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Trump vince per la seconda volta sconfiggendo una donna e l’appello inascoltato di Julia Roberts “ribellativi ai vostri mariti” certificava già il peso di una subalternità strettamente connessa alla crisi della democrazia liberale.

La sconfitta dei democratici era già apparsa evidente nel corso della convention democratica nel corso della quale Harris aveva sostituito Biden: in quell’occasione si era notata per intero tutta la difficoltà che sta attraversando il modello di democrazia liberale che gli USA hanno voluto/saputo imporre/proporre a tutto il mondo occidentale dopo la caduta del muro di Berlino con l’assunzione dei concetti di “fine della storia” e di “gendarme del mondo” che ne sono derivati con relativo scivolamento nella “guerra di civiltà”.

A Chicago tutti i leader dell’asinello si erano rifugiati dentro il recinto dei grandi valori repubblicani (ne parlava Nichols in una intervista al “Corriere della Sera”) rinunciando a declinarli in una progettualità concreta che definisse – almeno – l’orizzonte di un sistema da modificare.

Anche la sinistra di Sanders e Ocasio Martinez aveva fatto a meno di evidenziare la necessità proprio di delineare un quadro di sistema su cui proprio l’ultimo lavoro di Bernie Sanders si era comunque addentrato.

La democrazia liberale non ha risolto il nodo della dimensione etica degli scopi del “governo” poiché proprio l’esito del ‘900 ha posto il problema di verificare fin dove potesse spingersi l’azione di un governo che volesse salvaguardare non solo i diritti negativi (di non interferenza: si può fare tutto quello che non è vietato) dei cittadini, ma anche i diritti positivi, ossia l’estensione a fasce sempre più vaste della popolazione dei diritti di tutela sociale, salute, istruzione, assistenza, fino all’eguaglianza nell’accesso alle risorse disponibili (salvo il grande interrogativo orwelliano, sugli alcuni più eguali degli altri).

 La domanda finale riguarda la radicalità della natura del razzismo emergente e consolidatosi sia dal punto di vista della paura del “diverso” e soprattutto della “diversa” anche quando questa è vicina, anzi accanto e magari adotta il metodo del “far politica” al maschile . E’ stato su questo punto che la natura del maschilismo di Trump si è connessa con quella della sua espressione pienamente razzista e suprematista.

L’altro punto(che ci richiama anche all’inquietante presenza di Musk nella campagna elettorale) è quello di fornire una risposta riguarda la consapevolezza che nell’applicazione del dominio della scienza e dei suoi effetti tecnologici emerge sempre un rapporto mercificante tra soggetto e oggetto in una forma sempre più piena come dimostrato dalla realtà della comunicazione sociale. E’ necessario essere capaci di esercitare una funzione critica sulla violenza che la tecnica, frutto della scienza del dominio, esprime implicitamente.  Serve una critica che reclami il recupero delle finalità umanistiche che avevano contraddistinto l’emergere della civiltà moderna, anche attraverso l’espressione delle utopie egualitarie e della “critica all’economia politica”: ma questa critica necessiterebbe di una diversità nell’espressione del soggetto politico rispetto all’usato schema della personalizzazione elettorale.

Di Franco Astengo

Lunga militanza politico-giornalistica ha collaborato con il Manifesto, l'Unità, il Secolo XIX,. Ha lavorato per molti anni al Comune di Savona occupandosi di statistiche elettorali e successivamente ha collaborato con la Facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Genova tenendo lezioni nei corsi di "Partiti politici e gruppi di Pressione", "Sistema politico italiano", "Potere locale", "Politiche pubbliche dell'Unione Europea".

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