Sergio Sinigaglia

Firenze Presidio contro le morti in cantiere (Foto di Cesare Dagliana)

Oscena mattanza. L’ennesima strage sul lavoro obbliga ad usare un aggettivo appropriato, come fa giustamente Marco Revelli nel suo commento su La Stampa di oggi. Uno stillicidio continuo e inarrestabile di cadaveri. Ogni tre giorni c’è chi muore lavorando. Quest’anno sono già 191 nel primo trimestre. Davanti ai nostri occhi le foto delle vittime di età diversa, da giovani o giovanissimi a persone anziane che non dovrebbero essere lì, perché in teoria superata una certa età si avrebbe il diritto ad una vita di riposo, a stare con i propri cari, gli amici, impegnarsi in attività ben diverse dal lavoro. Ma nell’orgia capitalistica in cui siamo immersi oramai tutto è lavoro mercificato, bisogna essere “produttivi” fino all’ultima goccia di sangue.

Si muore in ogni settore e in imprese di diversa dimensione. Si crepa in agricoltura, nell’edilizia, ambito in cui già nel 2024 ci sono state 25 denunce di casi mortali, dati Inail, nei servizi e ovviamente in fabbrica, ma anche nel commercio, 8% dei casi. Spesso sono piccole ditte dove il cosiddetto “datore di lavoro” è a fianco dei propri dipendenti, come a Palermo, a dimostrazione di un mercato del lavoro da decenni parcellizzato, dove apparentemente la distinzione di classe è sfumata, evaporata.

Ma non è così, perché la mattanza in atto, così come le complicità e le responsabilità di una classe politica, senza distinzioni tra “centrosinistra” e “centrodestra”, assai evidenti, è la conseguenza di rapporti di forza tra capitale e lavoro profondamente mutati nel corso del tempo a favore del primo.

Come scriveva Luciano Gallino, polemizzando con certe anime belle della presunta sinistra, la lotta di classe non è mai finita e l’hanno vinta i padroni.

C’è un profondo senso di impotenza dovuto alla totale mancanza di una sinistra politica ormai inesistente, e una sinistra sociale frammentata, come dimostra la stessa frantumazione delle sigle sindacali di base. E a proposito di sindacati, quelli confederali sono incapaci di dare una risposta ad un contesto così drammatico perché ormai hanno perso credibilità, soprattutto la Cgil (la Cisl è ormai strutturalmente un sindacato filo padronale e governativo) al di là di alcune singole categorie.

Certamente la ristrutturazione capitalistica affermatesi nei decenni, il profondo cambiamento del mercato del lavoro, la fine di un’epoca e la relativa sconfitta storica hanno contribuito in modo decisivo. Ma non possono fare dimenticare gli accordi al ribasso, compromessi inaccettabili, modi di porsi più somiglianti alla logica da ceto politico, con mire poltronesche, che ad un sindacato che dovrebbe avere al centro una visione conflittuale delle cose, non concertativa.

E allora? Come rispondere al fatidico “che fare”? A fronte di risposte della destra governativa (e non solo) al limite della provocazione come la “patente a punti”, o a provvedimenti certamente necessari come l’incremento dei controlli attraverso un adeguato aumento degli addetti, ci vorrebbe una mobilitazione all’altezza della drammaticità della situazione, una mobilitazione generale radicale ad oltranza che blocchi il Paese. Ma torniamo al nodo cruciale: chi potrebbe farlo?

E’ il nodo gordiano da recidere.

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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