A una settimana dalle alluvioni che hanno colpito le regioni sudorientali della Spagna, l’attenzione mediatica di molte testate italiane ha già virato verso altre questioni, in primis la celebrazione delle elezioni negli Stati Uniti d’America. Nonostante ciò, la situazione nelle zone maggiormente colpite dal passaggio della DANA resta drammatica, con 216 vittime, un numero al momento incalcolabile di dispersi e danni infrastrutturali, che, secondo le stime, si aggirano intorno ai 2,6 miliardi di euro.
Tra lunedì 4 e martedì 5 novembre Carlos Mazón, presidente della Comunitat Valenciana, e e Pedro Sánchez hanno annunciato pacchetti di aiuti per un valore di 10 miliardi di euro, destinati alle entità comunali e ai cittadini, con sgravi fiscali per i residenti colpiti e piani di ricostruzione e ristrutturazione dei centri urbani. Tuttavia, nonostante la politica abbia attivato un processo di risposta economico, la percezione della popolazione colpita denuncia una distanza abissale tra istituzioni e cittadinanza, che sembrano muoversi su due parallele completamente differenti.
Se nelle prime 48 ore dal disastro i social network sono stati il mezzo principale utilizzato dai cittadini per lanciare appelli, denunciare la scomparsa dei propri cari e richiedere aiuto urgente, nei giorni successivi hanno iniziato a rappresentare lo specchio reale della situazione, soprattutto in quei luoghi dove l’interesse mediatico non è arrivato. Le immagini inviate alla redazione de L’Indipendente sono desolanti. Attraverso le testimonianze dei residenti è possibile osservare quanto la situazione sia rimasta invariata, nonostante siano già passati sette giorni dall’alluvione. Le automobili accatastate, i detriti davanti alle porte di casa, la melma e il fango per le strade sono solo alcuni degli elementi che denunciano una condizione di concreto abbandono.
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Con l’aiuto ineccepibile dei volontari, accorsi immediatamente in migliaia da Valencia e da ogni parte della penisola, si è potuto offrire soccorso alla popolazione, recando acqua, generi alimentari e beni di prima necessità. A questo si è sommata la forza lavoro per pulire, dove possibile, le strade, svuotare i garage inondati e portare assistenza a quelle persone ancora isolate. Ma sembra evidente che senza l’intervento di mezzi pesanti, che possano rimuovere le carcasse delle automobili e così sbloccare la viabilità, e il lavoro di corpi speciali inviati dalle istituzioni la situazione non potrà che rimanere invariata.
Ai danni infrastrutturali si sommano chiaramente i gravi disagi che la popolazione vive nel tentativo di recuperare la propria quotidianità. In alcuni dei paesi colpiti, come Alfafar, Massanassa e Paiporta, non è ancora stato ripristinato il servizio di erogazione dell’acqua, con le chiare conseguenze che l’assenza d’acqua può comportare. A questo si aggiungono le difficoltà nel muoversi in un territorio fortemente malsano, ad altissimo rischio infettivo, senza nemmeno la possibilità di lavarsi. Inoltre, le foto non riescono a raccontare la totalità dei disagi: molti residenti e volontari lamentano l’irrespirabilità dell’aria, a causa dell’indescrivibile fetore scatenato dalla distruzione dei sistemi fognari, dal fango e dalla melma.
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«Voglio mostrarvi come stiamo ancora, affinché tutti lo sappiano e ci aiutino» dice un’utente mentre registra la distruzione che la circonda. La voce rotta dal pianto descrive le immagini di un panorama che sembra uscito da un film post-apocalittico. «Dovete raccontarlo a tutti, non credete alla televisione, credete a noi» questo è l’appello mosso da una cittadina, mentre ci accompagna virtualmente tra le strade di un paese che sembra essere abbandonato a se stesso.
Mentre i media si preparano a raccontare la notte elettorale statunitense, a riportare le dichiarazioni, gli attacchi e le risposte delle più alte cariche istituzionali del mondo occidentale, contemporaneamente, in questi luoghi completamente distrutti, una popolazione disperata continua a lavorare, con l’aiuto dei volontari, nella speranza di trovare ancora un barlume di vita e iniziare a dare un senso a ciò che da una settimana non sembra più averlo.
Dietro l’affanno di chi rincorre nuove notizie, per poi abbandonarle verso altre più nuove, il nostro dovere di giornalisti è quello di continuare a raccontare le storie di chi, fino a poco tempo fa, era sulla bocca di tutti.
[di Armando Negro]