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A poco più di una settimana dall’attacco israeliano contro l’Iran, l’Ayatollah Ali Khamenei, ha rotto gli indugi e annunciato che arriverà una «risposta sconvolgente» contro i propri nemici, incarnati dallo stesso Stato ebraico e dagli USA. «Si tratta di affrontare la crudeltà internazionale», ha detto Khamenei; «per la nazione iraniana, ispirata agli insegnamenti dell’Islam, affrontare la crudeltà è un dovere religioso». Dopo giorni di reciproche provocazioni, quella che sembrava essere la solita schermaglia verbale ha così ripreso fuoco, con un annuncio che pare volere lasciare poco spazio all’interpretazione. Ieri si è accodato alle dichiarazioni di Khamenei anche il neo-eletto Premier Pezeshkian, lanciando un ultimatum allo Stato ebraico: o si arriva a un cessate il fuoco, o arriverà una risposta. La palla torna dunque nelle mani iraniane, mentre intanto gli Stati Uniti non sembrano intenzionati a mollare la presa: in occasione del rientro in patria della portaerei Lincoln, Washington ha organizzato in tempi record l’invio di ulteriori truppe e aerei da combattimento nella regione, per aumentare la propria potenza di fuoco.

La situazione in Medio Oriente sembra essere sempre più appesa a un filo. In seguito agli attacchi israeliani di sabato 26 ottobre, l’Iran pareva intenzionato a lasciare correre e a tornare al punto di partenza: tanta tensione, ciclici battibecchi, e nebbiose minacce di ritorsione. Le ultime dichiarazioni di Khamenei paiono però volere suggerire allo Stato ebraico di tenersi pronto. Gli annunci sono arrivati sabato 2 novembre, durante una visita ricevuta da un gruppo di studenti di Teheran in occasione dell’avvicinarsi dell’anniversario della presa dell’ambasciata statunitense nel 1979. Questa giornata ha un valore storico e fortemente simbolico in Iran, tanto da essere stata designata come “Giornata nazionale contro l’arroganza globale”. Ormai quasi 45 anni fa, gli studenti iraniani sono entrati all’interno dell’edificio dell’ambasciata di Washington nel Paese perché sospettata di essere un centro di spionaggio contro la neonata rivoluzione islamica filo-khomeinista, e ne hanno preso il controllo. Il tredicesimo giorno del mese di Aban del calendario della Repubblica Islamica (il nostro 4 novembre) si tengono marce in tutto l’Iran per commemorare l’evento.

Le dure parole di Khamenei arrivano dunque in una giornata dal forte valore simbolico per il Paese, ed è difficile stabilire se costituiscano una reale minaccia. Esse, tuttavia, sono in linea con quanto affermato da Pezeshkian, che ha detto che la natura e l’intensità di un eventuale attacco iraniano potrebbero cambiare solo se Israele fermerà la sua aggressione nella regione e accetterà un cessate il fuoco. Questa escalation verbale segue le precedenti dichiarazioni della Repubblica Islamica, rilasciate in occasione dell’attacco lanciato su Israele martedì 1 ottobre. Le Guardie della Rivoluzione Iraniana lo avevano definito una risposta all’uccisione del capo di Hezbollah, Hassan Nasrallah, e del leader di Hamas, Ismail Haniyeh, aggiungendo che se Israele avesse mai reagito ci sarebbe stata un’ulteriore risposta «ancora più schiacciante e rovinosa».

Di fronte alle continue minacce di ritorsione, gli Stati Uniti non sembrano volere lasciare nulla al caso: giusto qualche giorno fa, Washington ha infatti annunciato un riassetto delle proprie forze in Medio Oriente, coincidente con il rientro in patria della portaerei Lincoln. Al suo posto saranno dispiegati aerei da guerra B-52, jet da combattimento, aerei da rifornimento, e cacciatorpedinieri. Sebbene il Maggior Generale Patrick “Pat” Ryder, il segretario stampa del Pentagono, avesse annunciato che le nuove forze sarebbero «iniziate ad arrivare nei prossimi mesi», i cacciabombardieri B-52, i principali responsabili del sempre più prossimo aumento della potenza di fuoco statunitense nella regione, sono arrivati poco prima la mezzanotte di ieri, domenica 4 ottobre. Gli USA sembrano così lanciare il loro solito monito all’Iran, lasciando intendere che, se dovesse succedere qualcosa, si farebbero trovare pronti.

L’annuncio di Khamenei è caratterizzato da quella consueta dose di estrema vaghezza nel fornire specifiche riguardo ai possibili attacchi. Malgrado nell’ultima settimana la situazione sembrasse tranquilla, non si sono fermate le speculazioni sulla possibile risposta iraniana agli attacchi di fine ottobre. Secondo quanto riporta il sito di informazione Axios, l’intelligence israeliana sospetterebbe che l’Iran stia preparando una offensiva da lanciare contro Israele a partire da una delle sue “proxy” in territorio iracheno. Mercoledì 30 ottobre, CNN scriveva che entro il 5 novembre sarebbe potuto arrivare un attacco iraniano sullo Stato ebraico; la data limite fissata dalle fonti indiscrete di CNN non è casuale, poiché coincide con le elezioni statunitensi. Molti analisti ritengono infatti che, dal punto di vista iraniano, il momento propizio per attaccare Israele sia proprio quello precedente alle elezioni presidenziali degli USA, anche perché il risultato potrebbe cambiare notevolmente le carte in tavola. Dall’altro lato della barricata, infatti, c’è chi reputa che a preparare un attacco sia più lo Stato ebraico, che la Repubblica islamica. Su un articolo uscito sulla rivista Fair Observer firmato dall’ex agente della CIA Glenn Carle, si legge che Israele starebbe pianificando un attacco alle basi petrolifere e nucleari iraniane, da tanto tempo sotto i riflettori.

Effettivamente, nei giorni che hanno preceduto l’ultima offensiva israeliana, proprio i siti di idrocarburi e nucleari iraniani sono stati al centro di accese discussioni tra l’amministrazione Biden e il governo Netanyahu. Il caso è scoppiato dopo lo scandalo mediatico che ha visto la diffusione di una serie di documenti riservati riguardanti la presunta pianificazione di un attacco israeliano sulle strutture sensibili di Teheran, in seguito a cui il Presidente statunitense ha subito negato il proprio beneplacito a Tel Aviv nel caso prendesse simili iniziative. La discussione sul tema risale agli inizi di ottobre, periodo in cui Biden aveva scelto di mantenere la sua solita linea di vaghezza pubblica nel dichiarare l’appoggio statunitense su questioni riguardanti il tema dell’equilibrio regionale. Trump, al contrario, ha colto l’occasione per sostenere apertamente che Israele avrebbe dovuto prendere di mira i bersagli sensibili della Repubblica Islamica. All’interno di questo sfaccettato quadro, le elezioni del 5 novembre appaiono particolarmente delicate e possono segnare una svolta in questa lunga partita che non sembra voler terminare. Nel mentre, tra dichiarazioni, annunci, e nuovi dispiegamenti di forze, i tre principali contendenti continuano a prepararsi, e a posizionare i pezzi sulla scacchiera.

[di Dario Lucisano]

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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