorale in Italia è un fenomeno ormai consolidato, che nelle recenti elezioni regionali in Liguria ha raggiunto livelli sempre più preoccupanti. Nonostante il contesto fosse eccezionale – si votava a seguito del collasso giudiziario della giunta regionale precedente – la maggioranza dei cittadini ha scelto di non recarsi alle urne.
Questo dato, però, sembra essere passato quasi inosservato nel dibattito politico e mediatico italiano, che si è concentrato su questioni interne ai partiti e sulle dinamiche tra i leader, ignorando il chiaro segnale di disaffezione popolare.
Un aspetto interessante è l’attenzione che i media e i politici dedicano a chi partecipa, ossia a quel 46% di elettori attivi, ignorando invece il restante 54% che ha scelto di astenersi.
Si discute delle ambizioni dei leader, della competizione tra Conte, Meloni, Schlein, Bonaccini, ma la questione di fondo – la legittimità di un sistema che rappresenta una minoranza sempre più ristretta – non viene messa in discussione.
Il fenomeno è sintomatico di una visione politica secondo cui il calo della partecipazione viene interpretato come un segno di “democrazia matura”, una visione promossa da parte dei politologi liberali, ma che sembra ormai superata: quella che sembra maturità è in realtà una crescente disaffezione e rabbia rassegnata.
L’assenza di alternative percepibili gioca un ruolo cruciale in questo scenario. L’ideologia Tatcheriana del “TINA” (There Is No Alternative) prevale nel dibattito pubblico, non solo in Italia ma anche nel contesto internazionale. Non c’è alternativa, si dice, alle politiche di austerità, all’inevitabilità della crisi ambientale, alla guerra e alla gestione della questione migratoria in chiave securitaria.
Chi cerca di proporre alternative concrete viene marginalizzato, ridotto a una voce minoritaria. Il risultato è che il dibattito politico si riduce a una competizione tra fazioni che, più che proporre vere novità, discutono su chi possa eseguire meglio le stesse politiche di sempre.
Il fenomeno è accentuato dalla struttura del sistema politico italiano, dove la minoranza reazionaria è spesso quella più influente. Un esempio è il tema dell’immigrazione, dove le risposte, sia negli Stati Uniti che in Europa, sono sempre più orientate verso destra, costringendo le forze liberali a rincorrere la narrazione imposta dai conservatori.
In questo scenario, l’Italia ha assistito a un crollo della partecipazione elettorale che non ha eguali tra le democrazie occidentali: il Paese che una volta si vantava di una partecipazione alta oggi registra livelli di astensione tra i più elevati.
Questo paradosso è ancora più evidente nelle elezioni locali, come quelle regionali e comunali, dove l’affluenza è sempre più bassa. Ciò appare sorprendente, poiché proprio le istituzioni locali sono teoricamente più vicine ai cittadini. Tuttavia, in molti casi, i presidenti di Regione e i sindaci sembrano più distanti dalla vita quotidiana dei cittadini rispetto alle istituzioni nazionali.
Le giunte locali appaiono il più delle volte come ‘cricche’ da interessi economici e da una politica “del cemento”, caratterizzata da privatizzazioni e tagli ai servizi pubblici. La percezione è che le differenze tra gli schieramenti politici siano minime, che le scelte reali si facciano fuori dai confini della politica tradizionale e che il dibattito pubblico sia diventato uno spettacolo distante dalle preoccupazioni reali dei cittadini.
La situazione è aggravata dalle regole elettorali, che limitano le possibilità per outsider e nuove formazioni di emergere. Sbarramenti, selezione dei candidati e controllo mediatico rendono difficile per chi non appartiene alla “classe politica” tradizionale candidarsi e farsi notare.
L’effetto è che gli elettori si trovano di fronte a un sistema di rappresentanza sempre più chiuso e autoreferenziale, dove spesso si può votare solo per chi è già favorito dalle istituzioni e dai media, non per chi potrebbe rappresentare al meglio le istanze della popolazione.
Questo modello, definito da alcuni una “democrazia truccata”, sembra essersi ormai radicato. Viene quindi da chiedersi se esista un limite oltre il quale il sistema diventi insostenibile. Fin dove può spingersi il calo della partecipazione prima che metta in discussione la stessa legittimità del potere?
Lo scrittore portoghese José Saramago, nel suo romanzo distopico Saggio sulla lucidità, immagina uno scenario in cui l’intera popolazione di una città si rifiuta di votare, portando il governo a rispondere con misure autoritarie.
Pur essendo una provocazione letteraria, l’opera offre una riflessione profonda sulla crisi della rappresentanza politica, suggerendo che solo quando la partecipazione al voto tornerà al centro delle preoccupazioni dei democratici si potrà sperare in un cambiamento reale.
Per riavvicinare i cittadini alla politica sarebbe necessario rivedere il sistema elettorale, abbandonando il maggioritario per tornare a un sistema proporzionale che offra pari condizioni a tutti i partecipanti. Solo così si potrebbe rinnovare la politica e riportare in campo le alternative reali, uscendo dal circolo vizioso che oggi penalizza l’intero sistema. Tuttavia, è improbabile che i partiti dominanti siano disposti a cambiare un sistema che li favorisce, lasciando poche speranze di una svolta spontanea.
Nel frattempo, i cittadini italiani continuano a disertare le urne, testimoni di una democrazia che sembra incapace di rappresentarli. Chi crede ancora nei principi democratici e partecipa nonostante tutto, lo fa forse come un atto di resistenza: un richiamo all’idea di una politica che, un giorno, tornerà a essere vicina e rappresentativa.